cultura

Uberto Rossi di Marsciano, un territorio a guelfa memoria

mercoledì 10 giugno 2015
di Livia Di Schino
Uberto Rossi di Marsciano, un territorio a guelfa memoria

Rappresentare con orgoglio il proprio casato nella storia. Con passione, signorilità e modestia. Uberto Rossi di Marsciano lo sta facendo con i propri studi, ma anche nelle rievocazioni storiche. Come quella del Corpus Domini, nella quale anche quest’anno ha attraversato le vie del centro storico di Orvieto con lo stemma della propria famiglia. Impresso su una bandiera dai colori giallo e rosso, adagiata sulla sua spalla.

Uno stemma che, memore del passato, si rincorre in alcuni dei piccoli centri dell’Alto orvietano, come nella città buzziana, la Scarzuola di Montegabbione, nella sua versione “primitiva”, prima che fosse insignito dell’aquila per volere dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Non poco per un Casato storicamente guelfo, vicino al papato e al potere temporale della Chiesa, e che tra i suoi personaggi annovera una beata, Angelina di Marsciano, la fondatrice del Terzo ordine regolare francescano femminile, e un vescovo, Giuseppe di Marsciano, del quale Uberto ha trattato di recente nell’ultima pubblicazione Colligite Fragmenta della diocesi di Orvieto –Todi nella ricerca “I Marsciano, Orvieto e il Santissimo corporale”.

(lo stemma dei Conti di Marsciano a Carnaiola)

Il racconto di Uberto - che ha visitato la redazione di Orvietonews.it rendendosi disponibile ad una lunga ed articolata analisi del territorio - è un’interessante ricostruzione del passato. Da un punto di vista sicuramente inusuale, quanto raro. Quella di chi discende da una dinastia che ha dominato un territorio per secoli. Da quando nel Medioevo, intorno al ‘300, il suo casato estese progressivamente la dominazione da Parrano verso est, raggiungendo Marsciano. Un territorio che fu costellato di feudi di splendida bellezza, come quello di Carnaiola, e dove le vicende locali si sono intrecciate con quelle che si studiano sui libri di scuola.

Erano altri tempi, quelli narrati da Uberto e rievocati anche a Monteleone d’Orvieto nel corteo storico del 16 agosto quando a contendersi il dominio sul Castrum sono il Nobile casato dei conti di Montemarte e il Casato dei conti di Marsciano. I secoli delle dame, cavalieri e capitani di ventura, nei quali alle donne di alto rango spettava la cura della famiglia o la vita monastica, avviata attraverso un severo insegnamento dalla nascita come per la manzoniana Monaca di Monza, e agli uomini le armi o la carriera ecclesiale. Ciò per motivi di primogenitura ed ereditari, ma anche perché ai nobili non era permesso lavorare, se non amministrare la legge.

Periodi della storia nei quali non si andava di certo sul sottile sulle questioni di cuore o di interesse economico e dove la convivenza forzata poteva finire nel sangue, nei modi più cruenti e spietati. Senza che ci fosse possibilità di appello. E le conseguenze delle proprie azioni si pagavano, fino in fondo. Come nel caso di Ercole e Baldino di Marsciano che nel 1608 hanno aspettato Marcantonio Marescotti sul portone del castello. Esattamente del loro castello, essendo state due famiglie che amministravano contemporaneamente, in periodi alterni, Parrano. I parenti di Uberto presero a roncolate il Marescotti fino a vederlo giacere a terra inerme. Per finirlo con un ultimo colpo e porre la parola fine alla sua esistenza e ai loro comuni interessi. Un gesto estremo, liberatorio per chi lo portò a termine, che fu però punito dal clero in modo eclatante ma mai come sarebbe stato fatto per un popolano. Ercole e Baldino di Marsciano furono allontanati dal feudo, al quale dovettero rinunciare.

Un gesto violento, lontano dall’immagine che ha invece lasciato di sé il capitano di ventura Antonio di Marsciano, che date le sue capacità si trovò a combattere soprattutto per la Serenissima accanto al Gattamelata. Con il quale ebbe un rapporto di reciproca stima e per questo gli fu concessa come sposa, in un matrimonio combinato come era usanza, Todeschina, una delle figlie dello storico capitano di ventura. A tramandare ai posteri un Antonio di Marsciano spirituale e altruista è stato il suo testamento, nel quale l’aristocratico si è ricordato di tutti coloro che lo avevano accompagnato nella sua esistenza, servendolo con onestà e devozione. Ma la bellezza di quel testo, scritto con ardore e studiato con passione da Uberto, è rappresentato dall’amore che emerge, che si percepisce, nel susseguirsi delle parole, per quella giovanissima sposa, cresciuta sin dalla sua tenera età al suo fianco.

Una figura femminile che ha suscitato intense emozioni in Uberto che, trovando ispirazione proprio da personaggi come questo, ha iniziato a raccogliere gli epistolari di famiglia, soprattutto quelli al femminile. Nei quali ha scoperto donne veramente interessanti dai comportamenti inimmaginabili, “che di certo le cose non le mandavano a dire nemmeno a Sua Altezza il duca di Modena”. E proprio Uberto è il primo a sorprendersi delle parole ardite scritte da giovani nobildonne della sua dinastia già a partire dal ‘700.
Prima di quella Rivoluzione francese che sconvolse anche la sua famiglia, che anche per il casato dei Conti di Marsciano fece franare le certezze sulle quali per secoli si era edificato l’esercizio del potere, assoluto su quei territori che forse sarebbero dovuti essere amministrati più da vicino. Come quello di Guardea, che era tra i più ricchi.

(l'Albero Genealogico pubblicato dall'Ughelli nel 1667)

Dal ‘600, infatti, gli antenati di Uberto si erano spostati alla corte dei sovrani del ducato modenese, dove anche alcune delle madonne del suo casato si erano guadagnate dei ruoli di primaria importanza, come dame di compagnia e alle quali era affidata l’organizzazione di eventi mondani. Nei quali si creavano incontri e si sancivano alleanze, tra le eleganti sale arricchite da prestigiosi quadri ed emblemi della potenza dell’aristocrazia.

Ma quando in Francia, alla corte di Luigi XVI, si iniziarono a respirare i venti della ribellione, fu assaltata la Bastiglia e furono fatte rotolare le teste di chi nemmeno le aveva mai chinate se non in chiesa e di fronte al monarca, la sua famiglia pensò bene di cercare salvezza a Roma e in Umbria, dove, nonostante il trasferimento a Modena, avevano mantenuto i loro feudi. Regione dove ancora vivono un paio di cugine della madre di Uberto, la contessa Maria Teresa di Marsciano.

E’ stata proprio lei a sostenere il figlio nella grande passione. Una sete di sapere, alla scoperta delle proprie origini. Una passione che ha emozionato Uberto per la prima volta all’età di otto anni, quando notò sulla scrivania del conte -suo nonno- un libro finemente rilegato. Nel quale c’erano alcuni nomi di posti lontani, come Montegiove e Migliano, sconosciuti e mai uditi prima di allora. Luoghi che lui, vivendo al nord, avrebbe un giorno trovato e ammirato.

Una passione che da quel momento non è mai svanita del tutto, rimasta forse sopita tra i tanti interessi dei quali Uberto ha fatto esperienza negli anni: come il windsurf con magnifiche gite in Francia, come la canoa tra ninfee e scenari da sogno, ma anche legati all’ebbrezza del pericolo e dell’alta velocità, mettendosi in gioco e cercando ogni volta di superare i propri limiti. Eccolo quindi, su scoscese discese con lo snowboard, lanciarsi nel vuoto con il paracadute e provare, anche nella progettazione, sempre nuovi modelli di moto e macchine. L’interesse e l’impegno sono poi riaffiorati, sfogliando uno studio pubblicato nel 2006. Un lavoro nel quale si trattava della sua famiglia, ma nel quale il blasonato casato ha riscontrato alcune lacune.

Uberto è ritornato alla carica e armato di costanza, proprio come avevano fatto i suoi antenati nelle più ardue battaglie, ha intrapreso una personale crociata. Quella contro il tempo, al quale non avrebbe permesso di disperdere il suo nome e quello della sua famiglia, fagocitato nei meandri della memoria. Quei luoghi, che da bambino aveva solo immaginato e poi sentito nei discorsi dei nonni e della madre nei salotti patrizi, sono stati quindi raggiunti. Conosciuti e amati nella loro storia, incastonata nella selvaggia natura e nella più profonda spiritualità. Riscoprendo questi contesti, nei quali chi è in pace con se stesso può sentirsi veramente appagato, Uberto ha ritrovato una parte della propria essenza, del proprio essere e di quel passato che non può e non vuole dimenticare.

La storia dei Conti di Marsciano su Wikipedia.