Un altro punto di vista: il rischio di un'altra storia
da "Quotidiano umbro", 9 agosto 2009
Si è affermata negli ultimi decenni una tendenza, che è politica, ideologica e anche storiografica, a riscrivere la storia dell'Italia contemporanea; numerosi sono stati i volumi editi che già nel titolo sottolineano questa volontà: l'altro Risorgimento, l'altra Resistenza, per ricordare due degli eventi sui quali maggiormente si è concentrata l'attività di revisione storica. Un'altra storia, dunque, che spesso ha contribuito a portare alla luce verità lungamente negate ma altrettanto sovente ha messo in campo un uso politico della storia, finalizzato a favorire un mutamento dell'immaginario storico e culturale dell'opinione pubblica. Tutto questo collocato sullo scenario presente, che sembra assegnare agli studi storici una sfida molto precisa: la trasformabilità della memoria e della storia in mercé dell'industria culturale.
Siamo di fronte, infatti, a un mutamento di ordine, innanzitutto economico, che imprime un carattere bulimico e compulsorio a quello che noi chiamiamo "revisionismo". Le verità acclarate e generalmente accertate, e accertate in sede storica, sono merci che diventano rapidamente obsolete nel mercato culturale. Non si vendono facilmente, anzi non si vendono più: occorre perciò manipolarle, renderle nuove, sensazionali, per trovar loro nuovi compratori. In questo senso, un caso emblematico è rappresentato dai volumi di Giampaolo Pansa che con la sua scrittura suadente, con la sua chiarezza espositiva e un uso onesto delle fonti, è riuscito a portare al grande pubblico fatti che da sempre gli storici specialistici conoscevano, ma che la storiografia ufficiale aveva omesso. Così il "giornalista-storico revisionista" è stato capace di rompere il silenzio, di riportare alla ribalta dolori e sofferenze seppellite e dimenticate, elevandosi al ruolo di vendicatore. Anche in Umbria, un certo autoritarismo culturale, ha fatto sì che, relativamente alla Resistenza e al ruolo dei partigiani, per lungo tempo, abbia prevalso una ricostruzione unilaterale, che ha privilegiato il mito rispetto alla storia. Convenienza e retorica hanno a volte sotterrato, insieme ai cadaveri, molte scomode verità.
Oggi, per fortuna, le cose sono diverse e tutta una serie di pubblicazioni, portate avanti anche dall'Istituto per la storia dell'Umbria contemporanea, stanno mettendo in chiaro il ruolo militare della Resistenza, la composizione delle bande partigiane e l'apporto problematico degli slavi, fuggiti dopo l'8 settembre 1943 dai campi di internamento, come quello di Colfiorito, gli eccessi di alcune frange della lotta clandestina nei confronti della popolazione civile e dei fascisti repubblichini.
Ora, affermato che il male è qualcosa di umano che prescinde dagli schieramenti postumi, il rischio concreto di chi si accinge, anche animato da serie intenzioni di "revisione", a scrivere "un'altra storia" è quello alla fine di accomunare fascismo e antifascismo, considerandoli come opposti eccessi. Il risultato finale di tale operazione di riscrittura è quello di avallare un'interpretazione storica pacificatrice, per cui il carattere autentico dell'identità nazionale sarebbe rappresentato da quella parte maggiore del popolo italiano che avrebbe assistito da estraneo, o con atteggiamenti di puro soccorso umanitario, agli eventi, in attesa del loro sviluppo. Secondo questa visione i combattenti sui due fronti, fascista e antifascista, rappresenterebbero una deviazione estranea alla nostra tradizione, che resta essenzialmente moderata, ostile agli eccessi, aperta a ogni aggiustamento e garantita dalla presenza stabilizzatrice di istituzioni secolari, come la Chiesa. All'antifascismo, alla Resistenza, quali fattori costitutivi delle istituzioni e della vita repubblicana, verrebbe così a sostituirsi la categoria dell'attendismo, virtù di saggezza pratica, invece che vizio di apatia, molto più conforme al genio proprio degli italiani, che sempre tra gli opposti eccessi hanno preferito procedere diritti.
Certamente oggi l'idea di una guerra civile obbligatoria spaventa, ma allora era dettata dall'indignazione morale; basta leggere, per esempio, le lettere dei condannanti a morte della Resistenza. Da esse emerge un'altra Italia. Un Paese di uomini e donne appartenenti a tutte le età e a ogni classe sociale, consapevoli del dovere della libertà e del prezzo che essa in momenti estremi comporta. Del resto, già nel 1947, uno dei più grandi scrittori del Novecento, Italo Calvino, nel suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, nel quale racconta probabilmente la sua esperienza di ventenne che per sfuggire alla leva della Repubblica di Salò, insieme al fratello, sale in montagna ed entra nella seconda divisione d'assalto "Garibaldi", rinuncia a qualsiasi tentazione di rappresentazione celebrativa e trionfalistica della Resistenza. I suoi protagonisti sono individui "marginali", talvolta "irregolari" e tutt'altro che contraddistinti da una "coscienza di classe" o da una definita "coscienza politica". Per Calvino, la Resistenza diventa una sottile linea di confine, lungo la quale scegliere di stare di qua o di là e la scelta non risponde a un processo chiaro, razionale; entrarono in gioco, nell'una e nell'altra parte, sentimenti simili: ci voleva nulla per trovarsi da una parte o dall'altra, scrive Calvino.
Allora nasce il problema: cosa distingue, nonostante l'affinità eventuale, gli uni dagli altri e rende la valutazione drasticamente e insuperabilmente contrapposta? A dividere gli uni dagli altri c'è "la storia", che dà un senso giusto, positivo, alla furia degli uni e ricaccia gli altri dalla parte sbagliata di coloro che volevano riprodurre l'oppressione e la schiavitù. Se si dimentica questo si perde il senso della storia, che non può essere ridotta ad una somma di casi individuali, ognuno preso per sé e tutti giustificabili. Il senso della storia è che ai partigiani dobbiamo quello che non avevamo: libertà e giustizia, mentre se avessero avuto ragione gli altri ce ne avrebbero ancora più brutalmente privato. Se la distinzione tra le due posizioni non è mantenuta si scrive un'altra storia, ma si legge male la storia del passato.
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