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cultura

"Piazza, bella piazza. Indagine di uno spazio"

domenica 23 giugno 2019
"Piazza, bella piazza. Indagine di uno spazio"

Mi è capitato più volte di condurre i miei alunni in giro per la città. Non per spiegare qualcosa. Volevo che fosse la città attraverso le sue cose, le sue persone, i suoi angoli, i suoi colori, i suoi tagli di luce, a spiegarsi ai miei alunni, a lasciare traccia di sé sui loro taccuini. Alcuni di questi esercizi di scrittura sono poi diventati delle piccole serie, qualcuna delle quali (per esempio "Occhi allo Specchio" e "Il Mondo nella Penna. La Serpara Immaginata") pubblicate con benevolenza da questo sito.

Ai miei ragazzi cerco di insegnare che descrivere qualcosa o qualcuno è un atto di comunicazione, ma anche un atto creativo, perché la descrizione è un filo teso tra chi descrive e chi è descritto, perché è in questo spazio, che isola tutto ciò che c’è attorno, che si riesce a percepire, a lampi, il significato dell’esistere. Nostro e loro.

A differenza delle altre volte, nelle quali avevo sguinzagliato i miei alunni in punti diversi della città, questa volta ho voluto concentrarli in un unico luogo, una piazza. Ho scelto Piazza del Popolo a Orvieto perché solo recentemente, liberata dalle auto, è tornata ad essere tale, cioè luogo di connessione tra esseri viventi, e tra essi e lo spazio circostante. Per quanto ancora potrà esserlo non sta a me dirlo, e ciò esula, credo, dal presente lavoro.

Ho quindi, in una mattinata di fine maggio, condotto i ragazzi e le ragazze della 1D della Scuola Media “L.Signorelli” in questa Piazza, e gli ho chiesto di cercare un oggetto  (grande o piccolo, non importava) che fosse un detonatore per la loro sensibilità e immaginazione, per poi osservarlo con attenzione, facendo silenzio attorno a sé, e infine penetrarlo, costringerlo a parlare. Compito non facile, ne converrete, degno di grandi medium, di venerabili santoni. O, semplicemente, di artisti.

Sta di fatto che sono stati così bravi, i miei alunni, che eccoli qua, i risultati dei loro “sprofondamenti”, ecco i relitti che hanno portato a galla, ecco i frammenti del porto sepolto, ecco ciò che ora non potranno più ignorare quando passeranno per quella piazza, ecco ciò che non gli consentirà più di restare indifferenti: “accorgersi” è, infatti, la grande sfida del vivere. Riporta la Treccani che deriva dal latino “corrigere” (= correggere). Ne potremmo dedurre che accorgersi (di sé, delle cose, degli altri) è una forma di riparazione, di manutenzione del mondo.

Buona lettura.

prof. Andrea Caponeri

LE TRE CAMPANE DI SAN ROCCO
All’apparenza sono solo tre campane che si trovano in una chiesa un po’ rovinata. Nessuno le nota e le guarda, ma secondo me sono molto interessanti e hanno una bella storia. Sono tre campane grigie e arrugginite, sostenute da delle corde marroni. Immagino che un tempo regnavano su tutta la piazza per chiamare i fedeli alla messa. Il signore che le suonava si chiamava Antonio. Era un uomo che, dopo la morte di sua moglie, viveva da solo e quelle campane erano le sue uniche vere amiche. Anche se non parlavano,  per lui erano tutto: quando, come tutti i giorni, andava in chiesa, alla fine della messa si fermava con loro e ci passava tutta la mattina a confidare loro tutti i suoi segreti, le sue emozioni, i suoi pensieri e le sue preoccupazioni. Antonio passava più tempo in chiesa che a casa, perché era quello il posto in cui stava bene veramente. Aveva dato un nome a tutte e tre: Anna, Letizia e Aurora, perché  gli ricordavano le sue due figlie e sua moglie. Antonio non aveva amici: tutti lo escludevano perché era un uomo povero che viveva in una “casa” che era una capanna di legno e portava sempre gli stessi vestiti. Nonostante tutti questi problemi, non si arrendeva mai, andava avanti sempre e viveva una vita felice. Un giorno i signori nobili volevano distruggere la chiesa per fare nuove costruzioni, ma Antonio, caparbio, riuscì a salvare la chiesa, quindi è solo grazie lui se ancora oggi le campane si trovano a Piazza del Popolo. Queste campane mi piacciono molto: anche se arrugginite, le trovo piene di fascino.
MARTINA SERAFINI, classe 1D, a.s 2018-’19

IL BAR SULLA PIAZZA
Il bar si trova vicino l’arco della scalinata di Palazzo del Popolo. Ha dei tavoli all’esterno e anche all’interno; i tavoli all’esterno sono coperti da due ombrelloni impermeabili che li proteggono dall’acqua. Gli ombrelloni sono bianchi e i pali che li sostengono sono di ferro e di color grigio scuro come le sedie e i tavoli. I tavolini hanno una forma quadrata, invece le sedie hanno sia lo schienale sia il sedile di forma rettangolare con delle strisce che formano dei rombi. I tavoli sono sette, disposti un po’ qua e un po’ là e sopra si trovano vasi di colore diverso contenenti delle piantine di margherite colorate; sotto c’è una tovaglietta grigia chiara e un posacenere di metallo lucido. I tavoli e le sedie poggiano sui sanpietrini tipici di Orvieto e tra ogni pietra è nata dell’erbetta verde. Dall’esterno si vede l’ingresso del bar che ha come copertura una tenda da sole con scritto: “PALACE CAFE’ “. Da fuori l’interno del locale è poco visibile perché dentro è poco luminoso. A me piacciono i bar perché ci mangio cose buone, posso sedermi al tavolo a leggere il giornale e vedere le persone che chiacchierano e passeggiano. Mi ricordo che quando ero piccolo, insieme a mia nonna andavo a fare colazione in questo bar e prendevo sempre il cornetto al cioccolato con un bel cappuccino d’orzo. Visto che il bar si trova sotto il Palazzo del Popolo, ho immaginato che nel Medioevo era un’osteria dove i cavalieri, tornati da una battaglia, andavano a rilassarsi. I cavalli venivano lasciati a riposare sotto l’arco, mentre i cavalieri parlavano della vittoria della battaglia. Mi immagino che fuori dall’osteria si trovavano, come nel bar di oggi, dei tavoli con delle panche di legno dove i cavalieri banchettavano, bevendo il vino. I tavoli e l’esterno dell’osteria venivano illuminati da candele e lanterne. I cavalieri parlavano tra di loro e si raccontavano le avventure vissute, mentre altri si ubriacavano. Mi piacerebbe tanto ritornare nel Medioevo per sentire i racconti dei cavalieri, perché mi piacciono le storie avventurose. Penso che nelle storie, come oggi nei bar, la tradizione di incontrarsi non si è mai perduta. 
GABRIELE BOTTONI, classe 1D, a.s 2018-’19



CERCHIO DI PIETRA
All’apparenza sembra un grande cerchio di pietra davanti al Palazzo del Popolo. E’ un pozzo molto robusto, di pietra, con un gradino in basso, ha sopra una specie di ciotola che assomiglia a quella che utilizzavano gli antichi per bere e mangiare. Salendo il gradino e guardando in basso si vedono delle travi di ferro con una serratura di metallo, sotto questa si trova una rete di metallo arrugginita a causa del tempo e delle condizioni climatiche e sotto ancora un’altra rete, anch’essa arrugginita, di metallo. All’interno una volta si trovava l’acqua. Dato che il pozzo si trova davanti al palazzo, posso pensare che venisse usato dagli abitanti di questo, anche perché so che la maggior parte del popolo prendeva l’acqua dal pozzo di S. Patrizio. Mi immagino quindi i servi del palazzo che la mattina di buon ora escono a prendere l’acqua per i vari servizi. Mentre prima era una costruzione di vitale importanza, adesso si usa soltanto per sedersi e le persone maleducate ci buttano le sigarette. Neanche i turisti lo guardano, perché sembra poco interessante in confronto alla bellezza e alla maestosità del palazzo. Anche se per me questo pozzo è sempre stato abbandonato e sporco, magari per altri sarà una costruzione antica e quindi affascinante.
MATILDE CAMILLI, classe 1D, a.s 2018-’19