cultura

#UJW25 Il diario di Elio Taffi - Seconda giornata: la classe di Luca Velotti

sabato 30 dicembre 2017
di E. T.
#UJW25 Il diario di Elio Taffi - Seconda giornata: la classe di Luca Velotti

La seconda giornata inizia più consapevolmente della prima. Prima convinzione ineludibile: la colazione deve essere di quelle toste. L’ottimo caffè di Dolceamaro, in tarda mattinata, diventa da miraggio realtà; irresistibili poi i cangianti fruttini canditi bagnati in ottimo cioccolato fondente. Così corroborato, non temo intoppi di qualsivoglia natura.

Al Palazzo dei Sette, il Meeting Point - Non Stop Music mantiene sempre alto il gradimento del pubblico che si avvicenda ai vari spettacoli giornalieri: una buona intuizione di qualche anno fa continua a confermare la sua attrattiva. Il Luca Velotti Quartet si esibisce di fronte ad una platea ben disposta; Velotti è riconosciuto alfiere del jazz italiano, noto al grande pubblico per la più che venticinquennale collaborazione con Paolo Conte. Sassofonista e clarinettista ambivalente, alterna magistralmente l’uso dei due strumenti proponendo composizioni piacevolissime somministrate con uno stile d’altri tempi. La sua predilezione per il jazz classico me lo rende graditissimo: sempre emozionante riascoltare Louis Armstrong… Ma una sorpresa, eclatante, è il Velotti autore: “À la créole” è un brano eccelso! E io che pensavo fosse difficilissimo riuscire a trovare nuove melodie ammalianti al giorno d’oggi. Un tema efficace e sinuoso, in re minore, che attira l’interesse degli appassionanti presenti i quali, giustamente, tributano al compositore un boato di apprezzamento.

Abbiamo goduto di un’ora di grandissima musica, Maestro Velotti; non l’avevo mai ascoltata dal vivo e mi ha colpito particolarmente il garbo con cui ha porto la sua musica. Complimenti vivissimi per lo spettacolo! Perché Velotti è diventato un grande del Jazz? Come si è appassionato a questo genere?
Beh, intanto grazie di questi complimenti perché a me recano sempre piacere. Eppoi, fatti da un musicista hanno ancora più valore, per le orecchie attente di chi li ha formulati. Mi sono avvicinato al jazz perché a dodici anni il mio amico del cuore, Angelo Loy (nipote di Nanni Loy), aveva dei dischi di jazz suonato da Benny Goodman e del primo jazz di New Orleans. Io suonavo una cosa un po’ strana per un bambino: a sette anni eseguivo musica barocca con il flauto dolce in quartetto di flauti ma appena sentii il clarinetto jazz impazzii di felicità. Era l’unica cosa che mi dava veramente gioia e da lì è iniziato tutto; sono andato alla ricerca di insegnanti e musicisti jazz che mi potessero far conoscere l’arte dell’improvvisazione e come funzionava; trovavo però tutti insegnanti di musica classica, tanto che mi sono diplomato al Conservatorio in clarinetto. Poi mi imbattei in Francesco Forti, persona fondamentale per la mia crescita artistica, grande musicista jazz dal quale presi la forza necessaria per intraprendere decisamente questa strada. Fino ad arrivare a Paolo Conte: è stata tutta una excalation fortunata.

Il suo ultimo disco?
È uscito da poco “Moonray”, un disco a cui tengo molto e che contiene, per la prima volta, mie composizioni.

Come “À la créole”?
Esatto.

Fantastica! Ha visto che risposta il pubblico?
Bellissima!

Che ritmo ha? Mambo, rumba?
Ma si, io quando l’ho scritta ho pensato a Capoverde, alle atmosfere creole. Paolo Conte mi ha insegnato ad ascoltare ed apprezzare le cose belle, anche non jazzistiche, e quindi a spaziare con gli occhi e le orecchie.

Ne sono rimasto ammirato, una musica suadente ed affascinante.
Grazie, mi fa molto piacere.

Quanto resterà qui ad Orvieto?
Sino alla fine, suoniamo tutti i giorni; sono per la prima volta al Winter di Orvieto, città che conosco perché venni a suonare anni fa al Teatro Mancinelli con Nicola Piovani e che mi ha colpito stavolta per il bel clima musicale che si respira.

Grazie, maestro, per la sua cortesia: buon anno!
Grazie a lei, di cuore.

Dopo questa inattesa sorpresa, le intenzioni sono le migliori e mi portano alla Sala Expo dove mi sarà possibile assistere ad uno dei concerti più richiesti: l’omaggio a Joni Mitchell di una ispirata Maria Pia De Vito.

La cantante italiana ha ampio spazio nel cartellone di Umbria Jazz Winter #25 e in “So Right” può sfoggiare il proprio immenso talento vocale grazie al repertorio caleidoscopico della cantautrice americana. Si capisce che Mitchell è una sua passione per l’intensità con cui avvolge ogni singola nota; la pronuncia è curatissima come l’intonazione che sembra provenire da uno strumento perfettamente equilibrato. Impressionante l’uso delle mezze tinte per non parlare dei falsetti, lievi ed ottimamente sostenuti grazie ad un impegnativo lavoro di diaframma. Ripensando, a distanza di ore, a quel concerto ricordo ancora distintamente la splendida scenografia sonora disegnata dai musicisti impegnati in “So Right”: il pianista Julian Oliver Mazzariello ed il contrabbassista Enzo Pietropaoli; impressionanti sono gli schemi timbrici praticati: un’ora di musica di altissima classe dove si percepisce nitidamente il livello tecnico dei due senza che essi eccedano in virtuosismi esteriori o gratuiti. Mazzariello è sicuramente il pianista italiano dal futuro più fulgido; la sua mostruosa sensibilità gli permette di frequentare con i medesimi, eccellenti risultati tutte le sfumature del jazz.

Magici sono gli appoggi accordali coi quali, soffici come nuvole, fa rimbalzare le vibrazioni della De Vito; la conclusione delle frasi musicali, spesso ottenuta con nude ottave gravi della sinistra, rivela un gusto ed una perizia rarissimi. Bravissimo! Pietropaoli conduce la regia armonica degli arrangiamenti con i bassi più indovinati che io abbia mai ascoltato. Poche note, ma neanche una di meno del necessario. Di tanto in tanto graffia lo spartito con qualche pulsione improvvisa che ricorda ai più distratti che siamo in presenza di un peso massimo del contrabbasso internazionale. Inutile dire che Elio Taffi è rimasto rapito dal trio De Vito-Mazzariello-Pietropaoli, seguito con la massima attenzione da una sala strapiena che annovera decine di spettatori in piedi. Meraviglia!

Cosa vedere ancora, dopo un simile evento?

Sicuramente qualcosa di più disimpegnato e la scelta cade ancora sul palco del Meeting Point dove stanno suonando Sugarpie & The Candymen. Li conosco e so cosa aspettarmi: buona musica, ironia, divertimento. Alcune versioni di classici del rock e del pop vengono riadattati sotto una originalissima lente jive, caratterizzata da tempi incalzanti, cambi di ritmo, tonalità calde e battute ilari.

Il successo è assicurato e l’atrio del Palazzo dei Sette, tutto esaurito anche in questo caso, avvolge la band con applausi convinti e prolungati.

Ancora concentrato sulle suggestioni del concerto De Vito-Mazzariello-Pietropaoli, mi dirigo verso il Duomo; a metà strada sento provenire dalla Chiesa degli Scalzi armonie ordinate e soavi: un altro concerto, questa volta dell’ensemble e del coro della Scuola Comunale di Musica di Orvieto che presentano una serie di composizioni pertinenti con le festività di questi giorni. Quello che ci voleva per chiudere solennemente una seconda giornata coi fiocchi!

Buonanotte a me e buongiorno a voi.

 

#UJW25 Il diario di Elio Taffi - Prima giornata di emozioni musicali