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L'importante è vincere, non partecipare! Ma ne siamo proprio sicuri?

mercoledì 9 febbraio 2011
di Chiara e Mario Tiberi

In un mondo di per sé meraviglioso e ricco di umana talentuosità, di scoperte scientifiche e culturali, di invenzioni tecniche e tecnologiche, assistiamo tuttavia, troppo spesso, ad una assente percezione dell'appartenenza a una umanità che andrebbe protetta e salvaguardata e non certo danneggiata dall'esasperato inseguimento di illusori obiettivi a breve termine.

Viviamo un'epoca nella quale il buon senso viene non di rado a mancare e, senza di esso, si accelerano le distorsioni di pensiero, di ragionamento e di modo di vedere e concepire la realtà circostante; in un mondo, insomma, offuscato da spietate lotte di potere e di denaro, ne viviamo il disincanto che credevamo non lasciasse più spazio allo stupore.

E invece, proprio quando si è soliti dire "non ci meravigliamo più di niente, ormai abbiamo toccato il fondo", spuntano sempre qualcosa o qualcuno che ci lasciano stupiti e increduli.
Frequentemente ci si lamenta dell'odierno contesto socio-politico attraverso l'affermazione che la nostra è solo una democrazia apparente, celante demagogici calcoli elitari o addirittura totalitari in funzione dei quali, chi ne è a capo, è convinto, o vuole convincere, di credere in principi, tanto intellettuali quanto morali e politici, validi e benefici, quando invece l'unico scopo è vincere annientando l'altro.
In questa guerra al massacro non prevalgono, e dunque non vincono, le idee, i valori, i progetti i cui risultati soddisfino l'intera collettività che, a sua volta, può quindi riconoscervisi fino al punto da poter dichiarare, con onestà e sicurezza, che quella è la vera maggioranza in grado di rappresentare il popolo tutto. Al contrario, in un meccanismo insano vincono le singole persone: la loro personalità, il loro carisma, il loro saper incantare, adulare, confondere la realtà con l'apparenza.

Ed è in tal guisa che si formano le aggregazioni e le maggioranze attorno ai leader, troppe volte così definiti a sproposito poiché il metro di giudizio non può essere solo quello che calcola la vittoria in termini di mera abilità o astuzia. Ad onor del vero, ci si sofferma però raramente a ragionare che il "marcio" sta sì nei vertici delle gerarchie, ma non in dose superiore rispetto alle sue basi.
La vera questione è allora questa: se l'infezione non riguarda solamente le foglie più esterne e più in alto, ma coinvolge anche il tronco e le radici, l'intera pianta è malata e la terapia per salvarla appare ardua, se non impossibile. Il "marcio", così ben sedimentato e radicato, non è agevole da estirpare!.
Ciò che sembra caratterizzare il presente è il prototipo del vincente. Ma tale è l'ideale cui tendere? E' questo l'obiettivo principe, il massimo a cui si può aspirare? Si deve veramente concedere fiducia a personaggi per il solo fatto che incarnano il simbolo della forza, del potere, del successo e della vittoria?.

Ebbene sì: per alcuni, non sappiamo quanti e speriamo ormai in diminuzione, questo è ciò che conta e basta e avanza per affidarsi nelle mani dei più. Senza porsi troppe domande, senza mettere in discussione troppe fatue certezze, si segue ciecamente un'unica direzione: quella che porta alla vittoria, non tanto perché ci si creda per davvero ma, semplicemente, perché è la vincente. Ed ecco le "pecorelle", unite e tenute insieme in un unico gregge soltanto dal desiderio di sovrastare e sopraffare gli altri, che mettono in mostra la loro illusoria forza!.
Anche volendo seguire ed accettare la concezione della potenza di un solo uomo e della sua vittoria, il ragionamento per cui è meglio stare nelle maggioranze vincenti, solo perché vincenti, è contraddittorio e quindi poco pregnante e convincente. Nietzsche, sicuramente estremizzandola pericolosamente, nel teorizzare la figura dello "Uber-Mensch" come l'uomo più coraggioso di tutti i tempi e che avrebbe vinto su tutto e su tutti, denigrava le maggioranze riunite in un gregge delineandolo come pavido e stolto.
Se aderire ad una maggioranza, di qualunque natura e non solo politica, vuol dire omologarsi a questa perché in quel momento risulta essere la vincente, evidentemente è soltanto un modo per nascondere a se stessi e agli altri la propria povertà, "in primis" intellettuale e poi morale. Le molte insicurezze, debolezze e fobie si rendono forti nel segno della maggioranza che tutte le ingloba e protegge. Chi sostiene di voler appartenere alla maggioranza vincente perché non è un perdente e non vuole, dunque, apparire come tale, forse in realtà lo è più di tutti. Forse ha bisogno del maggior numero per non dover sostenere l'incombenza del proporsi e del confrontarsi con il rischio, conseguente, di non essere accettato e quindi escluso.
Ed ecco che si giunge così all'annientamento della propria identità: si è, in tal maniera, pirandellianamente "Uno, Nessuno e Centomila"!. E come è possibile, allora, essere dei vincenti?.

In codesto gioco delle illusioni non si produce se non altro che rafforzare unicamente i leader nel mentre tutti i seguaci, alla sua ombra e quasi di nascosto, obbediscono alla legge del più astuto e prepotente da loro stessi ingenuamente considerato il più forte perché vincente. Il leader dal canto suo, superbamente e senza mai voltarsi indietro, percorre la sua personale strada trionfante non avvedendosi che la stessa, giorno dopo giorno, lo porterà inevitabilmente alla propria autodistruzione.
Sono, dunque, davvero queste le contese della vita che si vogliono disputare? Quelle disoneste, in cui si tradisce prima di tutto se stessi e la ricchezza della propria umanità; quelle facili e, in fin dei conti, false e frustranti poiché conducono soltanto a conquiste effimere e apparenti, destinate a scomparire col passare del tempo?. Ciò che rimane non è la fama, il successo, il potere, in sé fuggevoli in quanto meteore passeggere che non rifulgono di luce propria, quanto la disperazione di essersi perduti per niente.
Da ultimo, l'ennesimo paradosso: se l'importante è stare dalla parte dei più soltanto perché sono i più, ora dominanti, ciò dovrà per forza significare che se il corso degli eventi dovesse capovolgersi, per cui una maggioranza si troverebbe ad essere automaticamente trasformata in minoranza sconfitta e perdente, chi aderiva alla prima, solo perché vinceva, ora si catapulterebbe dalla parte opposta non essendo più quest'ultima un anello debole e fragile?.

Se così fosse, alle minoranze non resta altro che sperare di non diventare mai maggioranza, pena il rischio di ritrovarsi con del personale umano di cui non ne condivide, anzi ne disprezza e condanna, i miseri pensieri e i vuoti valori.