Sull'Alfina cala un complice silenzio, ma il pericolo ambientale resta

L’inverno dell’Alfina è rigido, ventoso, sospeso nell’incertezza dei rami che contrastano la tramontana. Sospeso come il destino di un Altopiano che fatica a trovare la sua destinazione, soprattutto la sua identità culturale, storica, ambientale e agroalimentare. Dal margine della collina che sprofonda sulla Valle di Benano, il Monte Peglia sembra distante quanto il vapore di un respiro d’inverno. Il Monte Peglia diventato patrimonio dell’Unesco, l’Altopiano dell’Alfina sospeso nell’incertezza di trovare una forma di tutela alle speculazioni che ciclicamente mettono in pericolo la tenuta di un ecosistema delicato quanto prezioso.
Solo citando le “emergenze” che negli anni hanno “mobilitato” i cittadini - attività estrattive, fotovoltaico, biomasse e geotermia - si ripercorre una storia di almeno vent’anni che continua a manifestare sempre lo stesso schema. Anzi, sempre lo stesso problema: quello di non aver mai trovato una soluzione alla valorizzazione/salvaguardia/tutela dell’Alfina.
Qual è il rischio? Probabilmente quello di perdere definitivamente non solo la concezione del tempo, ma anche quelle eccellenze ambientali che ancora oggi resistono sul territorio e che coinvolgono un vasto mondo di sensibilità che vanno dall’agricoltura, all’ambiente, alle attività venatorie, al turismo, fino alle esigenze dell’imprenditoria locale e non. Sicuramente nessuno ha l’intenzione di trasformare l’Alfina nel territorio degli Hobbit, ma altrettanto c’è il sacrosanto bisogno di affrontare il problema con formule concrete.
Da mesi, con più o meno evidenza pubblica, si parla di un Distretto (prima Parco) agricolo, ambientale e culturale dell’Alfina, che seppur circoscritto alla porzione di Alfina burocraticamente ricadente nel Comune di Orvieto rappresenta il primo “esperimento” di un dibattito di valorizzazione/salvaguardia/tutela dell’Altopiano. Intorno a questa discussione sono circolate voci, azioni dimostrative dei cittadini (raccolta firme), attenzioni imprenditoriali e non, rifiniture più o meno velate della politica locale e regionale, impegni più o meno mantenuti delle istituzioni pubbliche coinvolte.
Morale della favola, la situazione dell’Alfina rimane ferma. Ingessata nel trovare soluzioni concrete ad una programmazione di valorizzazione che sia in grado di superare il dibattito sterile di quella che qualcuno vuole riassumere solo nell’azione di contrasto alla coltivazione intensiva delle nocciole per uso industriale che si sta impiantando nella zona delle “Quattro Strade” - San Quirico.
Sicuramente se da una parte l’Alfina volge al Monte Peglia dall’altra lo sguardo si sofferma sull’imponente “duna italica” dei Monti Cimini. Un luogo magico con potenzialità e bellezze immense, meno se si pensa alle battaglie per la salute e la salvaguardia dell’ambiente che da oltre vent’anni stanno conducendo gli abitanti e le associazioni della zona contro l’inquinamento generato dai trattamenti chimici sui noccioleti. Su questi argomenti più volte si sono soffermate le stesse associazioni orvietane che - parlando della situazione dell’Alfina -, non solo hanno evidenziato gli interventi di compromissione del paesaggio, ma soprattutto hanno fatto riferimento all’eventuale effetto che alcuni tipi di trattamento delle nocciole possono avere sull’ecosistema.
Di fronte a questa vicenda, oggi, cosa sta avvenendo? Poco o Nulla! Tutto è rimasto fermo ai mesi addietro, all’esito di una riunione tra tutti i soggetti interessati che di fatto non ha prodotto una sintesi adeguata. Quali prospettive per il futuro? Inconfutabilmente l’Alfina ha bisogno di una sua identità, di un percorso di valorizzazione e salvaguardia. Il patrimonio Unesco? Tanta Roba! Al momento è meglio rimanere aggrappati alla realtà e ragionare a far evolvere le soluzioni che sono sul tavolo, magari confrontando le esperienze di altri territori, raccontando la bellezza dell’Altopiano, valorizzando le attività locali che esistono e che con fatica si mantengono in vita, evitando che chi ha deciso di viverci scelga di andarsene. L’Alfina aspetta…
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