In "Play House" Francesco Montanari mette a nudo il rapporto di coppia. "Faccio ricerca realistica"

Cos'è che mina le basi di un rapporto di coppia, che logora psicologicamente se stessi e il partner nello stare insieme e scalfisce inesorabilmente ciò per il quale all'inizio si è cercato di conquistare con tanta fatica? Lo stare insieme, quella vita a due che, sempre più spesso, nella società occidentale e contemporanea, sembra essere in salita e a tempo. Sabato 14 gennaio, al Teatro degli Avvaloranti di Città della Pieve, non è andata in scena una storia d'amore, una di quelle che spesso rapisce davanti alla televisione e fa sognare.
Nel monologo di Francesco Montanari, prodotto da LVF Teatro Manini di Narni, realizzato con la collaborazione di Davide Sacco, e atteso ora domenica 22 gennaio alle 17.30 anche al Teatro Boni di Acquapendente, ad andare in scena sono le riflessioni di Simon e Katrina, i due protagonisti di "Play House". E con esse - nell’esperienza collettiva quale è quella del teatro - il confronto tra le aspettative, tra quella favola che viene raccontata sin da quando si è bambini e che trova continuità in un ben definito filone cinematografico e narrativo, e quello che invece può essere la realtà.
"L'amore? Non so cosa è". È lo stesso Montanari, prima di andare in scena, ad ammetterlo. E a suggerire che quello che succederà dopo che il sipario si sarà aperto non ha la pretesa di trattare di questo tema, ma del lavoro di coppia. Persone che all'interno di un rapporto di natura sentimentale ad un certo punto si possono trovare ad interloquire su due livelli diversi e che, per questo, si feriscono, più o meno involontariamente, e riempono di contenuti quella grandissima lavagna che diventa sempre più ingombrante sul palco, ma soprattutto nel rapporto di coppia.
Nell'essenziale scenografia, calcata dall’attore vestito in modo comodo e sportivo, proprio come se il personaggio fosse scoperto dallo spettatore all’interno delle mura domestiche, come spiato dal buco della serratura, ci sono anche una sedia pieghevole e un gesso bianco. A Montanari non serve nient’altro per fare propri i contenuti di "Play House" di Climb e proporli al suo pubblico che, con un sold out, ha risposto alla proposta dell’attore impegnato in questo periodo su più fronti.
Come quello di "Perché leggere i classici", spettacolo che tornerà in Umbria, alla Sala dei Notari del Palazzo dei Priori di Perugia, mercoledì 1° febbraio, dopo essere entrato nella Stagione di Prosa "Sipario!" di Orvieto.
"Mi sono immaginato un ragazzo, un uomo di 38 anni che, a un certo punto, ha finito una storia importante". Così Montanari racconta il suo monologo prima di entrare in scena. "Dopo che ha speculato in psicanalisi, psicologia e psicoterapia per diverso tempo, a un certo punto decide di mettere in scena tredici dialoghi che lui ha avuto con l’ultima partner per capire come lui, nonostante cerchi di crescere e di migliorarsi, alla fine mette in atto le stesse dinamiche di ego riferimento. In scena il suo punto di vista e quello dell’altra, in maniera più obiettiva possibile".
Perché portare in scena un testo come "Play House"?
"Me lo ha suggerito Rodolfo Di Giammarco, autorevolissimo critico, se non l’ultimo autorevolissimo critico vivente. Di Giammarco fa questa bellissima rassegna da anni, chiamata 'Trend - Nuove frontiere della scena britannica', al Teatro Belli di Roma, a Trastevere, nella quale per tre mesi mette in scena solo drammaturgia contemporanea inglese. Non lo conoscevo ed è stato lui che mi ha sollecitato a fare il debutto alla regia, stando comunque in scena".
Lo spettacolo arriva dopo il Covid-19 e le sue restrizioni. Come hanno cambiato il rapporto di coppia?
"Qualche coppia si è rafforzata, altre sono esplose. C’è stata più possibilità di guardarsi negli occhi".
Più tempo insieme?
"Quando sei a casa ci sono meno distrazioni, anche mentali. Durante il Covid-19 tutto era in stand by. Paradossalmente, credo che abbia fatto bene anche per chi ha finito la storia, per quanto sia stato doloroso".
Felicità è stare insieme?
"Dipende dall’individuo e dipende da quanto l’individuo impiega nella crescita individuale per capire che sacrificio non è rinuncia, ma rendere sacra la scelta fatta".
Rinnovandola ogni giorno?
"È chiaro che il concetto culturale di monogamia su larga scala e quello culturale di un rendiconto delle proprie azioni ad un partner sembrano ledere la propria individualità, la propria libertà individuale. Ma non te lo ha ordinato il dottore. È una scelta che tu fai quotidianamente. Consapevole. È chiaro che arrivano milioni di fattori esterni di impossibilità, di pensieri che possono distrarre dal focus. Se c’è realmente una condivisione proficua e costruttiva sulla bilancia, il resto è effimero".
Progetti futuri?
"Sto girando un film francese a Napoli".
Meglio recitare a teatro o davanti a una telecamera?
"Per me la recitazione è una sola: quella credibile e quella non credibile. Senza alcun giudizio io faccio una ricerca realistica, non una ricerca grottesca. La differenza tra tv e teatro è il mezzo nel quale fluisci".

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