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Un vasto cartello di associazioni ambientaliste a difesa della falda acquifera dell'Alfina: un esposto-denuncia sull'attività della cava di Acquapendente

lunedì 21 settembre 2009
Un vasto cartello di associazioni ambientaliste a difesa della falda acquifera dell'Alfina: un esposto-denuncia sull'attività della cava di Acquapendente

Di nuovo mobilitato a difesa del territorio interregionale dell'Alfina un vasto cartello di associazioni ambientaliste che, lo scorso 20 agosto, hanno presentato esposto-denuncia alle Procure della Repubblica di Viterbo e Orvieto, ai NOE- Nuclei di Tutela Ambientale dei Carabinieri di Roma e Perugia e al Corpo Forestale dello Stato di Acquapendente. A scendere in campo sono ACCADEMIA KRONOS UMBRIA, AMICI DELLA TERRA DI ORVIETO, APE, ASSAL DI ACQUAPENDENTE, COMITATO DI PROCENO, LEGAMBIENTE VITERBO, WWF DI ORVIETO, che denunciano il rischio di inquinamento della falda idropotabile sotterranea determinato dall'attività estrattiva della cava di basalto in località Le Greppe di Acquapendente.

L'esposto-denuncia è sostanziato, a giudizio dei firmatari, da una precisa documentazione che attesta l'intercettazione, per lunghi periodi di tempo (dall'aprile 2006 al maggio 2009), della falda acquifera sul fronte di escavazione della cava incriminata. Secondo i denuncianti il filmato e le foto contenute nell'esposto mostrano infatti senza alcun dubbio la fuoriuscita di abbondante e costante acqua dal fondo del piazzale di cava, e precisamente all'intersezione della parete del fronte di scavo con il piano rappresentato dal piazzale.

Confermando, come da sempre sostenuto dalle associazioni del territorio e da estesi studi scientifici commissionati anche da enti ed istituzioni pubblici, la natura del tipo a "multifalda" dell'acquifero del tavolato vulcanico dell'Alfina, cioè con presenza di più falde idriche (falde sospese) in interconnessione con la falda di base nelle vulcaniti, e quindi ad elevato rischio di inquinamento di tutto il sistema delle acque profonde, se esposto ad attività estrattiva. Tali tipologie di acquiferi sono infatti estremamente vulnerabili per la loro alta permeabilità, dovuta sia alla porosità delle vulcaniti (piroclastiti) che alla fessurazione dei corpi lapidei (lave) e quindi per la elevata velocità del flusso idrico sotterraneo; per cui una volta tolto lo strato superiore pedogenizzato (detto anche "terreno vegetale", vera ed unica protezione) qualsiasi inquinante raggiunge rapidamente gli strati sottostanti.
"Da qui la incompatibilità, da tempo da noi reclamata - affermano le associazioni che hanno sporto denuncia - delle attività estrattive in essere, o peggio un loro eventuale ampliamento, con l'uso della risorsa idropotabile, sia sul versante laziale che umbro, data la natura unica dell'altopiano".

Le associazioni ambientaliste fanno poi notare che questa mancanza di cautela è inammissibile, dato che la risorsa idrica potabile è sempre meno disponibile, tanto che ha costretto gli Enti locali ad onerosi investimenti sull'Alfina per cercare di utilizzarla al meglio per tutta la popolazione di confine dei due comprensori regionali. Com'è noto infatti il cosiddetto "conservone" di Castelviscardo è oggetto di ripetuti riempimenti di acqua potabile, trasportata con autobotti, per sopperire alle esigenze estive. In questa situazione, già di palese carenza idrica, appare veramente incomprensibile come si possa contemplare la prosecuzione, se non addirittura l'ampliamento, di attività estrattive dichiaratamente compromettenti la qualità e quantità della risorsa idrica in questione, anche a rischio della salute pubblica, considerata appunto la particolare vulnerabilità idrogeologica dell'altopiano e la facilità di intercettazione delle falde idriche da parte di inquinanti.

"Giova infatti far presente - aggiungono le associazioni - che la stessa ARPA Lazio, coinvolta dall'Assessorato Ambiente della Regione Lazio con una richiesta di supporto tecnico nella valutazione degli aspetti di natura idrogeologica riguardanti la cava in oggetto, abbia ricalcato appieno il modello di rischio idrogeologico indicato in questi anni dalle associazioni attraverso le perizie idrogeologiche (relazioni Prof. Biondi 2006 -2008), le osservazioni ai progetti di ampliamento presentati dalla ditta esercente la cava ed in totale allineamento con i numerosi studi commissionati da enti pubblici come appena sopra detto, oltre alla natura idropotabile della risorsa idrica dell'area. Il che rafforza la preoccupazione delle associazioni firmatarie circa la possibilità di analoghe interazioni nelle altre cave di basalto attive sul tavolato vulcanico (Botto, Castel Viscardo, Proceno) stante la comune natura dell'acquifero".

L'esposto-denuncia ha da un lato lo scopo di sollecitare la Magistratura inquirente di intervenire per l'accertamento di eventuali reati sussistenti in via commissiva ed omissiva, disponendo indagini di polizia giudiziaria per l'accertamento dei fatti e la punizione degli eventuali colpevoli; dall'altro vuole segnalare ancora una volta la preoccupazione delle associazioni organizzate di cittadini del territorio e di quelle ambientaliste in merito alla tendenza da parte degli enti pubblici di continuare e addirittura accelerare la concessione di spazi sempre maggiori per le attività di escavazione in un'area ormai unanimemente riconosciuta a grande rischio idrogeologico. Da non sottovalutare poi il fatto che scelte siffatte comprometterebbero, fortemente ed in maniera irreversibile, le altre economie rinnovabili, come l'agricoltura di qualità, il turismo legato al paesaggio, il turismo ambientale, le attività culturali, le attività legate al soggiorno residenziale. A far ben sperare le associazioni è l'apertura, giovedì, del tavolo interregionale del "Progetto dell'Alfina", considerato un possibile ed efficace strumento per fare da baluardo alla devastazione del territorio e del paesaggio.

Al via il Tavolo interistituzionale-interregionale per la salvaguardia dell'Alfina. Prima riunione giovedì

Video della falda acquifera inquinata