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La memoria "dimenticata" di Luigi Malerba

mercoledì 27 marzo 2019
di Paola Sellerio
La memoria "dimenticata" di Luigi Malerba

Qualche giorno fa stavo accompagnando verso l’ultima dimora una cara persona di famiglia  quando, assorta dentro i pensieri insieme tristi e ineluttabili che caratterizzano certi momenti, ho fatto quella che mi è sembrata  una scoperta. Volgendo in alto lo sguardo, tra i loculi appoggiati al muro di San Lorenzo  in Vineis  nel cimitero cittadino,  ho scorto un nome graffiato nel cemento, privo di ogni altro riferimento. "Malerba".

Mi ha colpito  quella scritta scarna, essenziale, quasi anonima  tra le altre che, invece, celebravano, in un tripudio di dorature, fiori e foto, le persone scomparse. Troppo forte era il contrasto,  tra la  rivendicazione  ostentata  di ricordi e affetti verso queste, con  la trascuratezza  riservata al nome solitario. Quella scritta mi ha evocato il volto percorso da profonde pieghe, occhialuto e riservato di un uomo maturo  che ha avuto un posto di  grande rilievo nella letteratura italiana della seconda parte del '900. Luigi Malerba, pseudonimo  di  Luigi Bonardi ( 1927- 2008).  

Tra i riconosciuti e inequivocabili  giganti  letterari di quel secolo, il suo nome ha trovato comunque spazio  per la spiccata  personalità  di  rottura  nei confronti  di  una letteratura di genere.  Insieme ai molti che si riconobbero  nel “Gruppo 63” o che ne percorsero le ardite sperimentazioni ( per fare solo alcuni nomi: Pasolini, Eco, Arbasino, Sanguineti, Moravia) aprì  nuove strade, ruppe schemi, provocò, osò  forme e contenuti  inediti.  Fu sceneggiatore  per il cinema e la televisione. Mai omologato né seriale,  mise in discussione il sistema  con la sua scrittura inquieta e non  accomodante.  

Nei confronti  di Orvieto, suo “buen retiro” elettivo,  ha  lasciato tracce di notevole impegno  civico. Nel  1976 vi  organizzò un Convegno  di Scrittura e Lettura, riunendovi  nomi eccellenti della letteratura che si riconoscevano nella sperimentazione. Memorabile il suo appello  agli intellettuali nel 1986, che raccolse cento prestigiose firme per la salvezza di  Orvieto finalizzata al suo risanamento.  Ancora  nel 2006 curava  il convegno “ Orvietato sporgersi”, che faceva il punto sui cambiamenti del panorama culturale e sulle prospettive per  cui  era  giusto impegnarsi.

Quello pseudonimo appena graffiato  mi ha  ricordato  un  lontano giorno d’estate,  quando ricevere  dalle sue mani  due  dei  suoi  romanzi  mi riempì  di gioia.   Avevo accompagnato mio padre  artigiano della zona,  a  cui  si era rivolto per  esigenze di ristrutturazione  nella magnifica villa affacciata  sul panorama della rupe.  Mentre me li offriva con un sorriso, Malerba aveva  considerato  che forse ero troppo giovane per poterli apprezzare.  Io adolescente,  li avevo quindi letti  come una sfida, soprattutto verso me stessa,  per dimostrare  che ne ero all’altezza. 

Infarcita com’ero di letture classiche,  quelle pagine ebbero il potere di sorprendermi e affascinarmi.  Aveva  ragione;  non ero ancora abbastanza matura per capirne la ricerca sperimentale audacissima, l’individualità che rifuggiva dal realismo e dalla codificazione, la fantasia lucida  e insieme paradossale. Mi  ci sono voluti  decenni e migliaia di pagine altrui lette, per apprezzarne  infine la  bellezza e  l’intelligenza,   a  mezzo secolo dalla loro scrittura.

Il giorno che ho notato  quella lapide ho creduto di sbagliarmi. Ho dubitato  che quella muratura grezza potesse  celare la sepoltura  del grande Luigi Malerba. Internet e per finire il  personale del Cimitero, hanno chiarito i miei dubbi. Si, quella è la sua tomba. In cuor mio ho  trovavo ingiusta quella sistemazione, quasi irriconoscente,  specie da parte  della città  che lo ha ospitato, ma  ad  attenuare questo senso di amarezza   è giunto il conforto di un pensiero. Forse quelli che lo hanno amato da vicino, hanno rispettato una sua diretta volontà, con quell’apparenza  di anonimato.

 Rileggendo qua e là citazioni che lo riguardavano infatti, ne ho trovata una che  mi ha dato una possibile  spiegazione.  "Non voglio essere né sepolto né cremato, ma collocato in una posizione alta come un libro in uno scaffale". Ecco, caro Malerba, va bene la posizione in alto,  ma che non sia troppo in alto metaforicamente parlando.  I libri lontani dalle mani sono lontani anche dagli occhi e dal cuore e questo, nel tuo caso,  è una cosa che ci priva ingiustamente di occasioni di sorriso e riflessione di cui abbiamo veramente bisogno.

Permettimi e permettici, di venire spesso a togliere la polvere da quello scaffale per rileggere le tue bellissime pagine.  

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