Bambole di legno, vetrina Michelangeli
Forse mi sono apparse in sogno, forse le ho inventate per farne dono
ai bambini e a quel che abbiamo di bambino sempre in noi,
sì quelle bambole di legno vestite di trine ricamate da una fata,
nottetempo, prima che il tempo lasci spazio al tempo, bambole
come una volta le bambole di Lenci, e volti spesso allegri,
talvolta percorsi da un sorriso capriccioso, e qualche volta
ombrati da una sorta di corruccio.
Le bambole, ah si, quelle che una mia amica chiamava le
bambòle, e che sognano di salire su cavalli di legno per volare
dove l’arte, dove il senso del futuro, legato al passato
non passato di Gualverio, amico a me e tutti amico,
dal sorriso dolce e triste che hanno certe sere
le bambole, mentre sul vicolo fatato scende una notte
insonne e le bambole parlano tra loro, e sembrano
accarezzare la vetrina che a loro è casa e a me
ricordo del futuro.