opinioni

"ll bene è comune". Passano, in Italia, i 4 referendum con percentuali oltre il 95% di SI

martedì 14 giugno 2011
di Rodolfo Ricci

Lo straordinario risultato dei quattro referendum del 12 e 13 giugno decreta una svolta storica per il nostro paese. Raggiunto il e superato di gran lunga il quorum del 50%, le percentuali di SI nell'ordine di circa il 95% dei voti espressi su tutti i questiti referendari, dall'abrogazione delle leggi sulla gestione privatistica dell'acqua, al nucleare e al legittimo impedimento segnano una svolta epocale che riconferma principi basilari del vivere civile e sociale: i beni comuni (a partire dall'acqua) sono di tutti.

La legge è uguale per tutti. L'energia deve essere pulita, il meno pericolosa possibile e non concentrata in poche mani. Due assunti dello sviluppismo e del pensiero unico neoliberista, accompagnate dalla pretesa di una legge e un diritto differenziato tra chi appartiene alla casta e il cittadino comune, sono scalzati alle fondamenta dal risultato del voto.

La gente, di sinistra e in buona parte anche di destra, vuole un altro approccio a questi temi fondamentali che sono determinanti per il presente e per il futuro. Al di là della lettura meramente politicista (che è in parte fondata ma non decisiva), già cavalcata da divesi esponenti dei partiti di centro-sinistra, secondo la quale, con questo risultato siamo alla fine del ciclo berlusconiano, in realtà il voto ratifica la fine del neoliberismo all'italiana, chiunque lo abbia gestito e chiunque intenda ancora gestirlo.

Al 95% gli elettori hanno detto che sull'acqua (e sui beni comuni) non è possibile fare profitti privati. Hanno detto che le politiche dell'energia non possono essere decise dai pochi grandi gruppi di multinazionali quando gli effetti delle scelte riguardano ogni territorio e ogni persona.

E' bene ricordare che i due questiti sull'acqua chiedevano di abrogare una legge varata a suo tempo dal centro sinistra e un'altra varata dal governo di centro destra. Entrambe sono state cancellate. Vale la pena ricordare che nel variegato mondo politico, molte erano state le voci di sostegno alla reintroduzione del nucleare, sia all'interno del centro sinistra, sia dentro il cosiddetto terzo polo. La legge è stata cancellata.

L'unica legge sottoposta al referendum abrogativo, imputabile esclusivamente al governo berlusconiano di destra (ma con simpatie consistenti nel terzo polo) è quella sul legittimo impedimento, anch'essa cancellata dal voto.

Il voto segna dunque un altolà su temi fondamentali a tutti coloro che hanno più o meno sostenuto queste misure siano essi appartenenti agli schieramenti di centro destra o di centro sinistra. E il voto, come detto è in gran parte riconducibile all'elettorato di centro sinistra, ma altrettanto fondamentale è l'apporto provenuto da ambiti di centro destra, non solo per aver consentito il raggiungimento del quorum, ma anche per aver consentito il raggiungimento della stratosferica soglia del 95% su tutti e quattro i questiti referendari.

Cosa significa questo ?

A nostro modo di vedere, significa che si è rotto il meccanismo unanimistico (bipartisan) di condivisione e sostegno del pensiero egemonico stratificatosi nella società italiana negli ultimi venti anni, che sono gli anni della seconda repubblica e che sono gli anni dell'applicazione pedissequa e anche sui generis delle politiche neoliberali di emanazione anglosassone in Italia.

Si è rotto,oggi, non ancora nel mondo della politica dei partiti, ma nella società.

Gli elettori, a prescindere dalle loro ispirazioni ideali, o ideologiche, dicono no a queste politiche.

Dicono sì al mantenimento in mani pubbliche dei beni essenziali, rifiutando la loro mercificazione e la loro introduzione nel circuito di valorizzazione capitalistica e del loro trasferimento nelle mani delle grandi corporations internazionali che hanno individuato in questi ambiti di investimento, una formidabile alternativa di profitto, nella generale caduta degli altri saggi di profitto nei settori produttivi tradizionali.

L'acqua ha una altissimo valore simbolico, perchè corrisponde al vivente stesso, ma tra questi beni si possono aggiungere anche tutto ciò che ha che fare con gli alimenti base, con la biodiversità e con i suoi principi attivi oggetto di aggressione della farmaceutica e della chimica. E' dall'aggressione speculativa su questi beni che sono nate le rivolte nord-africane.

Il risultato del voto dà anche un giudizio diverso sul rapporto tra gestione pubblica e privata: la gestione privata di molto di ciò che è stato pubblico non ha affatto confermato le sue promesse, anzi, si è trasformato in una ampia smentita delle grandi opportunità e miglioramenti che il mercato avrebbe dovuto produrre.

Il ragionamento può essere allargato a molti altri ambiti. Le privatizzazioni non hanno portato né miglioramenti nei servizi, né maggiore occupazione, che anzi si è radicalmente contratta e neanche hanno consolidato le imprese privatizzate, spesso scalate da altre grandi imprese straniere.

Invece, tornare ad una gestione pubblica, fuori ovviamente dalle camarille della casta (la stessa casta che ha privatizzato era quella che gestiva il pubblico), può significare un allargamento della base occupazionale.

Ancora di più, da questo punto di vista, può provenire dalla sconfitta dei nuclearisti: la produzione allargata di energie pulite e sostenibili, può produrre centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Oggi, alle prime avvisaglie del risultato dei referendum, la borsa di Milano ha reagito facendo lievitare di oltre il 10% i titoli delle imprese impegnate in questi settori. Si assiste cioè alla capacità della società di modificare gli orientamenti della finanza.

La condizione necessaria per il raggiungimento di risultati positivi e praticabili è tuttavia una gestione trasparente del pubblico, sia per i servizi, sia per le politiche di incentivazione delle nuove energie: la gestione pubblica deve cioè essere partecipata. Il voto segna la richiesta pressante di partecipazione diretta, del superamento della delega in bianco, di una nuova rappresentanza che possa essere controllata, giudicata e approvata o meno, anche in corso d'opera.

Il voto apre cioè un nuovo grande spazio politico per la costruzione di una democrazia partecipata.

Una nuova concezione di gestione pubblica dei beni comuni deve quindi essere accompagnata dalla partecipazione sempre più diretta e decisiva delle persone. E su questo, con il voto odierno, sembra convenire, in modo molto pragmatico e poco ideologico, gran parte del corpo elettorale. Ad una trasversalità bipartisan del potere sembra contrapporsi una trasversalità del corpo sociale che supera antiche differenze.

Il superamento di questa fase storica è superamento di una configurazione del modello di rappresentanza che abbiamo conosciuto fino ad oggi. E questo vale a sinistra come a destra. Vale in generale. In un certo senso può trattarsi dell'inizio di un nuovo paradigma. In questa battaglia vinta (che non è la guerra) è risultata decisiva una pratica diffusa di informazione che non è transitata nelle TV o nei giornali, ma in buona misura nella famosa rete delle reti: Internet. La diffusione impressionante di messaggi nei siti web e attraverso le e-mail ha surclassato il tentativo di oscuramento dell'oggetto dei referendum da parte dei media.

Solo nelle ultime settimane, quando attraverso il sistema di sondaggi si è resa evidente la possibilità della vittoria dei sì, diversi importanti mezzi di comunicazione, come La Repubblica, si sono apertamente schierati. E così ha fatto con relativo anticipo, anche il PD. Il potere della rete conferma con questa vicenda il rischio molto presente di una sua limitazione mirata che già corre da oltre un anno a questa parte in diversi consessi internazionali e che è già oggetto di proposte di legge nostrane.

L'esito positivo del voto di oggi non risolve, ovviamente, pur nella sua grande valenza, la battaglia politica italiana. Il suo esito è invece legato ad un altro oggetto fino ad oggi, perfettamente oscurato dall'informazione e dalla politica: si tratta della prossima legge di stabilita a durata ventennale. Non si tratta solo della finanziaria a venire che salasserà 46 miliardi di lire dallo Stato sociale italiano al sistema della finanza per proteggere l'Euro (o meglio il sistema bancario europeo), ma si tratta di -n- finanziarie a venire che dovranno portare al pareggio del deficit pubblico entro il 2014 e riportare entro il 60% il rapporto tra deficit e Pil entro i prossimi 20 anni. Si tratta, come pochi sanno, di 20 finanziarie che ogni anno dovranno ridurre la spesa pubblica di circa 40 miliardi all'anno (cioè fino agli anni ‘30), per mantenere stabile il valore dell'Euro.

(E' da diffondere che questo obiettivo, ammesso che sia indispensabile e condivisibile, potrebbe esssere risolto in un battibaleno in altri modi assolutamente delicati e non invadenti senza mettere sul lastrico interi paesi: vedi, ad esempio: http://www.emigrazione-notizie.org/articles.asp?id=431 )

La distruzione dei Welfare europei per salvare l'architettura finanziaria del continente è la vera posta in gioco. Ad essa si riferiva la provocazione di Pierluigi Bersani lanciata a Vendola la scorsa settimana, per valutare l'attendibilità dei soci dell'alleanza di centrosinistra a venire, che dovrà, se potrà, definitivamente sostiuire il sistema berlusconiano. Insieme a quella, sottintesa, dell'accettazione del sistema di alleanze internazionali a guida Usa, che ogni partner di un futuro governo dovrà accettare a priori, con i suoi corollari di guerre umanitarie e di nuovo controllo imperialista delle aree ritenute strategiche al sistema finanziario globale.

Se non ci sbagliamo, la trasversalità pragmatica emersa in occasione del voto per i referendum, può essere riconfermata anche in queste congiunture terminali. Non per ideologia (o non solo), ma anche per pragmatismo e buon senso del futuro. Per la sopravvivenza di 500 milioni di europei e tra questi, di 60 milioni di italiani (fatti salvi quelli che sopravviveranno comunque).

Cercasi, per tutto ciò, un leader, o, se si vuole, una compagine che sappia tradurre le disponibilità e l'indicazione popolare in termini politici.