cultura

Il "Claude Glass" di Marco Saverio Loperfido riflette un progetto di narrazione del territorio

lunedì 1 dicembre 2014
di Davide Pompei
Il "Claude Glass" di Marco Saverio Loperfido riflette un progetto di narrazione del territorio

Da specchietto in voga tra i pittori del '700, per studiare l'inquadratura migliore, a insegna del negozio di robivecchi, dove viene rivenuta una lettera scritta secoli prima. Espediente letterario romantico, quest'ultimo, funzionale ad avviare uno scambio epistolare tutt'altro che convenzionale. Metafora stessa delle azioni dei protagonisti, fermato su copertina da Luca Salce, il curioso "Claude Glass" in questione è anche il titolo del romanzo d'esordio di Marco Saverio Loperfido, pubblicato da Annulli Editore, "una piccola casa editrice indipendente che aspira a diventare grande e a rimanere indipendente".

"Lo chiamiamo il romanzo dei paesaggi – esordisce l'editore Leonardo Annulli, in occasione dell'annunciata presentazione in programma sabato 29 novembre alla Libreria Parole Ribelli di Orvieto – collegato com'è a una serie di progetti sulla valorizzazione del territorio. Perla della collana NarrAzioni, 'Claude Glass' è una novella intrisa di impegno civile, una bellissima opera di fantasia, un romanzo epistolare dove la narrazione sfocia nel pamphlet, scavando nella società per far emergere le sue contraddizioni. I temi, in realtà, sono molteplici".

"Farne una scaletta – conviene l'autore – è difficile. 'Claude Glass' è legato a tutta la mia vita degli ultimi vent'anni". Laurea in Filosofia, dottorato di ricerca in Servizio Sociale, attenzione ai fenomeni migratori nella Tuscia laziale, utilizzando l'approccio metodologico della sociologia visuale, maturato anche grazie alle esperienze come documentarista. In lui, passione, interessi e mestiere sembrano coincidere. Lasciata Roma per Orte, ha lavorato come libraio a Viterbo. Poi ha scoperto la torre di Chia, rifugio di Pier Paolo Pasolini a cui ha dedicato un documentario.

"Osservando con attenzione il paesaggio – racconta – avevo tutto un ribollire di questioni da porre. Sul modo di costruire di prima e di ora. Sulla percezione del, e l'approccio al, bello solo perché antico. Questioni pseudo-filosofiche che non trovavano grande riscontro tra i miei coetanei. Ci ho aperto su un blog e in due anni e mezzo non ho suscitato alcun commento. Ho continuato a studiare queste tematiche fino a che non hanno preso la forma del dialogo fittizio tra Sebastiano Valli e Robert Grave. Moderno fotografo il primo, paesaggista inglese arrivato in Italia nel 1792 per compiere il Grand Tour di formazione, l'altro".

"Non volevo prendere posizione su quello che vedevo – spiega – o meglio avevo bisogno di due estremi per capire io per primo cosa pensavo al riguardo, mettendolo su carta. Sotto forma di dialogo magico, interamente giocato sull'incastro narrativo. Conosco bene i luoghi descritti. I due discutono nel tempo di come sono mutati il tempo e lo spazio. Si scambiano le anime, sovvertendo gli stereotipi. Per dirla in termini sociologici, gli stranieri hanno un nuovo accesso alla società, la vedono con occhi nuovi e più oggettivi.

L'inglese, meglio di un italiano, è quindi in grado di dialogare, raccontando un'Italia che non c'è più. Così come faceva Pasolini testimoniando il genocidio culturale che ha portato all'abbandono delle campagne. È stato forse il primo a sottolineare le cesure nette con il passato affrontando questioni, anche politiche, di speculazione urbanistica e consumo selvaggio del territorio".

Così come il Sebastiano del libro, ha sentito il bisogno di prendere e andare anche Marco Saverio, raggiungendo qualcosa come 65 tappe in due mesi, dal 1 marzo al 1 maggio, per creare un sentiero unico, una cucitura tra realtà, nella convinzione che le strade non uniscano i luoghi ma le persone. Ideatore e curatore di www.ammappalitalia.it – dove ognuno può contribuire a far conoscere un itinerario, sul modello partecipativo di OpenStreetMap che vede all'opera miliardi di persone – ha realizzato a piedi la mappatura della provincia di Viterbo con "Il Giro della Tuscia in 80 giorni", progetto dal quale saranno presto tratto un libro e un documentario. Dura 80 secondi, tutti camminamenti e suggestioni, l'anticipazione proiettata.

"L'idea – chiosa – è creare una rete che colleghi i borghi tra di loro, recuperando il fascino di mulattiere e sentieri scomparsi sotto colate d'asfalto. Spesso quelle battute a piedi non coincidono con le strade moderne percorse dalle auto. Camminare è un atto solitario, mappare un'esperienza per la collettività. Organizzare un percorso equivale così a rivitalizzare un tessuto di posti secondari, grazie alle persone del luogo".