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Resta con noi, Pietro

martedì 29 settembre 2015
di Roberto A. Basili
Resta con noi, Pietro

E’ morto da poche ore e, questo giovane di 100 anni, ancora una volta ci obbliga a riflettere e a prepararci per il referendum sulla riforma del Senato. E’ l’autunno del 1985 quando, discutendo di democrazia e valore della rappresentanza, in replica alla “concezione minima” di Noberto Bobbio per il quale la democrazia è essenzialmente voto, Ingrao obietta: il voto, da solo, non basta. Come si può pensare a una democrazia solo di individui? A un “elenco di elettori”? La realtà invece – continua Ingrao - è quella di molti individui organizzati che “pensano insieme” e insieme agiscono secondo programmi comuni duraturi, iniziative comuni, vincoli reciproci che si prolungano prima e dopo il voto. E’ la “trama dei partiti, la rete dei sindacati, lo sviluppo di movimenti e associazioni: ecologisti, delle donne, dei pacifisti, dei giovani”. Forse una ragione dell’astensione dal voto di troppi italiani, oggi, dipende dal sentirsi solo un inutile elenco di elettori?

Sulle riforme istituzionali Ingrao conviene che la “macchina dello Stato” è insufficiente a raggiungere gli obbiettivi d’una politica funzionale alla traduzione in prassi sociale dei valori portanti della Costituzione. Le sue proposte si avvicinano a quelle oggi in corso: riforma della legge elettorale, unicameralismo (“il bicameralismo non sta più in piedi”), rafforzamento dell’azione di governo. Ma, le singole proposte devono essere viste in un quadro d’insieme - raccomanda. Ciascuna riforma deve considerarsi in relazione alle altre: la riforma elettorale è legata al tipo di Parlamento che si vuole; il tipo di parlamento, al rapporto con l’esecutivo; la democrazia rappresentativa, al rapporto con la democrazia diretta.

Insomma, dov’è la sede del cosiddetto potere di “indirizzo politico”? Una cosa è se quella sede è nel Parlamento, altra se è nel governo, oppure è il frutto d’un confronto. A sua volta, una cosa è un sistema elettorale che vale come selezione e investitura d’una forte rappresentanza parlamentare capace d’elaborazione politica autonoma; un’altra, quando mira a un regime d’investitura (per quanto indiretta) del governo e del suo Capo, come portatori d’una legittimazione indipendente e soverchiante su quella parlamentare.

La democrazia parlamentare, di cui Ingrao è sempre stato tenace difensore, deve fare attenzione a che il baricentro della politica non si rovesci e non si passi al rapporto diretto degli elettori con l’esecutivo che emargina il Parlamento.  I reali “processi” politico-sociali, i rapporti di forza, le culture concrete che sono sempre al centro del discorso di Ingrao sono profondamente influenzati, a seconda che s’imbocchi l’una o l’altra strada. Proposte di riforma a prima vista simili devono, perciò, essere tenuti distinti in conseguenza del quadro in cui li si colloca.

Ad esempio, il superamento del bicameralismo o, radicalmente, l’abolizione del Senato possono fare della Camera dei deputati il luogo della massima espressione della rappresentanza e rafforzare la democrazia parlamentare; ma possono anche valere, al contrario, all’indebolimento della funzione parlamentare di fronte a un governo, legittimato da un apposito sistema elettorale, che esige rapide ed efficienti ratifiche del suo indirizzo politico. La democrazia decidente, sì; ma per decidere che cosa?