cultura

Era Tardis su Enterprise. Ovvero come le interviste si trasformano inaspettatamente

lunedì 29 giugno 2015
di Uberto Rossi di Marsciano
Era Tardis su Enterprise. Ovvero come le interviste si trasformano inaspettatamente

Livia di Schino apre la finestra della redazione - è il giorno della festa del Corpus Domini - e raggi di luce colorata, riflessi dai mosaici del duomo, inondano improvvisamente la stanza, tinteggiando le sue bianche pareti in un modo quasi magico. La finestra dà infatti sulla piazza principale d’Orvieto e su quel “gigante buono” il cui profilo emerge mastodontico dalla rupe, lo stesso che io mi aspetto compaia dopo ogni curva quando scendo la Val di Chiani, e che corro a salutare non appena entro in città, osservandolo dalla scalinata con il naso all’insù, come un bambino corre ad ammirare la grande quercia davanti a casa dopo una sofferta lontananza, con i piedini sulle sue radici affioranti.

Un forte profumo di sugo di cinghiale (pappardelle?) entra ora dalla finestra, e io, colpito nei miei sensi, dimentico la preparazione all’intervista, i propositi e le strategie premeditate, e in questo stato semiconfusionale faccio ciò che non avrei mai voluto, cioè lasciare il pilotaggio di Enterprise a Livia (una donna!) che ne ha già preso i comandi lanciandomi la prima domanda, e lasciando a me il sedile accanto…

In questo modo, in uno stato psicologico misto tra l’estatico e il terrorizzato inizia l’intervista, che continua così fino ad una svolta: “…Livia, ti racconto poi di quando nel seicento Ercole e Baldino di Marsciano uccisero sulla porta del castello di Parrano un Marescotti, il padre di quella che diventerà santa Giacinta. Sai che ho scoperto che questa notizia nel 1667 fu totalmente censurata sul libro dell’Ughelli, per evitare incidenti diplomatici tra le due famiglie?”.

Livia sorride soddisfatta e sembra dirmi: “Buon motivo per scriverla sul mio pezzo!” Così, di aneddoto in aneddoto, l’astronave Enterprise si trasforma rapidamente nel Tardis di Doctor Who, una macchina del tempo dentro cui mi sento a mio agio, e con la quale io e Livia passiamo da un secolo all’altro raccontando mille storie, mentre lei cattura alcuni spunti su un taccuino come un’ape sceglie baldanzosa i suoi fiori, accarezzandoli con voletti corteggiatori, per poi posarsi sopra ed estrarne il nettare.

Io pure mi lascio trasportare qua e là aprendomi come un ventaglio, passo dunque alcune ore parlando (felice) delle mie ricerche decennali sulla storia della mia famiglia materna -i Marsciano- con le vicende che entrano nelle macro e micro storie italiane e orvietane, ma anche più varie come della mia infanzia e delle mie passioni, delle cadute negli sport e di qualcuna “figurata” della vita, o anche del tracciato di strada che porta da Montegabbione a San Venanzo che mi ricorda una navigazione sulle onde gigantesche dell’Atlantico tempestoso, e soprattutto dell’Umbria, anima mundi platonica, con il suo silenzio assoluto dietro i morbidi colli, i papaveri rossi e il verde intenso della clorofilla sotto la luce calda del mattino, gli sterminati campi di girasole e di tabacco, il profumo del fieno arrostito sotto il sole, e per finire il canto di cicale e di grilli: perché l’Umbria ogni volta che la guardi non è mai uguale a se stessa. Ma dopo tre ore la macchina del tempo e dell’anima si ferma e noi finalmente scendiamo, o come Doctor Who e Clara Osvald usciamo, per congedarci.

Sceso dalla macchina del tempo salgo a cavallo della mia vecchia Harley, un’altra specie di cupa macchina del tempo -in una Orvieto quasi rovente che si sta ancora godendo la sua festa più importante dopo Pasqua e Natale- per tornare alla mia casa di sempre, in Lombardia. Mi aspetta un viaggio lungo e solitario, che a volte sfrutto per fare riflessioni, per auto-psicanalizzarmi o per “curarmi” la mente.

Allungo il mio corpo sulla sella e cominciano, come sempre, a scorrere davanti e dentro me immagini, pensieri e frasi catturate nella giornata; capisco allora che tutto è riposto nella sensibilità e capacità di Livia, appassionatissima giornalista, che sono sicuro farà un gran lavoro di sintesi ed elaborazione, ma soprattutto che questa opportunità di fare un viaggio in Enterprise che mi è stata offerta, e che verrà offerta ad altri, è un modo per diffondere e mettere a disposizione idee, studi, conoscenze ed esperienze che altrimenti rimarrebbero sconosciuti o limitati a piccoli ambiti.

Difficilmente senza di essa io avrei immaginato che gli esiti delle mie ricerche e dei miei studi potessero interessare il pubblico. Saperlo è ora per me uno stimolo a fare ancor di più nella ricerca storica e nella sua diffusione, e per questo io le sono debitore morale. Lunga vita a Enterprise e alla sua autrice Livia di Schino!

 

L'immagine "Era Tardis a Orvieto" è stata realizzata da Walter Moretti.