La memoria "dimenticata" di Luigi Malerba

Qualche giorno fa stavo accompagnando verso l’ultima dimora una cara persona di famiglia quando, assorta dentro i pensieri insieme tristi e ineluttabili che caratterizzano certi momenti, ho fatto quella che mi è sembrata una scoperta. Volgendo in alto lo sguardo, tra i loculi appoggiati al muro di San Lorenzo in Vineis nel cimitero cittadino, ho scorto un nome graffiato nel cemento, privo di ogni altro riferimento. "Malerba".
Mi ha colpito quella scritta scarna, essenziale, quasi anonima tra le altre che, invece, celebravano, in un tripudio di dorature, fiori e foto, le persone scomparse. Troppo forte era il contrasto, tra la rivendicazione ostentata di ricordi e affetti verso queste, con la trascuratezza riservata al nome solitario. Quella scritta mi ha evocato il volto percorso da profonde pieghe, occhialuto e riservato di un uomo maturo che ha avuto un posto di grande rilievo nella letteratura italiana della seconda parte del '900. Luigi Malerba, pseudonimo di Luigi Bonardi ( 1927- 2008).
Tra i riconosciuti e inequivocabili giganti letterari di quel secolo, il suo nome ha trovato comunque spazio per la spiccata personalità di rottura nei confronti di una letteratura di genere. Insieme ai molti che si riconobbero nel “Gruppo 63” o che ne percorsero le ardite sperimentazioni ( per fare solo alcuni nomi: Pasolini, Eco, Arbasino, Sanguineti, Moravia) aprì nuove strade, ruppe schemi, provocò, osò forme e contenuti inediti. Fu sceneggiatore per il cinema e la televisione. Mai omologato né seriale, mise in discussione il sistema con la sua scrittura inquieta e non accomodante.
Nei confronti di Orvieto, suo “buen retiro” elettivo, ha lasciato tracce di notevole impegno civico. Nel 1976 vi organizzò un Convegno di Scrittura e Lettura, riunendovi nomi eccellenti della letteratura che si riconoscevano nella sperimentazione. Memorabile il suo appello agli intellettuali nel 1986, che raccolse cento prestigiose firme per la salvezza di Orvieto finalizzata al suo risanamento. Ancora nel 2006 curava il convegno “ Orvietato sporgersi”, che faceva il punto sui cambiamenti del panorama culturale e sulle prospettive per cui era giusto impegnarsi.
Quello pseudonimo appena graffiato mi ha ricordato un lontano giorno d’estate, quando ricevere dalle sue mani due dei suoi romanzi mi riempì di gioia. Avevo accompagnato mio padre artigiano della zona, a cui si era rivolto per esigenze di ristrutturazione nella magnifica villa affacciata sul panorama della rupe. Mentre me li offriva con un sorriso, Malerba aveva considerato che forse ero troppo giovane per poterli apprezzare. Io adolescente, li avevo quindi letti come una sfida, soprattutto verso me stessa, per dimostrare che ne ero all’altezza.
Infarcita com’ero di letture classiche, quelle pagine ebbero il potere di sorprendermi e affascinarmi. Aveva ragione; non ero ancora abbastanza matura per capirne la ricerca sperimentale audacissima, l’individualità che rifuggiva dal realismo e dalla codificazione, la fantasia lucida e insieme paradossale. Mi ci sono voluti decenni e migliaia di pagine altrui lette, per apprezzarne infine la bellezza e l’intelligenza, a mezzo secolo dalla loro scrittura.
Il giorno che ho notato quella lapide ho creduto di sbagliarmi. Ho dubitato che quella muratura grezza potesse celare la sepoltura del grande Luigi Malerba. Internet e per finire il personale del Cimitero, hanno chiarito i miei dubbi. Si, quella è la sua tomba. In cuor mio ho trovavo ingiusta quella sistemazione, quasi irriconoscente, specie da parte della città che lo ha ospitato, ma ad attenuare questo senso di amarezza è giunto il conforto di un pensiero. Forse quelli che lo hanno amato da vicino, hanno rispettato una sua diretta volontà, con quell’apparenza di anonimato.
Rileggendo qua e là citazioni che lo riguardavano infatti, ne ho trovata una che mi ha dato una possibile spiegazione. "Non voglio essere né sepolto né cremato, ma collocato in una posizione alta come un libro in uno scaffale". Ecco, caro Malerba, va bene la posizione in alto, ma che non sia troppo in alto metaforicamente parlando. I libri lontani dalle mani sono lontani anche dagli occhi e dal cuore e questo, nel tuo caso, è una cosa che ci priva ingiustamente di occasioni di sorriso e riflessione di cui abbiamo veramente bisogno.
Permettimi e permettici, di venire spesso a togliere la polvere da quello scaffale per rileggere le tue bellissime pagine.

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