sociale

Le responsabilità nella generazione dei contenuti nel web partecipativo. La risposta delle WCAG2.0

domenica 24 gennaio 2010
di Fabrizio Caccavello

da www.webaccessibile.org

E' ormai diverso tempo che si discute sulla questione delle responsabilità della generazione dei contenuti nel nuovo (ma ormai quasi vecchio) web collaborativo, dove gli utenti sono i primi produttori di contenuti, non solo per i social network ma anche per i siti di informazione, i blog, le piattaforme di e-commerce, e in generale per tutti quegli ambienti online dove è permesso ai visitatori, registrati o non registrati, di interagire con le pagine web che stanno navigando.

Sono note al grande pubblico alcune delle vicende più eclatanti che in questi anni hanno raggiunto la ribalta delle cronache, come il caso del video su YouTube dove si vedeva un ragazzo disabile picchiato in classe. Ci fu stupore sul web non tanto per l'episodio in sé, senz'altro da perseguire come reato, quanto per il fatto che gli inquirenti decisero di perquisire la sede di Google Italia a Milano prefigurando un reato di "omesso controllo del contenuto pubblicato", procedendo esattamente come si sarebbe fatto nei confronti di una testata giornalistica tradizionale.

Il tema che dobbiamo porre al centro della nostra riflessione è il fatto che la responsabilità della produzione del contenuto deve essere mantenuta, quando parliamo di ambiente web, sul soggetto che lo genera e non su chi ne permette la sua diffusione.

Questo ovviamente stravolge il concetto di base che si è usato finora facendo riferimento alla legge sulla stampa, che prevede i reati di "diffamazione a mezzo stampa" o "omesso controllo del contenuto pubblicato", che in questo caso ha una sua giustificazione perché il produttore del contenuto diffamatorio non ha, materialmente, alcuna possibilità di pubblicare tale contenuto se non attraverso una consapevole collaborazione del processo produttivo stesso dell'informazione (direttore responsabile, editore, stampatore).

Sul web però, in quasi tutti i casi in cui si permette agli utenti di collaborare con la generazione dei contenuti, coloro che permettono la visualizzazione di tali informazioni sono quasi sempre soggetti che non possono intervenire in maniera preventiva sulla pubblicazione dei contenuti stessi, che avviene in tempo reale.
Per restare sullo stesso esempio sopra citato di Google (proprietario di YouTube), si può capire chiaramente come il gestore (Google) non potesse avere alcuna possibilità di effettuare controlli preventivi sui contenuti generati dai suoi utenti, se non mettendo in discussione l'esistenza stessa di YouTube.

Per fare un altro esempio concreto, potremmo dire che pretendere che Google controlli e quindi sia responsabile dei contenuti generati dai propri utenti, sarebbe come pretendere da un gestore di telefonia il controllo sulle telefonate e poi ritenerlo anche responsabile - così come lo sono il direttore, l'editore e lo stampatore di un giornale di carta - dei contenuti che transitano sulle sue linee.

In questa visione delle cose è evidente che l'unico responsabile dei contenuti debba essere considerato colui che li genera.

Le distorsioni in questo ragionamento nascono perché spesso, in questo tipo di riflessioni, non si tiene conto dei caratteri generali del problema, ma si ragiona sulla scia di emozioni momentanee o, peggio ancora, si cerca di sfruttare un evento che ha molto suggestionato l'opinione pubblica per cercare di introdurre sul web una qualche forma di censura.

In passato sul web si è già discusso ampiamente di tematiche simili.
Per esempio nel 2000 il Parlamento Europeo (Direttiva 2000/31/CE) sanciva il fatto che gli intermediari della comunicazione, non possono essere considerati responsabili dei contenuti che i loro clienti pubblicano sul web. Certo, al momento della definizione di questa direttiva, si poteva individuare quale "intermediario della comunicazione" il solo ISP (Internet Service Provider), anche se per estensione si è spesso invocata tale normativa anche per i gestori dei forum di discussione, che a dire il vero sono stati la prima forma di web partecipativo già presente agli albori di internet.

Nell'estate scorsa il W3C ha pubblicato le nuove linee guida sulle modalità di generazione dei contenuti web accessibili WCAG2.0, che vanno ad aggiornare le vecchie linee guida rese pubbliche nel lontano 1999.

Anche in questo caso gli estensori di tali normative si sono posti il problema dell'accessibilità per i contenuti generati dagli utenti. In particolare per quanto riguarda il problema delle dichiarazioni di accessibilità che possono essere richieste per le pagine web.

Chi realizza un progetto web ha il dovere morale, professionale e talvolta legale di seguire tali normative e di realizzare contenuti web che siano accessibili al maggior numero di utenti possibili, rispettando i requisiti delle WCAG2.0.
Ma la tassatività di tale normativa potrebbe di fatto non essere perseguibile se il produttore del contenuto fosse un soggetto che interviene in maniera autonoma, diverso da chi ha l'obbligo di garantire il rispetto dell'accessibilità.
Nelle WCAG2.0 si indica una via di uscita per tale situazione: un impegno a modificare entro due giorni eventuali contenuti non accessibili o una dichiarazione di conformità parziale nella quale si espliciti quali siano le parti generate dagli utenti e le si rendano facilmente rintracciabili.

http://www.w3.org/Translations/WCAG20-it/#conformance-partial

Questo è importante soprattutto nel caso in cui gli stati nazionali decidano di redigere leggi e regolamenti fortemente ispirati a tale documento per regolamentare i siti web.
In Italia per esempio la Legge 4/2004 sarà aggiornata con nuove disposizioni partendo proprio dai concetti introdotti dalla WCAG2.0.
Il fatto che le WCAG2.0 contengano questo passaggio relativo alle dichiarazioni di conformità parziali, potrà essere una utile indicazione per il legislatore per normare il rispetto dei requisiti di accessibilità.
Ricordiamo infatti che i contratti di fornitura di servizi web alle Pubbliche Amministrazioni non sono validi, e possono quindi essere impugnati, se non rispettano la Legge Stanca.

Prendiamo per esempio il sito web di un Comune. Il fornitore del servizio dovrà consegnare un sito web realizzato a regola d'arte e conforme alla Legge Stanca, pena la nullità del contratto.
Ma nelle nuove dinamiche della gestione delle informazioni di un sito web, i contenuti inseriti al momento della consegna dei lavori sono solo quelli che i tecnici che forniscono il servizio hanno e immettono in quel momento. E' invece probabile che gli addetti delle PA continuino da soli la gestione delle informazioni, con la possibilità che i nuovi contenuti non siano accessibili.

E' evidente che i fornitori dei servizi dovranno mettere a disposizione dei propri clienti soluzioni tecnologiche adeguate per la produzione di contenuti accessibili e formare chi si occuperà della gestione perché le procedure di immissione dei contenuti siano rispettate, ma non è controllabile preventivamente se i nuovi contenuti saranno o meno rispettosi di leggi e regolamenti.
Se, come suggerito dalle WCAG2, non fosse possibile spostare la responsabilità per i contenuti sui produttori stessi, si potrebbe arrivare alla conclusione assurda che la violazione di una legge a seguito dell'immissione di un contenuto non accessibile (per esempio una immagine senza testo alternativo) per mano di un funzionario della PA, potrebbe essere imputata al fornitore dei servizi web che ha generato il progetto o all'eventuale fornitore di servizi web che, generalmente, si occupa della gestione dei contenuti.

Sono certo che questa assurdità, che non è sfuggita al gruppo di lavoro che ha redatto le WCAG2.0, non sfuggirà neanche ai redattori delle nuove modifiche alla Legge Stanca.

Questi stessi principi, che attribuiscono all'autore del contenuto ogni responsabilità su ciò che viene pubblicato in modo autonomo, devono rimanere un punto fermo per qualsiasi legge che in futuro si dovesse occupare di "normare" i contenuti presenti sul web.