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Le vittime dell’alluvione orvietana del novembre 2012 - Una vigliacca morte (e vita che fu) da cani - Indagine minima sulla prevenzione dal rischio ambientale nell’Orvietano

martedì 13 novembre 2012
di Silvio Manglaviti - Italia Nostra

Questo ci dovrebbe rendere differenti da altre, cosiddette, civiltà e o culture; il fatto che si possa soffrire per la morte di un animale come - e, spesso, forse più che - se fosse un parente stretto.

Il nostro pensiero va a tutti quanti stanno soffrendo le conseguenze della inondazione del Piano, di Ciconia e dello Scalo e a tutti quelli che a qualunque titolo sono intervenuti in soccorso. In occasione di eventi - diciamo pure - straordinari (ma che tali non sono; soprattutto in questi ultimi tempi, in cui quel che una volta pareva eccezionale oggi sia di fatto considerato ordinario: siccità; cluod burst, o bombe d'acqua; tropicalizzazione; con le conseguenze del caso: desertificazione; erosione; inondazioni; disfacimento dei suoli; e ciò anche per le note concomitanti cause antropiche: cementificazione; inquinamento; abbandono delle campagne e delle montagne; incendi boschivi; sfruttamento aberrante delle risorse; etc.), tra le vittime è per noi normale contare anche gli animali, domestici (allevamenti; case) e selvatici (incendi boschivi; alluvioni) che siano.
Non è normale quando accade in strutture predisposte. In ciò, uno zoo, un canile, per quanto bello, accogliente, organizzato che sia, non è diverso ad esempio da un istituto umano di detenzione.

Non so, non ho al momento elementi sufficienti per riuscire a comprendere come sia potuto accadere. Resta il fatto che l'annegamento degli "ospiti" del canile di Orvieto - non importa quanti né come - deve e dovrà essere analizzato in modo adeguato e congruo; come tutte le conseguenze in generale che questa ennesima tragedia annunciata si porta e porterà dietro.

Quella che fu ormai la Provincia di Terni rese pubbliche sul proprio portale le mappe locali del rischio idrogeologico. Tra i vari piani e consigli utili da adottare in caso di allarme inondazione, due cose emergono importanti: la consapevolezza di dove ci si trovi in quel momento e la via di fuga da prendere in caso di necessità (cose che valgono sempre in ogni situazione di rischio).

Chi ha a che fare con le bestie, sa che - ove possibile se si fosse ancora in tempo - se queste si trovassero in luoghi chiusi e costrette in cime o catene, dovranno essere trasferite o, sempre che si abbia a che fare con animali domestici, comunque liberate.

Dando per scontato - non potrei, e non voglio, pensare diversamente - che le autorità locali conoscano in maniera capillare le criticità che si potrebbero determinare nella rispettiva area di competenza (sia amministrativa sia effettiva, sul terreno); che siano conseguentemente predisposti gli adeguati ed opportuni piani di intervento; e che, dunque, le citate preposte autorità abbiano diramato preallarmi ed allarmi capillari, a ragion veduta, sul possibile eventuale evolversi della situazione, non si può passar sopra ad alcuni aspetti.

Prima questione: i responsabili del canile - così come altre eventuali note "criticità" - sono stati avvisati, messi in preallarme, per tempo?
Seconda questione: ammesso ma non concesso che detto allarme sia giunto agli interessati dall'autorità preposta ad avvisare e diramarlo, i predetti interessati sapevano cosa fare?
Terza questione: in generale, chi o cosa rappresenti un elemento di criticità, così stabilito dalle preposte autorità, ne è consapevole? Sa dove si trovi e quale sia la via di fuga?

Nel basket queste tre questioni si direbbero "fondamentali". Nella nostra evoluta civiltà sono uno dei pilastri della Prevenzione. Poi, vengono le analisi sulle politiche e le amministrazioni del bene pubblico comune.

Si potrà pregare il Padreterno quanto si vorrà: ma è bene ricordarsi che l'acqua, come in questo caso, cerca e trova sempre il proprio letto. E un cane vale un essere umano e viceversa.


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