cultura

La prefazione di Romano Prodi

mercoledì 22 maggio 2013

Le belle pagine su cui il lettore si accinge a soffermarsi non sono un trattato di economia o di politica, ma la storia di una vita, non attraverso i ricordi dell'autore, ma attraverso le sue attente riflessioni sul mondo che ci sta attorno.
Si parla quindi di argomenti diversi, dalla scuola tecnica da cui il giovane autore ha cominciato le proprie esperienze
fino alle appassionate analisi sul mondo, le sue ingiustizie e l'iniqua distribuzione dei redditi fra i suoi abitanti.
Il filo conduttore è tuttavia sempre coerente per tutto il lungo corso degli anni, cioè lo stretto legame fra gli
avvenimenti e le loro conseguenze sulle persone. Ogni evento è giudicato non per i suoi effetti immediati, ma per i riflessi futuri che esso avrà sulla vita di tutti noi.
Uno stile che si manifesta già nello scritto giovanile sull'Europa. Un componimento come quello che tanti di noi
sono stati forse obbligati a scrivere durante gli anni della scuola media superiore ma che, in questo caso, ci offre
riflessioni che sono ancora attuali a oltre cinquant'anni di distanza. Riflessioni su un Europa che può crescere solo se
sarà in grado di meditare profondamente sulle proprie forze e sulle proprie debolezze, senza superbia e senza isolamenti.
Altrettanto attuali sono le osservazioni sulle potenzialità, sui rischi e sui cambiamenti necessari perché l'Italia possa
utilizzare in pieno i vantaggi che la cooperazione europea può offrire al nostro paese. Una saggezza giovanile che permette all'autore di non contraddirsi quando, scrivendo sullo stesso argomento a cinquantacinque anni di distanza, analizza l'egoismo dei paesi europei più potenti e le difficoltà di un'Italia che, come egli scriveva nel lontano 1958, pensa più a Garibaldi e al proprio passato che non ai comportamenti che bisogna tenere per garantirsi un futuro.
Molteplici sono nel libro le riflessioni sulla nostra economia e, soprattutto, sul sistema delle Partecipazioni Statali, oggetto di una politica economica più attenta ad ascoltare gli umori del paese che non gli interessi reali dei suoi cittadini. In questa ottica gli scritti che riguardano la crisi siderurgica sono particolarmente efficaci nell'illuminare le
difficoltà delle trasformazioni delle aziende ed i limiti di una politica industriale che dovrebbe guidare le aziende stesse al di fuori e oltre la crisi. La massima attenzione degli scritti del nuovo secolo riguarda tuttavia la politica e l'economia in un'ottica mondiale, esaminate non sotto l'aspetto puramente tecnico o quantitativo, ma soprattutto con uno sguardo attento alla distribuzione del reddito, alle crescenti ingiustizie e all'incapacità delle strutture sovranazionali a provvedere al rimedio di queste ingiustizie. Sia che si tratti del fallimento dei grandi vertici che avrebbero dovuto provvedere ad una più equa distribuzione delle ricchezze della terra, sia che si tratti delle incertezze dei G8 a impostare le necessarie riforme del governo mondiale, la condanna per la chiusura e l'egoismo dei paesi più forti è non solo vigorosa, ma profondamente motivata.
È severo il giudizio sul G8 come rito inutile in quanto incapace di prendere le decisioni sull'economia e sull'ambiente necessarie per il futuro del pianeta, proprio perché questi potenti del mondo rappresentano solo una parte del reddito mondiale e, soprattutto, perché non è possibile decidere sulle sorti del mondo se intorno al tavolo dove sono prese le decisioni non siedono anche la Cina, l'India, il Brasile, il Messico e i rappresentanti dei paesi più poveri.
Le osservazioni di Aldo Sorci in materia non si limitano però a constatare il quasi totale fallimento di questi vertici,
ma esaminano le conseguenze più profonde delle ingiustizie di un'economia malata e senza etica che "non uccide solo per fame e miseria, ma annienta spesso l'anima e la speranza delle persone, spingendole al suicidio".
Questi esempi diventano la prova concreta della mancanza di regole e di etica della politica mondiale. O meglio della mancanza di etica e dell'esaltazione "di un'assoluta libertà di mercato e di una tragica libertà di darsi la morte". La battaglia contro il liberismo senza regole degli ultimi due decenni del secolo scorso è infatti il motivo di fondo delle riflessioni sul mondo contemporaneo, in una visione in cui la dottrina di mercato deve essere assolutamente riequilibrata da un'attenta presenza di uno stato non intrusivo ma saggiamente arbitro. La critica al sistema capitalistico senza regole si fa naturalmente più serrata negli ultimissimi scritti, tutti dedicati a capire e a fare capire le ragioni e le conseguenze della crisi economica nella quale siamo tuttora immersi. A questo punto l'analisi diviene sempre più pessimista, non tanto perché manchino i mezzi finanziari per affrontare la crisi ma perché, durante le crisi, gli egoismi crescono ed i nazionalismi "invocano il protezionismo e spesso purtroppo, anche da noi, il razzismo". Ognuno, cioè "si preoccupa dei suoi guai ancora più di sempre ed i governi avranno il consenso popolare per sostenere ancora il "selfish capitalism", che potrà anche avere origini storiche nei paesi anglofoni, come afferma Oliver James, ma che ha certamente coinvolto gran parte del mondo".
Non credo che un aggiornamento ancora più avvicinato nel tempo di questi scritti porterebbe a conclusioni diverse sul comportamento dei governi e delle organizzazioni sovranazionali: le tensioni fra paesi ricchi e paesi in difficoltà sono in Europa più forti di prima, il trasferimento del simbolo del potere mondiale dal G8 al G20 non ha portato ai cambiamenti sperati e la divisione fra ricchi e poveri continua a crescere tra l'indifferenza generale.
L'unico spiraglio di speranza nasce dal fatto che le riflessioni dei politici, degli economisti e dei filosofi sono sempre più orientate verso un'assoluta ed indifferibile necessità di cambiare rotta, con le correzioni che Sorci suggerisce al termine della sua attenta analisi del contenuto della "Caritas in Veritate", riguardo alla quale egli si sofferma soprattutto sull'indissolubile legame fra il bene individuale ed il bene comune e sulla necessità di un'etica che costituisca fra di loro un solido legame.
Aldo Sorci non trova certo, nelle sue ultime analisi, un conforto sulla possibile messa in atto di questi alti ammonimenti. Se lo trovasse tradirebbe lo spirito che pervade tutto questo libro, che è una realistica riflessione su quanto avviene ed un sereno giudizio sulle mancanze e sugli errori compiuti. L'onestà del giudizio impedisce all'autore di offrirci la prospettiva di un futuro facile paradiso, ma ci aiuta certamente a riflettere su come sia possibile contribuire a un piccolo miglioramento del mondo in cui viviamo.

Bologna, 3 aprile 2013
Romano Prodi


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