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Trent’anni fa moriva prematuramente Manlio Morera: Calciatore di gran talento vestì la casacca gialloblù
mercoledì 26 marzo 2008
di Carlo Maria Cardoni
Era il giorno di Pasquetta, il 27 marzo di trent’anni fa. In un’automobile di ritorno da una gita ad Orvieto, oramai vicina a Montefiascone, ebbe inizio quella che dieci giorni più tardi, il 6 aprile 1978, sarebbe diventata una tragedia.
In quell’auto c’era un ragazzo di 25 anni. Un giovane simpatico e allegro, amichevole, buono e amato dai più. Un calciatore di raro talento, da poco ingaggiato dalla Viterbese, dopo che di lui si era parlato e pure disquisito tecnicamente anche a livelli più alti del football nazionale.
La sua macchina sbandò, finì fuori strada e con essa anche le speranze di un giovane, della sua famiglia, degli amici e degli sportivi.
Qualche settimana prima, in una serata fredda e rigida, durante una cena della società in quello che era lo storico quartier generale per raduni, pranzi e cene di atleti e dirigenti gialloblù, da “Gennarino” a Pian di Tortora, arrivò per la prima volta tra di noi (dirigenti, giocatori, giornalisti, qualche tifoso) il giovane talento. Noi tutti, chiunque entrasse quella sera al ristorante per la cena, si era coperti fino al naso, con cappotti e sciarpe, cappelli e guanti.
Lui no!
Lui arrivò in jeans e camicia bianca, aperta sul petto e con le maniche tirate su. Era un modo, forse, di far vedere subito, anche a qualcuno che non era esattamente suo estimatore calcisticamente parlando, a qualcuno che era stato ed era eccessivamente critico per la sua disinvoltura nell’affrontare tanto la critica di un giornalista o il dissenso di un tifoso, oppure l’avversario in campo, nel fare un dribbling, nel preparare una punizione, con il suo mancino - forse era un modo – dicevo - di difendersi, di dimostrare qualcosa e mostrarsi tutto d’un pezzo.
Era anche questo il suo carattere. Era così, Manlio. Apparentemente spavaldo ma, invece, educato, delicato e gentile.
Non ci mise molto a conquistarsi anche le simpatie di quelli più scettici. Specialmente, quando lo vedevano in campo, quasi avesse gli sci ai piedi, fare slalom a testa alta e poi caricare il suo sinistro per concludere in porta o per crossare al compagno meglio piazzato. Era uno spettacolo. In campo, al di là di una presunta e “finta” insofferenza, dava tutto se stesso. Si era orgogliosamente legato ai colori gialloblù, sentiva le responsabilità di essere un “viterbese” e di essere uno che avrebbe potuto giocare altrove e probabilmente più in alto, ma, invece, aveva scelto la sua terra, il suo stadio, per la sua missione calcistica.
Manlio è mancato da più anni di quanti non ne aveva vissuti, fino a quel tragico momento.
E questa cosa, non può che lasciare in noi, nella famiglia, nella mamma Franca, ancora grande tristezza e sconforto.
Sicuri, però, che a confortare parzialmente dalle amarezze possa essere anche il semplice e sentito ricordo che oggi gli dedichiamo e a cui, certamente, si saranno uniti altri . E anche che, fin tanto che abbiamo potuto farlo, in suo nome e in suo onore – insieme a quelli di un altro giovane calciatore sfortunato, Maurizio Grossi – abbiamo in passato fatto con un torneo internazionale di calcio giovanile che assurse a uno dei principali in Italia, e non solo.

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