#UJW24, il diario di Elio Taffi -2. Tra fuoriclasse e frutteti musicali

Non ricordavo proprio che l’avventura a Umbria Jazz Winter minava così massicciamente il mio ritmo sonno-veglia. Scrivere, soprattutto quando non è il proprio mestiere, è veramente impegnativo! La sveglia è inclemente ma il dovere mi chiama. Confido nella colazione da Valentina per risollevarmi dal leggero torpore mattutino: un caffè macchiato ed una fragrante camilla sembrano riuscire nel miracolo.
La prima tappa mi porterà al Museo Emilio Greco, location che prediligo per l’intimità che riesce a creare fra artisti e pubblico. Gli spettatori sono ad un metro e mezzo dagli esecutori ed il colore terra di siena”, dominante nella struttura interna, accentua il calore familiare che ivi si respira. Steve Wilson e Lewis Nash sono i due fuoriclasse che si esibiranno in forma di duo sassofono-batteria, organico fondato nel 2001 ed ormai perfettamente collaudato. Si sa che i due strumenti non sono proprio fatti l’uno per l’altro ma avrò modo di persuadervi dell’ottimo equilibrio che è possibile raggiungere.
Innanzitutto, siamo in presenza di autentici fuoriclasse. Entrambi padroneggiano - che meglio non sarebbe possibile - il proprio strumento. Ascoltarli è veramente un privilegio. L’unitarietà espressiva di intenti è sorprendente; effettivamente Steve e Lewis si conoscono alla perfezione; ogni più piccola nota veloce trova sicuramente assoluta pertinenza con le altre e gli intrecci sono magnifici. Il timbro, poi, è di gran livello: ma dov’è il pianoforte? Si, avete letto bene: armonie e giochi di note sono così geniali da dare l’illusione che a crearle sia una piccola orchestra e non un semplice duo sassofono-batteria. I settanti minuti del concerto scivolano via che è un piacere, un altro momento indimenticabile di questa ventiquattresima edizione.
Carlo Pagnotta, il patron di UJW, è in prima fila a gustarsi l’eccezionale duetto; è felice e si vede da lontano: ancora una volta, il suo fiuto non ha sbagliato.
Mister Carlo, Steve Wilson e Lewis Nash sono stati strepitosi, fra le cose più belle che abbiamo sentito!
Non a caso è la terza volta che vengono in quattro anni.
Li ha scelti direttamente lei o glieli hanno suggeriti?
Io, io. Li incontrai a New York, una decina di anni fa, in uno showcase. Erano già due personaggi famosi, li sentii suonare insieme e proposi loro subito di venire ad esibirsi per il mio Festival.
Erano già così bravi?
Si, sono ancora migliorati, anno dopo anno. Sono ragazzi intelligenti, continuano a studiare e sperimentare.
Ma il pianoforte, Carlo, dov’era?
Il pianoforte? Io direi l’orchestra, sembrava che fosse proprio un’orchestra a suonare. Una delle cose più belle di questo Festival.
Vedere il signor Pagnotta così contento è indicativo della qualità del concerto a cui ho assistito!
Dopo un rapido spuntino, a grandi falcate verso il Meeting Point: mi attende Max Ionata Organ Trio. Leader lo stesso Ionata (sax), con Alberto Gurrisi (hammond) e Nicola Angelucci (batteria). L’hammond, in una piccola formazione jazz, restituisce un sound tutto particolare: diventa quasi il regista - non troppo occulto - delle operazioni. La scrittura è densa, articolata, complicata; si, complicata. L’ensemble è compatto ma non riesco ad afferrare bene la cifra stilistica che lo contraddistingue: evidentemente la lezione di George Coleman è ben presente nella vena di Ionata. Mi ripropongo di riascoltare più avanti questo trio. Probabilmente, troppa la distanza dal clima magico respirato al Museo Greco per esprimere un parere serio e consapevole.
Un’altra breve pausa e subito dopo alla Sala Expo di Palazzo del Capitano del Popolo. Ancora un ritorno, per me graditissimo: Allan Harris e la sua band. Voce calda e vellutata, stile elegante e classe da vendere: Harris è un croner - e che croner - capace di ridare smalto ad un ruolo vocale non poi così diffuso. Anche il pubblico americano lo adora, dopo tanti anni di dura gavetta. Le sue interpretazioni ricordano il tono ispirato e pastoso del mitico Frank Sinatra, ogni parola è porta con compiutezza e indubbio fascino. Pur amandolo da subito, non ricordavo che Allan Harris fosse artista di questo calibro. Voglio citare Jesse Jones Jr., storico sassofonista da sempre fedele scudiero di Harris, eccezionale nei soli ma soprattutto una vera e propria sagoma (!): tiene perfettamente la scena, pur ad una età non particolarmente lieve, con movimenti misurati e sapienti ed una gestualità comunicativa fuori dell’ordinario. Questo si che è un concerto da non mancare, ed anche per questo artista cercheremo un nuovo ascolto nei prossimi giorni.
L’evento più atteso e già andato esaurito prima che iniziasse Umbria Jazz Winter #24: Around Gershwin, il progetto firmato Giovanni Tommaso dedicato al più grande musicista americano di tutti i tempi. Ce lo aveva detto: Tommaso vuole portare per mano Gershwin ad ammirare il suo frutteto musicale. Il contrabbassista di Lucca, attivo dagli anni 50, è il depositario della grande tradizione italiana, illuminata da mille e ancora mille esperienze professionali che ne hanno tracciato uno stile sicuro, definito ed inconfondibile. Tommaso non vuole riproporre elaborazioni su musiche di Gershwin, ma vuole utilizzarne i più noti standard da cui far partire la sua fluente vena compositiva. Ecco: brani originali in cui lo stimolo è la melodia preesistente del compositore russo-americano.
Il progetto è vincente anche grazie alla presenza di comprimari eccelsi: Alessandro Paternesi (batteria) e la straordinaria Rita Marcotulli (pianoforte), che dimostra ancora una volta di essere una gloria nazionale, spesso più acclamata all’estero che non sul suolo italiano. Che dire: Giovanni Tommaso è il “senatore” del jazz italiano, in alcun modo può essere messo in discussione. Grandissimo eroe senza tempo, uno degli ultimi di quella vecchia guardia che, tenendo duro, ha permesso la genesi di una nidiata di giovani e straordinari talenti, ora in piena attività.
Indeciso su come chiudere la giornata, decido di andare sul sicuro riascoltando la rivelazione di questa edizione di UJW: Chihiro Yamanaka. La meravigliosa pianista giapponese, che intenderò ancora riascoltare (sia chiaro), si esibisce alla Sala dei Quattrocento, hall che mi sembra a lei più congeniale del palcoscenico del Mancinelli.
Assieme ai suoi amici fidati dell’Uk Trio, Chihiro confeziona un altro récital indimenticabile. Laddove nella sera prima aveva posto l’accento sul virtuosismo tecnico, in quest’appuntamento pare concentrarsi eminentemente sulla bellezza del suono e sulla morbidezza espressiva. Ne nascono tante straordinarie esecuzioni, una più seducente dell’altra, che confermano in me il giudizio pienamente positivo della precedente serata. The Entertainer di Joplin è suonato in una versione che non è possibile descrivere, tanto raffinata ed originale, per non parlare poi di Per Elisa di Beethoven, inimitabile perla regalata quale bis prezioso ai fortunati presenti. Con questa emozione, saluto i cortesi amici lettori dandovi un nuovo appuntamento, per chi vorrà, fra 24 ore!
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