opinioni

A proposito di calanchi ...

giovedì 17 febbraio 2011
di Marco Marino

Siamo tutti ambientalisti: chi per convinzione, chi per opportunismo, chi per paura. Oggi non esserlo è come dichiararsi a favore dello stupro, dello stalking, della violenza tout court.
Però lo si può essere in forma maniacale o ragionata e qui sta la vera differenza tra gli ambientalisti assolutisti e quelli relativisti. Io appartengo alla seconda specie, ovvero di coloro che pur essendo convinti della necessaria difesa dell'ambiente, pensano che lo si possa difendere anche intervenendo su di una parte di questo: basta farlo correttamente...

Quando mi affaccio dalla rupe verso il lato che va da nord ovest a nord est, dalla gonfaloniera per capirsi meglio, vedo uno dei più gravi massacri ambientali che si siano mai fatti in una valle. A comprendere meglio l'entità del massacro vengono a sostegno i ricordi dell'infanzia quando lasciavamo gli usuali giochi per precipitarsi all'affaccio per vedere passare l'unico elemento di contemporaneità che era il Settebello: un treno. Questo treno sfrecciava in una valle dove la ferrovia era l'unico elemento di contaminazione: il fiume Paglia ancora tortuoso separava coltivazioni storicizzate, identiche da secoli, Sferracavallo un microscopico borgo vicino al ponte di Felicetto, lo scalo composto dalla stazione e tre case. Le strade erano ancora tutte bianche tranne quella che saliva ad Orvieto e di là dal fiume si vedevano i cretoni, nome popolare dei calanchi, più su le boscaglie e più lontano i monti.

Oggi, come dicevo, se ci si affaccia dallo stesso punto vediamo solo lo sfascio organizzato da urbanisti ed amministratori che per essere buono voglio definire incompetenti. Ciconia e la Svolta sono cresciute in modo disordinato e confuso di là da Paglia, mentre Sferracavallo altrettanto disordinatamente si è espanso in tre direzioni, due delle quali ad abbracciare la rupe ed una verso quella zona industriale nata male e cresciuta peggio, con all'interno persino depositi di materiali di cava ed all'esterno altri fabbricati industriali non contigui, contribuendo così allo spezzettamento del territorio. L'autostrada e la direttissima poi hanno contribuito a spaccare in due la valle e tutti sappiamo come le grandi arterie siano certamente utili e fondamentali per lo sviluppo per quanto contemporaneamente siano devastanti per l'ambiente.
Ultima, ma solo per l'argomento che intendo trattare dopo questa ampia premessa, la discarica.
Insediatasi al di sopra di un sistema di calanchi, solo con minime e parziali lavorazioni del prodotto, ha iniziato a lavorare colmando un primo calanco e poi quasi completandone un secondo e, grazie alla solidarietà verso Napoli invasa dall'immondizia, accorciandone i tempi di colmata.

Su quella solidarietà, pelosa come si dice dalle nostre parti, Orvieto ha tratto benefici economici, c'è ancora più di un milione di euro da riscuotere, che se avessero avuto un utilizzo virtuoso non ci troveremmo nella situazione economica ed ambientale così pesante. Invece no, sono andati nella direzione degli sprechi, del clientelismo, dello sviluppo d'immagine e non di sostanza, continuato anche quando questa risorsa si è fermata e tutto in buona pace di noi ambientalisti che in quel momento forse dormivamo. Ed oggi, immersi in questo disastro ambientale descritto, siamo terrorizzati dall'ipotesi dell'apertura di un terzo calanco da colmare.

Comprendo la prudenza, ma qualcosa non mi convince.
Innanzitutto le previsioni di utilizzo e colmata del secondo ed eventuale terzo calanco Questo argomento mi ricorda un dato statistico di previsione pubblicato su un giornale milanese del milleottocentonovanta. L'articolo rilevava che solo vent'anni prima le carrozze che circolavano per Milano erano un decimo di quelle attuali e che pertanto intorno al millenovecentotrenta la città, con quella progressione, avrebbe avuto un tale numero di carrozze e quindi di cavalli da rendere l'ambiente invivibile. Sappiamo tutti che poi a rendere invivibili le città sono stati i motori a scoppio non certo gli escrementi dei cavalli, ma in altri casi ed altre previsioni statistiche le successive e più moderne tecnologie hanno corretto positivamente i dati più catastrofici.

Per questo oggi battersi ragionevolmente o irragionevolmente contro l'utilizzo di un terzo calanco appare più come una battaglia di retroguardia che di difesa dell'ambiente. Inoltre attraverso un utilizzo virtuoso del terzo calanco si potrebbe procedere allo svuotamento del primo che, riempito con modalità obsolete, costituisce oggi un deposito artificiale di risorse energetiche organiche ed inorganiche sfruttabili da nuove tecnologie con minor impatto ambientale.
Da non trascurare c'è pure il problema del bilancio del comune che trarrebbe inevitabili benefici di assestamento da un'operazione di questo tipo consentendo la non esecuzione dei tagli previsti, soprattutto quelli a carattere sociale, che personalmente mi preoccupano più di qualche tonnellata di immondizia.
Volutamente non mi avventuro in dettagli tecnologici perché sono convinto che i danni che può fare un politico quando si traveste da tecnico sono solo inferiori a quelli che può fare un tecnico quando viene chiamato a risolvere problemi politici.

Perché il problema è solo ed esclusivamente politico quando si deve decidere se è meglio privare di risorse fondamentali una città, oppure affamare tutti, ma salvare un calanco.

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