Addio a Luis Sepúlveda. "A cena per i suoi 70 anni ci disse: «Voglio tornare a Orvieto»"

"Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso". Una voce sospesa tra l'America Latina, a cui apparteneva, e l'Europa, dove si era rifugiato, quella dello scrittore cileno Luis Sepúlveda, attivista instancabile ed eccellente narratore, diventato popolare ai più nel 1989 con "Il vecchio che leggeva romanzi d'amore", dedicato a Chico Mendes, e poi con le favole per raccontare ai bambini i sentimenti universali.
Fino all'ultimo, giovedì 16 aprile, il "cronista degli ultimi" ha combattuto contro quel Coronavirus che non guarda in faccia a nessuno. Nemmeno a Carmen Yáñez, poetessa e sua moglie due volte. Né a lui che, vigliaccamente, ha prima fiaccato e poi spento in un letto d'ospedale del Principato delle Asturie, l'Ospedale Universitario Centrale di Oviedo. In assonanza linguistica con la città iberica, incastonata tra i Monti Cantabrici e il Golfo di Biscaglia, e per amicizia profonda con Stefano Cimicchi e i fratelli librai Riccardo, Enza e Monica Campino, "Lucho" era venuto sulla Rupe tre volte.
"Amava Orvieto – ricorda l'ex sindaco – e si riprometteva sempre di restare qui da noi per scrivere. Magico il rapporto con i Campino. Credo che in questo momento stiamo soffrendo tantissimo. Lucho e Carmen rimasero commossi quando dissi loro che 'Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare' (venerdì 17 aprile, alle 16.20, su Italia1, il cartoon) era uno dei tre libri più importanti di sempre insieme a 'Il Piccolo Principe' e a 'Siddharta'. La mia famiglia ed io siamo onorati di averlo conosciuto e di aver, sia pur in minima parte, contribuito a costruire la sua amicizia con Slow Food e Carlin Petrini".
La prima volta ad Orvieto fu insieme ad altri celebri scrittori sudamericani e al primo cittadino di Bethlehem, Hanna Nasser, per "La frontiera scomparsa" con l'iconico scambio del segno della pace ai piedi del Duomo. Nel 2011, poi, per il fu "Orvieto Food Festival", felice intuizione nata per nutrire soprattutto la mente con itinerari gastronomici, degustazioni, laboratori, incontri, presentazioni, spettacoli, workshop e dibattiti con illustri relatori del mondo del giornalismo, della letteratura, dello spettacolo, dell'imprenditoria, dell'attualità.
Ad intervistarlo fu Gianni Minà. In quell'occasione, Sepúlveda equivocò Fabio Volo, al posto di Reno Montanucci, come titolare di quel caffè delle meraviglie che di lì a poco avrebbe compiuto cent'anni. L'ultima volta ad Orvieto, nel 2014, ospite della rassegna letteraria "Il Libro Parlante", per dialogare di felicità sulla panchina in legno della Bottega Michelangeli con Carlo Petrini e metterla in pratica di fronte ad una torta al semolino in formato gigante sfornata per l'occasione dal lungimirante imprenditore. Tra "politica con la P maiuscola", "mondo possibile" e "ammore" con un paio di M.
Rivoluzionario come un guerriero pacifista e politico senza far politica in senso stretto, l'infezione, Sepúlveda, l'aveva contratta a febbraio di ritorno a casa, a Gijón, dopo aver partecipato ad un festival letterario in Portogallo. "A Milano, durante una cena ristretta agli amici italiani per festeggiare i suoi 70 anni compiuti il 4 ottobre – ricordano oggi, con affetto, i fratelli Campino – ci disse che aveva grande desiderio di tornare ad Orvieto. Adorava il cioccolato di Montanucci. A gennaio 2011 per il Corriere della Sera scrisse un articolo in cui parlava del suo rapporto con i librai di tutto il mondo".
"Ricordo – si legge in quel testo – che vari anni fa camminavo per le vecchie strade di Orvieto quando all'improvviso mi fermai davanti a un negozio di cioccolato senza poter credere ai miei occhi. In vetrina c'era un libro mio, con una fedele riproduzione della copertina, fatto tutto di cioccolato. Chi mi conosce bene sa che dietro questo aspetto e questi modi da orso si nasconde un timido della peggior specie, e quel giorno, vincendo la timidezza e pregando che non mi riconoscessero, entrai in quella reggia del cioccolato e domandai se il libro era in vendita.
Pensavo ai miei figli, alla sorpresa che gli avrei fatto tornando a casa con un volume commestibile. Una gentilissima commessa mi guardò, e con il più bello dei sorrisi rispose: è tuo, Luis, e speriamo che ti piaccia. Ma quella meravigliosa esperienza non finì, perché poco più avanti mi resi conto che tutti i negozi di Orvieto avevano preparato riproduzioni dei miei libri confezionandole con la loro incomparabile arte, e la responsabilità di quell'attentato alla mia linea ricadeva su una cara libraia che, col suo affetto, aveva mandato in fumo tutte le mie buone intenzioni di dimagrire".

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