cultura

Glauco Mauri porta Tornatore al Mancinelli. E viaggiare nella memoria diventa "Una pura formalità"

mercoledì 5 novembre 2014
di Davide Pompei
Glauco Mauri porta Tornatore al Mancinelli. E viaggiare nella memoria diventa "Una pura formalità"

Penne senza inchiostro. Un telefono che non funziona. L'orologio privo di lancette, a scandire un tempo indefinito e rarefatto. Sono cento, i lunghi - forse anche troppo - ma intensi minuti sferzati dalla pioggia incessante in uno spazio che, solo al termine, si rivelerà ultraterreno. Piove praticamente per l'intera durata dell'atto unico sul palco della finzione. E si bagnano realmente gli spettatori in uscita sprovvisti di ombrello. Spiazzati dal finale, invece, solo quelli che non conoscevano la pellicola – accolta al suo debutto a Cannes nel 1994 con una certa difficoltà dalla critica per l'inquietante genialità e poi considerata "un piccolo capolavoro" dallo stesso Giuseppe Tornatore – da cui "Una pura formalità" è liberamente tratto.

Prodotta in collaborazione con la Fondazione Teatro della Pergola, la non facile versione teatrale portata in scena martedì 4 novembre al Mancinelli di Orvieto dalla Compagnia Mauri – Sturno è il primo spettacolo di prosa in abbonamento per la stagione 2014-2015 dedicata al tema de "Le Coesioni". Dopo il dittico firmato Paolo Rossi, i passetti martellanti di "Flashdance" e la cartolina trasognata degli anni '60 offerta da "L'abito della sposa", l'atmosfera si fa cupa e inquieta. Il palco diventa stavolta insolito commissariato di polizia. Il thriller vira presto, però, sull'introspezione onirica. C'è confusione in Onoff, al secolo Biagio Febbraio. Scrittore il primo, orfano il secondo. Anche se le identità di vittima e carnefice coincidono.

Il presunto assassino è l'assassinato. L'uomo ucciso, un suicida. Fermo nella sua dura ironia conferitagli dall'esperienza, il commissario appassionato dei suoi libri che pure lo inchioda a un interrogatorio snervante in cui ricostruire il passato. Scavando dolorosamente nell'antro della memoria, viaggiando a ritroso nel già visto e vissuto. "Gli uomini sono eternamente condannati a dimenticare le cose sgradevoli della loro vita. E più sono sgradevoli e prima si apprestano a dimenticarle" scrive Onoff in uno dei suoi romanzi.

L'inevitabile parallelo con il film perde presto ragione di esistere di fronte all'intensità delle interpretazioni dell'allestimento. "Il cinema – sostiene Glauco Mauriha le sue ricchezze espressive, il teatro ne ha altre che sono sue proprie. E su un palcoscenico, nel nostro caso, la parola assume un valore non solo di racconto ma anche di invito alla fantasia e alle domande. Domande necessarie all’uomo per aiutarlo a cercare di comprendere quel viaggio a volte stupendo e a volte terribile ma sempre affascinante che è la vita".

I panni dello smarrito scrittore indossati da Gérard Depardieu non sono gli stessi che veste (e bene) Roberto Sturno. Il volto del commissario (Roman Polanski) ha qui il candore dei capelli bianchi e i tempi giusti di Glauco Mauri, spontaneo pur nell'enfasi della teatralità. Contravviene al galateo dello spettatore, il pubblico di Orvieto tributando un applauso d'accoglienza all'ingresso del maestro - classe 1930 - che, per copione, chiama "maestro" Onoff. Sul palco, nel ruolo del gendarme – interpretato già, giovanissimo, da Sergio Rubini – il trentenne Giuseppe Nitti. In stazione – suggestive, nella loro essenzialità funzionale le scene di Giuliano Spinelli – anche Amedeo D'Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore vestiti da Irene Monti che entrano, escono e irrompono sulle note di Germano Mazzocchetti.

"L'intensità del racconto, il suo ritmo, illuminato da emozionanti colpi di scena, una razionale e al tempo stesso commossa visione della vita – spiega Mauri – mi hanno spinto, in pieno accordo con Tornatore, ad una libera versione teatrale. Già il film ha una sua struttura sospesa fra cinema e teatro e questo mi ha molto aiutato nel lavoro. E come negli incontri fortunati, la storia così magnificamente raccontata nel film, ha fatto germogliare in me emozioni inaspettate che diventavano sempre più mie. Un'opera tanto più è valida quanto più dona a un interprete la possibilità di scoprire sfumature umane e poetiche in essa nascoste. Ho cercato di far rivivere tutta la forza drammatica della sceneggiatura modificandone quelle parti che si presentavano con dei connotati troppo cinematografici, preservandone al tempo stesso quell’intensità che dall’inizio ci avvolge nel suo misterioso intreccio. Il racconto rimane oscuro fino al suo sconvolgente epilogo dove i pezzi lacerati di una vita si compongono in una serenità inaspettata e commovente: un capovolgimento radicale di quello che sembrava un giallo".