ambiente
Microarchitetture del quotidiano: corpi e relazioni per un modo nuovo di intendere l'architettura nelle città
lunedì 25 febbraio 2008
Si svolgerà il 2 marzo a Milano, a cura del Politecnico di Milano e della rete delle "Città vicine", il Convegno su "Microarchitetture del quotidiano. Sapere femminile e cura della città". Pubblichiamo, da oggi a seguire, alcuni degli interventi preparatori del congresso che, non prettamente contestualizzati in qualche realtà locale, possono risultare di interesse generale e, magari, anche di stimolo e di riflessione per la nostra realtà cittadina.
La rete delle "Città Vicine" riunisce uomini e donne - urbanisti/e amministratori/e, cittadini/e che condividono un modo innovativo di affrontare il tema della città e dell’architettura. L’intento è di raccogliere e promuovere esperienze di progetto urbano che esprimano la cura della città a partire dai corpi che la abitano e dalle relazioni che la attraversano.
Nell’epoca della “surmodernità” la città pare vivere esigenze in forte contrasto. Da un lato sta la questione ambientale che comprende una lunga serie di istanze (aria pulita, traffico diradato, tempo lento, consumi consapevoli) che pongono il tema del limite. Dall’altro sta una sorta di “egoismo tecnologico” che impone e si impone una strada senza via d’uscita di consumo cieco e irrinunciabile che guarda con insofferenza qualsiasi limitazione.
Dal sapere femminile addestrato all’intelligenza domestica e all’arte della cura – un sapere capace di uscire dalle case e porsi come competenza sul mondo – sono nate e possono svilupparsi pratiche di progetto e di politiche spaziali in grado di ricucire la ferita ecologica ed esistenziale delle nostre città con una sorta di mediazione tra la “sfida tecnologica” e la verità dello “stato di fatto delle cose”.
Il codice della cura può apparire un paradigma antico e sembra contraddire il mito di una potenza tecnologica che si attiva a superare ogni confine naturale e corporeo, tuttavia può sembrare il più adatto ad affrontare il panorama sociale che si va delineando nel nuovo secolo. Un secolo che vede il mescolarsi delle dimensioni del pubblico e del privato grazie alla crescita del protagonismo femminile nella scena del mondo, all’affermarsi dell’associazionismo e delle iniziative spontanee delle e dei cittadini, al potenziamento di una sempre più larga economia di servizi oltre che alla necessità della cura per le cose, per la terra e per l’ambiente.
Il discorso sulla città può partire solo dall’attenzione alla natura sessuata dei corpi che la abitano e al loro divenire.
Non solo quindi un corpo standard, un utente appiattito rispetto a un’unica funzione, come fu concepito secondo il paradigma produttivo della città industriale, ma dai mille corpi abitanti, dalla “città delle molte genti”. Come trovare una misura che raduni e concili le molteplici vite che compongono la nostra società ormai sempre più complessa? Ad esempio prendendo come unità di misura i corpi dei più piccoli, i corpi di bambine e bambini rispetto ai quali ricongiungere spazialmente i corpi delle donne e degli uomini con le loro reciproche differenze, dei disabili, degli anziani e dei giovani.
Ormai da molti anni a partire dalle istanze femminili e dalla necessità di conciliare tempi di vita e tempo del lavoro, sono nate le politiche dei tempi urbani, ora “Urbanistica dei tempi”, nella ricostruzione disciplinare che ne ha fatto Sandra Bonfiglioli. Questa produzione fertile ha avuto una ricaduta sull’organizzazione degli spazi, dando origine a una nuova generazione di progetti chiamati microarchitetture del quotidiano.
Le microarchitetture si espandono tra le molteplici tipologie dei viventi, diventano percorsi protetti, panchine e agevoli scalinate, luoghi di sosta e di riposo, oggetti nuovi e imprevisti utili allo scambio e alla relazione, esperienze assennate per l’economia delle città, arte urbana, luci e ombre, arte della cura.
Una città che accoglie dentro le sue antiche pietre e i suoi nuovi cementi la misura dei piccoli, dove una carrozzina scivola facilmente sui marciapiedi e per le strade, dove una madre può cambiare o allattare il suo bambino nei bar e nei locali pubblici, dove un nonno può trasportare il passeggino per le scale del metrò o salire agevolmente su un autobus, dove scuole, cortili e giardini si aprono nel tempo del giorno: è una città che cambia il suo volto e insieme il carattere del welfare non più ridotto a semplici strutture di asilum, di ricovero in spazi protetti.
Si configura una città aperta tra pubblico e privato, in cui il pubblico si fa domestico.
È un cammino già in parte intrapreso in molte città, soprattutto del Nord Europa, e rispetto al quale il Convegno delle "Città vicine" vuole chiamare a raccolta intelligenze ed esperienze di donne e di uomini.
In correlata il primo dei contributi che pubblicheremo.
Microarchitetture del quotidiano. Contributo di Anna Di Salvo dell’associazione 'Città felice' di Catania: il senso dell'abitare e la qualità della vita gestiti dai/dalle cittadini/e

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