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Per uno sviluppo eco-compatibile

domenica 24 febbraio 2019
di Danilo Giulietti
Per uno sviluppo eco-compatibile

L'attuale modello di sviluppo si basa pesantemente sulle conoscenze scientifiche più avanzate. Basti pensare alle telecomunicazioni, le trasmissioni dati (WEB), le fonti energetiche, l'automazione dei processi produttivi, la travolgente crescita del trasporto aereo mediante vettori sempre più veloci e sofisticati (droni), le innovazioni nel campo medico-biologico...

Eppure sembra quasi che si vogliano ignorare i "messaggi" che la stessa Scienza lancia per invitare ad un ripensamento di tale sviluppo. Questi "messaggi" a ben vedere confermano su basi scientifiche modi comportamentali innati in tutte le forme di vita, animale (incluso l'Uomo) e vegetale, legati alla sopravvivenza delle specie viventi.

Nell'Uomo tuttavia questi comportamenti sono stati progressivamente sovrastati da un sempre più sfrenato desiderio di appagamento di aspirazioni primordiali: accumulo compulsivo di beni, potere, volontà di dominio sugli altri,... Tali aspirazioni, che un tempo potevano essere coltivate soltanto da una ristrettissima fascia di popolazione (aristocrazia), nell'attuale "società dei consumi" alloggiano nella mente dei più. Le conseguenze devastanti di questa trasformazione sono sotto gli occhi di tutti.

Il "messaggio" inascoltato dall'Umanità (o per meglio dire da chi ormai ne guida su scala globale lo sviluppo) è contenuto nel Secondo Principio della più basilare branca della Fisica: la Termodinamica. Sono diverse le enunciazioni del Secondo Principio della Termodinamica, fra loro equivalenti e comprensibili alla luce del buon senso comune.

Una di queste asserisce che non può esistere un processo fisico il cui unico effetto sia quello di trasferire del calore da un corpo più freddo ad uno più caldo. Nulla di sorprendente; basta pensare ad un nostro frigorifero, che per svolgere quel compito deve immettere nell'ambiente circostante del calore.

Un'altra formulazione dello stesso Principio afferma che non è possibile trasformare in lavoro il 100% di una data quantità di calore, ovvero che il rendimento di una qualunque macchina non può mai essere pari al 100%.  Anche questa affermazione non ci stupisce: sappiamo bene che non tutto il calore sviluppato dal motore della nostra automobile va ad alimentare il suo moto (energia cinetica), ma che una parte viene ceduta all'ambiente circostante.

Tuttavia l'enunciazione che più si adatta alle considerazioni che stiamo facendo su uno "Sviluppo eco-compatibile" è il seguente: un sistema isolato tende ad evolvere spontaneamente verso uno stato caratterizzato da un maggior grado di disordine. I fisici valutano la variazione di disordine di un sistema mediante una grandezza chiamata Entropia. Per cui potremmo anche dire che le attività umane, qualunque esse siano, comportano necessariamente un aumento complessivo di disordine ovvero di Entropia.

Anche questa enunciazione non cozza con il nostro senso comune. Vediamo ogni giorno quanto difficile sia la gestione dei rifiuti urbani ed ancor più di quelli industriali, quanto l'antropizzazione dell'ambiente naturale rischi di alterare irreversibilmente il precario equilibrio dell'ecosistema.

Queste considerazioni ci portano alla conclusione che dovremmo ridurre al minimo le attività umane? Che dovremmo rinunciare ad un benessere diffuso su scala planetaria? Che in sostanza dovremmo starcene a braccia conserte senza nulla fare, perché altrimenti l'Entropia aumenta?

Chiaramente non è questa la risposta alle problematiche ambientali sopra evidenziate. Del resto, anche se può risultare a prima vista non evidente, la nostra Terra, questo minuscolo granello di materia sospeso nello spazio infinito, non è assimilabile ad un sistema isolato e quindi le considerazioni che discendono dal Secondo Principio della Termodinamica non sono pedissequamente applicabili. La Terra è rifornita di energia dalla radiazione Solare (circa 1.5kW/m2) che rende possibile la "vita" sul nostro pianeta e lo rigenera continuamente; in primo luogo mediante la fotosintesi clorofilliana, un processo attraverso il quale grazie alla radiazione Solare si produce materia organica dalla sintesi dell'anidride carbonica e l'acqua metabolica delle piante.

L'enorme quantità di energia che proviene dal Sole dà la misura di quanta se ne dovrebbe al massimo consumare nelle attività antropiche. Per mantenere un equilibrio ecologico col nostro pianeta dovremmo utilizzare quasi esclusivamente le energie rinnovabili (solare, eolico, le maree,...), che non è proprio quanto l'Umanità sta facendo,  visto che utilizziamo prevalentemente fonti d'energia non rinnovabili (energia nucleare da fissione), ovvero rinnovabili su scale temporali così lunghe (milioni di anni) da dover considerare quelle fonti (petrolio, carbone, metano, ...) a tutti gli effetti non rinnovabili.

E' chiaro che questa scelta ecologica comporterà forse un ridimensionamento di alcuni processi industriali estremamente "energy-consuming", ma non abbiamo alternative. Del resto anche la produzione di energia (praticamente infinita) attraverso processi di fusione termonucleare controllata, ancora molto lontana dall'essere realizzata per fini pratici, non sfugge al Secondo Principio della Termodinamica, comportando anch'essa un impatto ambientale non trascurabile.

Ripensare dunque l'attuale modello di sviluppo delle nostre società significa metterne in atto (progressivamente) un altro che non si basi sullo stimolo parossistico del consumo e la crescita inarrestabile del PIL, ma su attività agricole ed industriali eco-compatibili ed un "consumo" consapevole del fatto che esso comporta comunque un impatto ambientale, che possiamo ridurre ma non azzerare. Una società che metta al centro dei suoi programmi il riutilizzo delle materie prime, la cura del territorio, il benessere della popolazione tutta, l'attenuazione della sperequazione economica fra le fasce sociali, il lavoro per tutti, un'informatizzazione ed una meccanizzazione dei processi produttivi che possa gradualmente alleviare e ridurre il carico lavorativo dell'Umanità e non aumentare ulteriormente (come sta avvenendo) i profitti dei detentori dei mezzi di produzione.