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Moro che ti passa

venerdì 16 marzo 2018
di Fausto Cerulli
Moro che ti passa

Ripensando al sequestro Moro, qualche volta viene da pensare che accanto al dramma, accadeva qualcosa che assomigliava ad una tragica farsa. Prodi che fa lo spiritismo e un morto parlante gli suggerisce che Moro è tenuto in sequestro a Gradoli, e allora via, la nostra intelligence fa circondare Gradoli, e ci manca poco che vanno a perquisire tutte le case come nella battaglia di Algeri. Poi qualcuno pensa che a Roma esiste una via Gradoli, e le forze dell’ordine si precipitano in via Gradoli.

Giusto in tempo per constatare che qualche brigatista aveva usato come covo un appartamento in quella via. Caratteristica saliente del comportamento delle forze dell’ordine, cosiddette, è di arrivare sempre tardi, e non possiamo pensare che il ritardo sia voluto: sarebbe un’offesa ai nostri 007, detti anche 000. Ma non basta, qualcuno, magari un infiltrato, suggerisce di cercare in via Montalcini, ma i nostri eroi non pensano a cercare negli appartamenti al numero indicato. Mica si può disturbare la gente, che magari dorme, e allora è meglio andare via senza rompere le scatole a pacifici cittadini, e i brigatisti, passata la paura, continuano indisturbati a tenere Moro in pigiama nell’appartamento non visitato, sempre per puro caso, ovviamente.

E torniamo al momento del sequestro: spulciando nei segreti non segreti dei nostri servizi, viene in mente che a via Fani ci fosse una folla di gente, tedeschi in moto con regolare casco, qualche funzionario della Cia, ché loro sono sempre presenti, sia pure sotto mentite spoglie, ai momenti importanti della nostra per loro piccola strada. Poi l’epistolario: Moro scrive cotte e crude sugli amici nemici di Partito, e allora lo si fa passare per un vigliacco che scrive sotto dettatura, pistola puntata alla tempia. E invece di cercare Moro si preferisce farlo passare per un uomo che ha perso la testa, e che spara ingiurie contro la DC soltanto perché qualcuno approfitta di una sua presunta debolezza.

Intanto il tempo passa, il povero Moro, che prima non era stato un santarello, ora si permette di parlar male di gente dabbene tipo Cossiga, che sa tutto di tutto e allora lo nominano Presidente della Repubblica, il più ciarliero a vuoto dai tempi della Liberazione. Per non dire della storiella del cadavere di Moro nel lago della Contessa, tanto per pescare nel lago nobile. E uno si chiede se certe fandonie siano messe in giro per distrarre la gente, e guadagnare tempo, fingendo di cercare Moro, in attesa che sia ammazzato. Andreotti parla poco, in questo periodo, ma intanto convince Berlinguer a fare un governissimo, data la situazione. E diventa Presidente del Consiglio, tralasciando per qualche tempo di ordinare omicidi mirati ai suoi compari mafiosi, e magari legati alla Banda della Magliana che è più vicina, quasi sottomano.

Moro seguita a scrivere, e nessuno vuole mettersi in testa che quelle lettere ora strazianti ora intimidatorie, siano scritte proprio da lui, in assoluta sanità di mente. Poi la fine, anche questa costellata di forse chissà. Con tutto quel casino i brigatisti, notoriamente idioti, pensano bene di parcheggiare il cadavere di Moro in una via del centro, tra le Botteghe Oscure e il covo democristiano, e tutti a dire che volevano dare un significato politico a quel gesto. Via Caetani, strada frequentata, e accanto alla vettura funebre passano marescialli e poliziotti e magari attaccano una multa al parabrezza della vettura per divieto di sosta. Gente che va, gente che viene e il cadavere di Moro viene trovato dopo qualche ora, giusto il tempo di dar modo ai brigatisti o chi per loro, di tornare tranquillamente a casa, a guardare la televisione che racconta del ritrovamento.

Infine i funerali: la moglie di Moro non vuole che siano presenti i boss democristiani: tremendo atto di accusa rivoto agli amici, nella DC si chiamavano così tra loro e si azzannavano a vicenda come cani furiosi. Poi il tempo passa, la piaga si cicatrizza nel silenzio segreto dei segreti. E in questo paese di anniversari, ecco che si torna a parlare dell’affaire Moro, come scriveva Sciascia. Un affare davvero, un affare per molti, anzi per troppi. Sono passati quaranta anni. E se a quaranta aggiungi 47, morto che parla, ecco un ambo secco da giocare sulla ruota delle menzogne a catena.