Geotermia, per la Regione Umbria "Una decisione facile facile"

Quella della politica è un’arte strana, nel nostro Paese ancora più strana. Mi hanno insegnato infatti da bambino che gli “eletti” dai singoli cittadini, con l’introduzione in un’urna (veramente è più praticata una scatola) di un voto si dava a qualcuno l’onere (e l’onore) di rappresentare chi li aveva votati nella gestione della cosa pubblica. L’incarico era ed è rimasto quindi quello di “raccogliere” i voleri e le aspirazioni degli elettori e di fare del loro meglio per realizzarli.
A me sembrò allora, e mi sembra ancora adesso, che il meccanismo democratico sia semplice e chiaro. Naturalmente più complesso, e di molto, è riuscire a realizzare le aspettative delle cittadinanze. Ci sono i contrasti con le opposizioni (se il politico è al governo della cosa pubblica), i bilanci da far quadrare, le ricadute degli interventi (il politico cerca di solito di soddisfare, almeno apparentemente, più votanti possibile), ecc, insomma si deve barcamenare fra chi vuole una cosa e chi ne vuole un’altra, il tutto cercando comunque di apparire molto bravo anche se spesso non lo è. Ma di questo la colpa è nostra che abbiamo votato il politico sbagliato.
Mi stupisce pertanto di riscontrare che, come nel caso di dare o meno l’assenso a realizzare l’impianto geotermico di Castel Giorgio, in Regione Umbria si esiti così tanto. Di fronte ad una VIA (Valutazione di Impatto Ambientale), che l’impianto ha già superato, così criticabile e criticata in cui i conflitti d’interesse sono da paese delle banane; di fronte ad aspetti di rilevanza tecnica in cui, come si è visto in alcune relazioni, la moglie avalla le tesi del marito (la Dott.ssa Carapezza giudica, anche in un’intervista radiofonica, oltre che nei documenti prodotti dal suo ente l’INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia - la sicura efficacia delle tecnologie che vuole applicare il marito); di fronte alla evidente e manifesta contrapposizione di altri geologi, veri luminari della materia, appartenenti anche allo stesso INGV, che criticano aspramente ed ufficialmente la superficialità tecnica e la rischiosità di questo intervento che si vorrebbe fare a Castel Giorgio; di fronte alla totale indisponibilità dei territori ad accollarsi il rischio che tale impianto (possibili terremoti ed inquinamenti irreversibili delle falde idropotabili) possono provocare.
Indisponibilità sancita da una netta posizione negativa di tutti i sindaci del comprensorio e, “ad abundantiam”, anche di quelli del Lago di Bolsena; di fronte alla unanime presa di posizione di Consiglieri regionali della Regione Umbria, di tutti gli schieramenti politici, che si sono dichiarati nettamente contrari all’impianto; di fronte a tutto questo la Presidente Marini e l’Assessora Cecchini ancora si “grattano la testa” (in senso metaforico naturalmente) in attesa di esprimersi. Prendono tempo, ma perché? E’ una precisa competenza regionale dare o non dare l’assenso regionale al MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) che invece sembra sordo (e cieco) alle mille irregolarità di questa pratica.
Insomma c’è forse il veto di un Re o di un suo vassallo? Non siamo più in democrazia e non ce ne siamo accorti? La Giunta Regionale ed il PD umbro hanno deciso, su questa storia, il loro suicidio politico? Non sanno che alla prima cosa storta causata da questo impianto che dovesse accadere (se mai i vari ricorsi al TAR e alla UE dovessero consentirne la realizzazione) ne sarebbero ritenuti i diretti responsabili da una popolazione attonita e probabilmente inviperita? Non si ritiene utile applicare il tanto caldeggiato (dalla UE) consenso dei territori agli insediamenti industriali, specie se a rischio? Non si ritiene in questo delicato e controverso caso di applicare il sano Principio di Precauzione? Se è questa la capacità decisionale di questa giunta regionale, in un’occasione facile facile come questa e che forse mai prima, nella storia della Regione Umbria, si è manifestata con tanta chiarezza, probabilmente qualcuno dovrebbe seriamente valutare di andare a fare un lavoro diverso in cui, magari per uno stipendio più piccolo, non deve prendere decisioni e soprattutto assumersi responsabilità.
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