cultura

Omaggio a Orvieto nelle "Chiacchiere al mercato" di Gianni Marchesini

lunedì 2 febbraio 2015
di Davide Pompei
Omaggio a Orvieto nelle "Chiacchiere al mercato" di Gianni Marchesini

"Veramente me pareva che c'ero io signo'...
Guardate che quanno séte 'rivata voi, io ero qui già da 'n tantino. Pò esse ch'ero nascosta e non m'ete vista...
Oh, allora vorrà dì che sarò guercia...
Eh, si dite che non v'ho vista ho da esse guercia pé forza...
Madonna quanto s'offennemo subito! E che è...mamma mia oooh...".

Risposta facile. È uno dei momenti più realistici e spassosi delle tante "Chiacchiere al mercato" che l'affilata penna di Gianni Marchesini firma per Zorro Edizioni. In distribuzione in edicole e librerie da poco più di un mese – è arrivato sotto l'albero a due giorni da Natale, con l'inconfondibile copertina di Walter Leoni – il libro è dedicato "allo zio Nello" ma in fondo anche a tutta Orvieto – con la E aperta, di lèe e non lue – da sempre bistratta eppure feconda di situazioni gradevoli a cui attingere.

Lo fa, abbandonando ogni filtro narrativo, trasponendo brandelli di vita che il tempio profano della comunità locale – il tradizionale mercato cittadino di Piazza del Popolo – è in grado di produrre. All'ombra del grande palazzo di tufo, sciamano l'Adua, la fija de la sarta, e poi l'Elvira, l'Ernesta, la Giulia, la Giovanna. Un esercito rosa che va a 'ntrufolà la pe le panne, quelle usate de le napoletane, pé vedé si trovasse qualcosetta de monno ch'ogni tanto 'n capo carino ce se spizzica. Fosse anche di colore blé.

Un mondo ciarliero, sordo e garrulo. Talvolta sguaiato ma vero, mosso dall'affanno di donne e donnette che, ogni giovedì e sabato che Dio manda in terra, si fronteggia con Fabio, Mario, Paolo 'l bolsenese che c'ha le pommidore Scatolone e quelli due che jé dicono l'angeli perché se chiamono Angelo e Angela. C'è l'anziana serva Annetta che, salvo do' me tocco, ha da pijà le fiore de scimpanzè ch'ha ordinato la contessa ma Settimio, il fioraio de Bagnoregio.

Marchesini origlia e traspone battibecchi, incombenze e patemi. Anche su carta, profumano lo stesso il banco di Pacioni, le spàrbice de Bagni, il plèidde di Peparello. Le risate più sonore, le regala la Manu che, Dio caro, su la cassetta c'appoccia l'fijo, in mezzo a un via vai d'altrettanta prole, San Martino l'accresca, diretta in Fonfalonèra. Aneddoti ed episodi s'intersecano a meraviglia, andando oltre la facile risata che suscita la stessa espressione desueta sentita sulla bocca di qualche nonna. L'autore ne conosce un campionario infinito. Ne pratica il prezioso recupero, ne padroneggia l'uso, piegandolo sociologicamente alla piacevolezza di un racconto che, pure, si presta a molteplici letture, tutt'altro che scontate.

"Chiacchiere al mercato – spiega – termina un ciclo di quattro libri con i quali ho voluto raccontare, usando per lo più il dialogo tra i personaggi, il mutare del dialetto orvietano percorrendo un tratto di storia del costume della città partendo dagli anni del dopoguerra per giungere, con quest'ultimo libro ai giorni nostri. I poderi della conduzione mezzadrile, lo spopolarsi delle campagne con l'avvento della società industrializzata e del welfare sociale, nel dialogo di due anziane ex pastorelle con i due Sta finestra do' daMo 'n giorno che è e la fine degli anni ottanta con Su e giù dall'ospedale quando nessuno di noi era un nativo digitale, il cellulare era un desiderio ancora non realizzato e i ragazzi amoreggiavano con il telefono a gettoni".

Si ride, anche stavolta, e tanto. Ma si riflette anche su come la piazza, il mercato, la città e la vita stessa siano cambiate. Si parla a Orvieto di Orvieto. Senza rischio Amarcord, con pennellate sensibili. Tra le righe, fioriscono sentimenti. Dietro la sbandierata grinta, c'è anche la solitudine impotente di chi scopre che il marito ha trovato in una moldava su a San Francesco, l'amica. In un flusso lungo 179 pagine, si rasenta l'apnea lessicale, la saturazione emotiva. Le stemperano figure un po' snob trapiantate al paesello che sanno apprezzare le virtù di provincia. Le rinvigoriscono le pruderie ormonali e vedovili di chi, all'ora dell'aperitivo, gira per i banchi al guinzaglio di Orazio.

Dovuto, arriva il riconoscimento a chi si affaccia sulla piazza. Delicato, il ricordo di chi c'è stato quando 'l mondo mica era questo de oggi dove da l' nome de na santa come Maria Maddalena se va a fini a quello de 'n cane come Mad. Ecco, dunque, la Siria, co' la foja de bieda su la capoccia, pe' orecchini du cerase e l'immancabile aneddoto della banana. La Bianchini, col carretto e tutte quelle fije piccole. Fuccellino, co' li polli. Egidio Maroni e Marasco co' aghe, spille e specchie al seguito. C'è Orvieto. E tanto basta.

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