opinioni

1000 giorni da assessore

mercoledì 20 dicembre 2017
di Massimo Gnagnarini
1000 giorni da assessore

Nessuno è indispensabile. Gli amministratori cambiano ma le nuove politiche di bilancio che hanno tirato fuori il Comune di Orvieto dalla palude del suo dissesto finanziario devono restare. Alla vigilia della presentazione del Bilancio di previsione 2018-2020 il Comune di Orvieto può tirare un sospiro di sollievo dopo aver risanato i propri conti pubblici e intraprendere così una nuova fase di ridistribuzione delle risorse e di alleggerimento della pressione tributaria verso i cittadini e le attività produttive.

Per questo mi permetto di riassumere qui alcune riflessioni che spero possano essere raccolte anche dal nuovo assessore al bilancio che il Sindaco vorrà nominare. Trovarsi con l’acqua alla gola, come ci si è trovata recentemente l'Umbria Meridionale con i suoi principali Enti territoriali in stato di sostanziale fallimento finanziario, è un dato di fatto che solo può spiegarsi come il risultato di errori caratteristici del sistema di poteri che per decenni ha governato questi territori. Tuttavia come spesso avviene per ogni grande crisi ciò ha offerto l'opportunità di un cambiamento come certamente è avvenuto per il Comune di Orvieto in questi ultimi anni.

Nel 2013 Orvieto aveva fatto da apripista formalizzando la propria condizione di sostanziale stato di default finanziario con l'adesione volontaria alla cosiddetta “legge salva comuni”, meglio conosciuta come procedura di Predissesto istituita dal Governo Monti nel 2012, per poi dar prova , in questi ultimi tre anni, di saperne uscire rapidamente, addirittura con sei anni di anticipo rispetto ai dieci previsti dall'iniziale piano pluriennale di rientro dal deficit concordato con il Ministero degli Interni e la Magistratura contabile.

Una performance, quella del Comune di Orvieto, scaturita da una decisiva svolta impressa alle politiche di bilancio non più caratterizzate dai tagli alla spesa, ma dalla ricerca di nuove entrate individuate nei servizi offerti ai flussi turistici senza insistere sulle tasche dei residenti. Altri, come la Provincia di Terni, il Comune di Terni o il più piccolo comune di Arrone, forse meno resilienti di Orvieto , appaiono alla ricerca di una loro via restando aggrappati alla scialuppa di salvataggio offerta dalla procedura di predissesto che ha il vantaggio di allontanare le acque ancor più tempestose del dissesto finanziario dove , si sa, saltano le poltrone dei politici e la navigazione amministrativa viene affidata a uno skipper di nomina prefettizia.

In ogni caso un conto sono le conseguenze politiche e i sbrigativi giudizi ricadenti sulle classi politiche locali che si trovano a gestire questi drammatici passaggi della vita politico finanziaria di una città , mentre altro conto sono la scarsa consapevolezza delle opinioni pubbliche verso questi fatti e la necessità di dover tenerli sempre a mente ed essere resilienti per impedire che in futuro possano ripetersi gli errori del passato.

Errori che incidono pesantemente sulla vita dei cittadini e nelle economie locali per le conseguenze che automaticamente ne derivano in termini di aumento delle tasse, riduzione di servizi e blocco degli investimenti pubblici. Il Comune di Orvieto finì nel buco nero del predissesto dopo cinque anni di governo di centrodestra, ma il grosso della massa passiva risaliva ad alcuni anni prima quando a guidare il comune erano sempre state giunte di sinistra che, complici le blande regole esistenti sulla redazione dei bilanci, avevano avuto buon gioco nel dissimulare e alterare i risultati di gestione.

Si sbaglia chi pensa che il risanamento finanziario dei nostri enti locali possa passare attraverso la ricerca di risorse straordinarie, magari rinvenienti dagli incassi per la vendita di pezzi del patrimonio pubblico. In realtà la vera cura da somministrare è piuttosto un insieme di scelte ordinarie che riguardano la gestione economica e la riforma dei servizi per rimettere in equilibrio strutturale le entrate correnti con le spese correnti. Sembrerebbe una affermazione banale, ma non lo è.

Per farlo, infatti, occorre coraggio e una certa autorevolezza politica perchè tali azioni impattano, inevitabilmente, su aree di consenso diffuse che occorre riportare a criteri di economicità e a principi di utile reciprocità tra gli interessi di parte e quelli pubblici. Interessi di parte che non dormono mai e che possono ripresentarsi ogni volta, anche a Orvieto, sotto forma di programmi politici per il futuro della città.

Occorre perfino rinunciare, in qualche caso, a inseguire ossessivamente l'assegnazione di fondi pubblici da investire in opere pubbliche che, per quanto utili, raramente sono a costo zero specie se non si è programmata e definita nei dettagli la loro gestione futura. Quello della sostenibilità degli investimenti , infatti, è stato per lo più un concetto volutamente trascurato dalla politica che più frequentemente è abituata a passare all'incasso mediatico e alla spettacolarizzazione degli interventi scaricando sul futuro i guai che ne possono derivare dal punto di vista degli oneri di gestione.

Tornando alla fine del 2013, con la dichiarazione dello stato di predissesto dell'Ente, l’Amministrazione di centrodestra prese atto del fallimento dei tentativi compiuti per rimettere in ordine i conti del Comune constatando di non esser potuta riuscire a ridurre di un solo euro quel deficit di 8.5 Mln di euro ereditato cinque anni prima. Non erano serviti, a questo scopo, né l'aumento delle tasse comunali effettuato nel 2012 quando l'aliquota dell'IMU fu portata al 10,70%, pari al massimo consentito dalla legge, né l'effettuazione di importanti operazioni di alienazione del patrimonio pubblico come la vendita della farmacia comunale e di altri immobili per un valore di oltre 5 Mln di euro in aggiunta agli altri 6 Mln di vendite effettuate nel quinquennio precedente, ma, di più, quella amministrazione si era ritrovata con un bilancio corrente dove le spese incomprimibili, ovvero la spesa per il personale, per le convenzioni e i contratti pluriennali di servizio in vigore, gli accantonamenti per il rientro dal deficit e i vari fondi rischi per gli swap, le cause giudiziarie e una mole altissima di residui attivi ormai inesigibili, che superavano abbondantemente il valore reale delle più ottimistiche previsioni in entrata e con una riserva di patrimonio non strategico residuo ormai depotenziato e ridotto al lumicino.

Per salvare il bilancio comunale occorreva, dunque, che la subentrante nuova amministrazione con il suo Progetto civico di messa a reddito della città , avesse il coraggio e la forza di inaugurare una nuova politica improntata alla ricerca di nuove entrate strutturali ovvero non quelle una tantum come le alienazioni di beni , ma bensì ripetitive e costanti nel corso degli esercizi successivi.
Avevamo ben chiaro il da farsi. La sfida, la nostra visione, non stava e non si concludeva nella quadratura dei conti, dai quali non siamo stati affatto ossessionati anche se, in questi anni, il controllo della spesa è stato assai spartano tanto da poter affermare, senza dubbio alcuno, che neanche un centesimo di euro è stato speso senza la sua più puntuale copertura.

Le cifre e i vincoli su cui abbiamo costruito i bilanci li abbiamo avuti sempre ben presenti e rigorosamente applicati avendo dovuto , peraltro, correggere e integrare non poco là dove, chi ci aveva preceduto, si era quantomeno distratto e agito con una buona dose di pressappochismo posticipando il pagamento degli impegni di spesa assunti a favore della TeMA e di altre quote sociali verso enti e partecipate facendole ricadere sugli esercizi successivi alla scadenza del proprio mandato. Quello che veramente abbiamo innovato è stata l'idea di abbandonare l'approccio recessivo ovvero dei tagli alla spesa che, a Orvieto, era diventato l'alibi perfetto per la rassegnazione e l'immobilismo utile solo a chi pensava di governare galleggiando senza assumersi alcun rischio riformatore. Eravamo convinti, e lo siamo oggi a maggior ragione avendolo messo in pratica, che il vero risanamento finanziario dell' Ente passasse per decisioni capaci di valorizzare la produttività del Comune e che oltre al rigore della Spesa fosse necessario anche il rigore delle Entrate.