"Scappo ché ciò prescia". Nuovo imperdibile libro di Gianni Marchesini

È il figlio di, il fratello di. Ma più di tutto, sopra-a-tutto, è se stesso. Uno ed unico. Voce autentica, vera e verace, la sua. Una delle ultime sulla Rupe, innamorate ancora della Rupe. Controcorrente, quando occorre distinguersi dal coro belante. Critica, per provare a correggere certe insopprimibili storture nostrane. Nostalgico cronista di quel piccolo mondo antico che si attarda ad essere Orvieto, quando Gianni Marchesini intinge la sua penna nell'ironia restituisce il ritratto cittadino più godibile.
Nelle pieghe intraducibili dei non-detti, nobilita lo sguaiato dialetto delle E aperte – quello che certe insegnanti si affannano a sottolineare con la matita blu, salvo poi farne involontario uso orale, senza la stessa musicale spassosa padronanza – e lo ferma su carta. Lo ha fatto già con felice esito nei libri, editi da Zorro Editore, "Sta finestra do' da" (2012), "Mo 'n giorno che è" (2013), "Su e giù dall'ospedale" (2014), "Chiacchiere al mercato" (2015), "Ah, pipì!" (2016).
Finito di stampare a dicembre 2017, l'ultimo volume – con il disegno in copertina di Walter Leoni e la dedica all'amico Antonio Barberani – è "Scappo ché ciò prescia" e in 133 pagine fa il verso ai discorsi veloci di circostanza o di contingenza, origliati e intrapresi, almeno una volta, lungo quel chilometro di corso cittadino che circoscrive il transito – pardon, lo struscio – dei sampietrini a meno della sua metà. Quelli battuti da lue, ma anche da lee, sa'.
Se c'è una trama sottintesa è data dalla somma policroma di situazioni personali e collettive di chi si incontra, si saluta, imbastisce un botta e risposta, ma poi "scappa ché cià" fretta di tornare alle incombenze domestiche del quotidiano. Come se quei colloqui paesani non ne facessero già parte. Perché "Orvieto – annota argutamente l'autore – è un nido di uccelli. Volano alti, scrutano in basso. Attenti a che nulla si muova e a impedire che qualcuno lo faccia".
Dal padellese all'orvietano meno blasfemo, fioccano aneddoti e improbabili, non richiesti, racconti della perdita del bocchettone del bagno e del relativo stato di necessità di chiavi, viti e bulloni tale da molestare ogni tentativo di colazione mattutina. "La signora mia incontra l’altra signora mia, i due uomini s’incrociano e subito battibeccano a voce alta sulla faccenda scabrosa delle prestazioni sessuali ormai mosciotte, il tempo, la temperatura: quella verace di una volta, quella di oggi.
La pircipita, il caldo afoso, l’umidità che provoca le avvertigini, le scarpe nuove carine carine, ma tanto carine sa, la coppa di maiale per la figlia prena, lo splonchise che ce se sta tanto bene, la nipote al telefono con la zia per le supposte dello zio, il Primo Prato della Confaloniera, la nonna che non riesce a capire la nipote iperconnessa, il mercato dell’utere in affitto, l’ajo che me se rinfaccia…".
"È la città che parla, sussurra, dice, abita le parole e gli aneddoti sopra il foglio millennario che la incarta nel fagotto caldo della sua storia". E delle sue tante storie che, fortunatamente, in mezzo a tanta "prescia", c'è ancora chi ha il tempo, il piacere e la voglia di raccontare. "E in che modo, signora mia!".

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