cultura

Come il tè generò il raku

venerdì 25 febbraio 2005
di Laura Ricci
Il termine Raku designa una particolare tecnica di ceramica nata in Giappone nel XVI° secolo. Il suo ideatore, Chojiro, diede origine ad un fitto stuolo di ceramisti che da quindici generazioni continuano a tramandare la tradizione.
In Giappone questa tecnica è legata fin dalla sua nascita alla cerimonia del tè (cha-no-yu), ed ogni oggetto è il risultato di una precisa successione di operazioni che assumono un carattere rituale. La particolarità del Raku sta nel fatto che i pezzi, cotti a bassa temperatura (800-950°C), con l’ausilio di particolari pinze sono estratti dal forno ancora incandescenti, per essere quindi sottoposti ad una serie di interventi.
Ogni oggetto, modellato e cotto una prima volta ottenendo ciò che viene chiamato “biscotto”, viene rivestito dallo smalto e successivamente sottoposto ad una seconda cottura. Durante la seconda cottura il rivestimento applicato si fonde, e nella post-cottura riducente i componenti chimici in esso contenuti reagiscono dando vita a colori ed effetti molto particolari.
Il violento shock termico cui è sottoposta la ceramica nel momento dell'estrazione dal forno dei pezzi ancora roventi, impone l'uso di argille refrattarie resistenti a forti sbalzi.
Anticamente per la cottura della ceramica Raku venivano utilizzati forni a legna aerati, in giapponese Uchingama. Oggi i forni più usati variano, passando da quello a cielo aperto a quelli a buca, a legna, a segatura, a carbone e persino a gas.
Non appena si è raggiunta la temperatura di fusione del rivestimento, gli oggetti sono estratti dal forno per essere inseriti in buche o recipienti contenenti materiale infiammabile e ricco di carbonio, che a contatto con la ceramica incandescente innesca un'immediata combustione. Il rivestimento esterno del pezzo risente del forte sbalzo termico e comincia a formare minuscole caratteristiche crepe sulla superficie (craquelures intenzionali). A questo punto il ceramista interviene chiudendo ermeticamente il recipiente o ricoprendo la buca, generando così all'interno dell’oggetto un'atmosfera riducente: il fumo creatosi andrà a ricoprire il manufatto interagendo con gli elementi chimici del rivestimento e dell'impasto ceramico. E' proprio da questa interazione che scaturiscono gli effetti speciali ed i lustri metallici tipici del Raku.
Le ultime fasi del procedimento sono l'immersione in acqua fredda e la pulitura della superficie dell'oggetto dalle eventuali incrostazioni dovute all'azione del fumo.
Il ceramista interviene di volta in volta modificando la composizione chimica dei rivestimenti, i tempi di cottura e di riduzione, il momento in cui il processo di riduzione viene interrotto con l'immersione in acqua fredda. Sarà l'esperienza a suggerire quali soluzioni adottare sia per gli impasti che per gli smalti e la cottura, anche se il risultato finale non sarà sempre del tutto prevedibile.
Al variare di uno solo dei fattori sopra citati, infatti, il risultato può subire radicali trasformazioni. Con la pratica e l'esperienza il ceramista riesce a controllare il processo fino ad ottenere il prefissato, ma la continua sperimentazione di metodologie differenti porterà in ogni caso a confrontarsi con sempre nuove ed inaspettate situazioni.
Questo modo di fare ceramica si è diffuso enormemente in Occidente a partire dagli anni sessanta, dopo la pubblicazione del libro Potter’s Book del ceramista inglese Bernard Leach, nel quale l’autore descrive il modo di fare il Raku appreso durante un soggiorno in Giappone. Sulla base dell’insegnamento di Leach, prima negli Stati Uniti e poi nel resto dell’Occidente si cominciò a sperimentare e variare questa tecnica, nella quale ebbe un ruolo particolare Paul Soldner, il cui insegnamento si diffuse presso tutti i dipartimenti artistici delle università americane. Si sperimentarono nuovi forni, si trovarono nuovi impasti di argille e modi diversi di decorazione. La tecnica non venne usata esclusivamente per fare oggetti funzionali, ma soprattutto come mezzo espressivo per realizzare opere d’arte. Si organizzarono manifestazioni, nelle quali più persone realizzavano il Raku e apportavano il loro contributo creativo. Il Raku divenne un happening, dove terra, acqua, aria e fuoco erano i protagonisti principali, con i loro valori primordiali legati all’estro umano.
Il Raku è così diventato anche in Occidente una maniera nuova di fare ceramica, un modo di esprimersi, di avere relazioni, di tenere un contatto con la natura e di sviluppare ricchezza interiore. I rapporti fra persone che si interessano a questa tecnica espressiva sono spesso frequenti e vivi, in un clima di comprensione e di scambi di esperienze.
Fare ceramica in questo modo è una scelta di vita. Si conquista una gioia di vivere a contatto con le cose belle, con un mondo di pace e di fraterna gentilezza: è questo, sostanzialmente, il significato del simbolo del Raku e della filosofia Zen.

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