opinioni

Non vi è giustizia senza libertà nell'uguaglianza

martedì 17 gennaio 2012
di Mario Tiberi

Alcuni giorni orsono, di pomeriggio, mi sono ritrovato a perdermi nell'iperuranio del pensiero puro e, dopo un prolungato silenzio seguito da una animata discussione con me stesso, sono giunto alla conclusione che, senza un ripensamento sugli irrinunciabili e sacri ideali della Giustizia e della Libertà, tutto il resto è vuoto e vano.

La libertà, troppo spesso, ci viene negata da "padroni-satrapi" scientemente occulti o sfacciatamente manifesti; la giustizia in loro mani è solo fonte di immorale illegalità. Per ben comprendere il legame intimo che unisce il valore della libertà a quello della giustizia e viceversa, è necessario effettuare un repentino percorso a ritroso e gettarsi nelle braccia di una galassia dominante: l'Economia.

Keynes scrisse che la caratteristica specifica della dottrina economica, nei secoli dei secoli, è sempre stata quella di rappresentarsi come l'eco del pensiero scientifico corrente, negli scambi e nella produzione, o di elaborazioni teoriche avvenute una o molteplici generazioni prima. Quello che gli attuali politici ritengono il "non plus ultra" del moderno, del nuovo, del socialmente rivoluzionario è, invece, solo l'eco stantia di ciò che illuminati studiosi, solitari e poco o per nulla ascoltati, pensavano e andavano predicando da molto tempo antecedente.

E allora, per restare nell'essenziale, non si possono non evidenziare almeno due canoni pratici che, tuttora, si ergono a baluardo di una società che voglia definirsi libera e democratica e che, dove più dove meno, rappresentano ancora l'unico strumento vivo in grado di salvare il genere umano dalle indigenze e dalle carestie, sia spirituali che materiali.

Il primo canone ci ammonisce che il male sociale trova le sue origini in un assetto statuale formalmente plurimo, ma sostanzialmente monopolistico e che, dunque, la lotta contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali non può che prendere il nome di lotta contro i monopoli politici, economici e culturali. Il monopolio, anche quale forma di sofisma intellettualistico, viene destinato dagli oligarchi a fungere da radice alle sopraffazioni dei "forti contro i deboli", agli accumuli di ricchezze, spesso immeritate o derubate, nei forzieri di ristrette cerchie elitarie provocando, alla lunga, invidia e rabbia e ribellione tra le moltitudini popolari.
Bisogna però, per onestà e coscienza, sfatare anche un'opposta falsa credenza: non è vero che la proprietà privata sia di per se stessa il furto per eccellenza. L'inventore dell'aforisma, Proudhon, oggi probabilmente lo muterebbe arrivando a sostenere che non la proprietà, bensì il monopolio, è il furto che grida vendetta. La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, non è ottenuta a danno altrui quanto piuttosto a vantaggio di chi non possiede nulla, essendo padrone delle sole sue braccia, e così dimostrandogli che è possibile elevarsi socialmente ed economicamente ben utilizzandole.

Il male, il furto reale nasce quando l'egoismo e il cinismo degli "squali della finanza" sostituiscono all'economia della libera e leale concorrenza quella del privilegio monopolistico; quando ciò accade, il profitto da prepotente monopolio diventa sul serio un ladrocinio legalizzato commesso a danno della collettività ed è, per davvero, il nemico numero uno di un libero sistema economico in funzione dello svilupparsi di una economia progressiva e fonte di ricchezza.

Il secondo canone si sostanzia nel principio, per la verità poco praticato se non disatteso, dell'equità fiscale la quale, a sua volta, deve tendere a far sì che gli esseri umani, nella lotta per la vita, possano iniziare la corsa partendo da posizioni non troppo distanti tra loro. Il gettito delle imposte sui redditi e sui patrimoni più elevati deve servire ad offrire a tutti, in special modo ai figli dei più poveri, la possibilità di essere educati ed istruiti tanto da poter gareggiare ad armi pari con i figli di coloro che si trovano più in alto nella scala sociale.
Una saggia politica dovrebbe consigliare a non più considerare come chimera utopica il diritto ad una abitazione decorosa, ad una istruzione gratuita fornita a tutti i meritevoli sino all'Università ed oltre, ad una sicurezza di vita nella vecchiaia, a efficienti servizi sociali che oggi tendono a regredire piuttosto che ad avanzare.

Ma i due postulati appena accennati, avversione ai monopoli e massima possibile uguaglianza nei punti di partenza tra poveri e ricchi, potranno realmente concretizzarsi solo se la lotta diuturna per la libertà, contro la tirannia dei monopolisti privati come di quelli pubblici, troverà in se stessa la forza e la capacità di essere la premessa necessaria per una società più equa e solidale in tutte le sue sfaccettature.
GIUSTIZIA non esiste là dove non vi è LIBERTA' nell'UGUAGLIANZA.