cultura

"La moglie perfetta" è anche felice? La risposta nello spettacolo di Giulia Trippetta

domenica 13 novembre 2022
di Livia Di Schino

Se in vino veritas, la condizione de "La moglie perfetta" non è poi mica tanto desiderabile come potrebbe apparire da patinati opuscoli e rassicuranti precetti elargiti da Giulia Trippetta nel corso della sua fantomatica docenza romana, al TeatroBasilica. Questo anche in una società dove a contare (e a scrivere la storia) era solo l’uomo. "Gli uomini fanno la storia, le donne le lavatrici".

Giulia Trippetta, dal 9 al 13 novembre 2022, nel suo monologo ha voluto regalare perle di saggezza al suo pubblico, specialmente a quello femminile. In chiave ironica, Trippetta è ritornata ancora una volta sulla questione di genere, un tema a lei particolarmente caro, che l’ha portata negli anni a scoprire, leggere e approcciarsi a vari testi.

Prepara la cena. 
Sii bella.
Sii dolce e interessante.
Sistema la casa.
Fallo sentire a suo agio.
Prepara i bambini.
Diminuisci al massimo il rumore. 
Fatti vedere felice. 
Ascoltalo.
Mettiti nei suoi panni. 
Non lamentarti.

"Questi undici precetti, prima di essere da me portati in scena, facevano parte di una guida alla buona sposa che veniva elargito alle donne spagnole del '900 tra gli anni '30 e '70". E’ la stessa Giulia Trippetta, attrice regista dello spettacolo, che spiega a cosa si è ispirato il proprio monologo (produzione Fattore K), che si è avvalso anche di fonti dirette con interviste di approfondimento a donne di varie generazioni.

Un lavoro di scavo nella condizione della donna nel passato che per Trippetta è funzionale a comprendere quale percorso di emancipazione si sia sviluppato fino ai giorni nostri. Proprio come su Spem, anche in questo caso, l’attrice dalle origini umbre, ha sfoderato una delle sue armi vincenti: quella dell’ironia. "Strumento prezioso, questo - sottolinea, sorridente - che è funzionale a far passare anche concetti ostici e difficili".

In un gioco spazio temporale, tra Italia e Spagna e tra passato (all’inizio della narrazione siamo nel 1957) e presente, si è dipanato lo spettacolo, allestito in maniera minimalista proprio per non dare inutili salvagenti ad un pubblico lasciato alla deriva delle proprie riflessioni e al quale si è richiesto di partecipare attivamente.

Riflessioni, lezioni, testimonianze, interventi, interlocuzioni: un vortice, un groviglio di flutti, che hanno nutrito ragionamenti interni, restituendo ai presenti una situazione di disagio, un malessere per qualcosa di irrisolto. Un qualcosa da aggiustare, come "un femore rotto che è indice di un matrimonio ben riuscito", che in scena è sfociato in un disperato sfogo da parte della protagonista solo dopo aver bevuto qualcosa. Di alcolico. Un drink che, alleggerendo finalmente i freni inibitori, ha dato lucidità ad una situazione di mera apparenza, ben lungi dall’autenticità della persona. 

E mentre i precetti ritornavano alla mente, ecco avanzare la solitudine, non solo causata dalla propria dimensione familiare (marito e figli), ma anche e soprattutto da se stessi. Un mancato ascolto passato che ha portato a sterzare la propria vita su scelte imposte, dal plauso sociale, e ad allontanare, giorno dopo giorno, i propri desideri. Possibili da raggiungere solo attraverso un cambio culturale, una possibilità reale di scelta, un percorso di consapevolezza e un'indipendenza economica, che solo lo studio e il lavoro possono dare.

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