opinioni

La politica del carciofo e la rivoluzione negata. Manca una linea politica di respiro

sabato 17 luglio 2010
di Massimo Gnagnarini - UDC

Il tratto che caratterizza l'attualità della politica orvietana è
quello del rinvio. Ma le scadenze di volta in volta rimandate appaiono
sempre più improbabili e prive di contenuti e non in grado di
suscitare aspettative e speranze. La distanza anche solo psicologica
rispetto a un anno fa è abissale. Se si può riassumere con una
semplice metafora un sentimento che credo largamente diffuso si può
dire che ci si era messi con entusiasmo e buona lena a sfogliare un
carciofo senza però sapere come, perchè e per farci cosa. Non v'è
linea politica e questo annichilisce qualunque visione d'insieme dei
problemi della città e del suo divenire. Viene impedita così la
formazione di nuovi patti sociali e di nuovi blocchi d'interesse tra i
cittadini orvietani e la p.a. capaci di innescare iniziative e
scintille di sviluppo che là, in comunità locali più vive e
intelligenti della nostra, producono e valgono più di cento
programmazioni dirigistiche quinquennali.

Noi a Orvieto abbiamo i "dossier" (Ex Caserma Piave, Parcheggi, Swap
...). Procediamo per "dossier" senza preoccuparci che esiste un
"questione orvietana" che va oltre quei dossier e va oltre il bilancio
comunale disastrato, la cui recente approvazione se ha scongiurato,
almeno per il momento, il commissariamento del comune, non ha certo
estirpato le radici del profondo rosso dei conti pubblici cittadini.
Certo ci abbiamo lavorato in molti e con passione. Non tutte le idee e
i suggerimenti emersi hanno trovato il loro giusto posto in quel
documento contabile.
Cose che comunque è possibile riprendere e fare da subito, importanti
come il riordino della pianta organica comunale e la riqualificazione
di dipendenti da finalizzare alla ripresa della gestione diretta dei
servizi a pagamento ad alta redditività come i beni culturali, i
parcheggi, i rifiuti, l'energia.
Cose come la creazione di un moderno ed efficiente ufficio tributi in
grado di corrispondere al contrasto dell'evasione e all'accertamento
delle nuove entrate derivanti dalla prossima attuazione della riforma
fiscale federale ( service tax) da cui, già dal prossimo anno,
dovranno passare oltre un terzo delle entrate totali del comune.
Cose da fare molte già segnalate in un rapporto già consegnato, lo
scorso aprile, al Sindaco e ai Capogruppo consiliari.
Naturalmente spetta alla Giunta e ai singoli assessori trasformare
queste indicazioni in atti amministrativi tangibili e operativi.

Ma non basta! L'altra gamba sulla quale raddrizzare le sorti di
Orvieto è quella degli investimenti e delle risorse necessarie: fondi
comunitari, regionali e investimenti privati. Qui, finora, regna il buio più assoluto.
Nessuna visione, nessuna speranza foss'anche questa la più illusoria.
Ma allora dov'è la politica ? Serve a cosa la politica?
Servirebbe molto, invece, anche per spazzare via quest'aria viziata di
euforia liquidatoria che avanza anche qui e che finisce per far
apparire ordinario e normale ciò che rimane del tutto straordinario.
Tipica degli ambienti finanziari più beceri questa rincorsa
speculativa si è insinuata anche nei bilanci del comune:
privatizzazioni, dismissioni, vendite e compartecipazioni sui
servizi e sugli asset pubblici. Per non parlare dei disastri causati
dall'introduzione della cosiddetta finanza derivata. Orbene i frutti
di questa mentalità deviata nel modo di operare e amministrare una
città li conosciamo tutti: ricchezza distrutta, rapinata e per lo più
trasformata in scandalose stock option a beneficio dei manager di
turno che intascano e ringraziano i politici di turno.

Sono in molti a chiedersi le ragioni dell'immobilismo della politica
orvietana. Non tutti, però, sono disposti a farsene una ragione e a
considerarlo un fatto ineluttabile.
Quindi vale la pena approfondire e indagare sui motivi senza timori o
riserve di alcun genere, anche a costo di appesantire lo scritto e
abusare della pazienza di chi legge per cui, di questo, me ne scuso
anticipatamente.
Certo non sono finora mancate analisi e discussioni sul fenomeno
dell'anatra zoppa, né la critica alle insufficienze programmatiche
della destra e i riferimenti alle divisioni all'interno del PD, ma,
forse, per capire cosa succede veramente a Orvieto è necessario
penetrare la superficie, per così dire, istituzionale della politica e
calarsi in uno spazio ideale ma non certo virtuale dove avvengono gli
scontri e si regolano le lotte e gli interessi delle rispettive parti.
Questo luogo risponde a logiche e a moti propri che quasi sempre
fungono da dogane e da linee di off -limit alla intelligenza o al solo
buon senso.

Cominciamo dal centro-sinistra. Il primo picconatore dell'antico
sistema di potere orvietano è stato l'ex Sindaco Stefano Mocio che,
tardivamente, quasi alla fine del suo mandato, si mise di traverso
all'ultimo timoniere rosso e suo benefattore politico Stefano
Cimicchi. La reazione fu l'invocazione delle primarie e la conseguente
candidatura di Loriana Stella che serviva ad arginare e neutralizzare
l' attacco interno che aveva come obiettivo la disarticolazione dello
storico patto sociale con le cooperative e gli altri soggetti
parapolitici sopravvissuti al PCI e che ne costituivano lo zoccolo e
il volano elettorale. La componente ex democristiana del PD ha
impedito tale restaurazione cavalcando l'elezione a sindaco di Toni
Concina stabilendo con esso un implicito patto di prosecuzione
dell'opera di scardinamento avviata da Stefano Mocio.
Queste aspettative riposte su Concina dagli "amici" del PD hanno però
subito, nel corso di questo primo anno, almeno un paio di stop.
La prima complicazione è arrivata con l'affermazione congressuale dei
rossi (Galanello, Trappolino, Germani) sugli ex margheritini emergenti
in provincia (Polli, Mocio, Brega).
Il secondo imprevisto, non meno insidioso, corrisponde al tentativo
riuscito del Sindaco di giocare in proprio e per suo conto la partita
di cui inaspettatamente egli si è trovato protagonista e di tenersi,
all'uopo, le mani libere.

Così, legittimamente, Concina si è mosso dapprima attraverso la nomina
di un esecutivo "leggero" mantenendo praticamente il controllo diretto
sulle deleghe pesanti , il bilancio a Romiti ( un marziano chiamato
per aggiustare una lavatrice ) e il superassessorato alla Calcagni (
la più disinvolta e forse la migliore in giunta ) e nel contempo, con
l'invenzione del Patto per Orvieto, coinvolgendo anche i "compagni"
del PD e concedendo loro l'ok per la riconferma di importanti nomine
negli organismi di secondo grado e perfezionando, con il voto in
consiglio comunale, importanti operazioni urbanistiche
precedentemente impostate e già regolate tra il PD e vari
imprenditori.

Questa evoluzione del quadro generale ha portato l'anatra zoppa a
innalzare la sua linea di galleggiamento verso acque più alte e più
sicure. In effetti entrambe le correnti del PD, in un'ottica
finalizzata al proprio scontro interno, hanno trovato più conveniente
far durare il Sindaco: gli uni confidando ancora sull'aiuto di Concina
per l'opera di picconamento dei vecchi santuari del potere del PCI,
gli altri per continuare a incassare posti e nomine per una rendita di
posizione però compromessa dal risultato elettorale e che, invece, il
Sindaco ha continuato a concedergli nonostante l'irritazione dei primi
e ovviamente nello sconcerto degli esponenti di centrodestra.
Dal punto di vista della soluzione di scuola data dal Sindaco al
problema dell'anatra zoppa il quadro che si è venuto a formare
equivale a una piccola opera d'arte frutto di una fine intelligenza
che non sorprende chi conosce o ha imparato a conoscere Toni Concina.
Sfortunatamente dal punto di vista dell'iniziativa politica e del
surplus necessario per affrontare e risolvere la "questione
orvietana" lo stesso quadro appare oggi come il meno stimolante e
anzi per certi versi di ostacolo alla ripresa di iniziativa e di
progettualità necessari alla città. Si tratta di un imbarazzante
immobilismo di cui il PD non può esimersi dal sentirsene attore e,
seppur passivo, artefice a pieno titolo.
In altre parole sul PD oggi grava una nuova e limpida responsabilità:
Se la questione orvietana si raddrizza buon per tutti, ma se dovesse
implodere allora anche il PD sarà quantomeno corresponsabile del
naufragio. Poco importa se il sostegno da esso finora offerto sia
frutto di convinzione o di convenienza. Quel che conta è che il PD ha
avuto in mano, per evidenti ragioni di numeri e per tutto il tempo,
il pallino di questa strana e complicata partita che ancora una volta
viene giocata sulla testa degli orvietani.

La mera indicazione di lavorare per rilanciare il centrosinistra nella
malcelata attesa che si consumi la parabola conciniana e con la
speranza nel contempo di chiarire una volta per tutte chi comanda nel
centrosinistra di Orvieto equivale a nascondere sotto a una rete da
pesca la propria insensibilità e menefreghismo sul destino di Orvieto.
Sanno benissimo che non è questa la chiave di lettura per interpretare
le nuove aspettative di una città e del suo elettorato che sono
cambiati molto più profondamente e trasversalmente di quanto si poteva
supporre. Non ci sono più i numeri dell'antica egemonia. Pertanto
dovrebbero proprio smetterla di cincischiarsi tra loro per ricercare,
invece, larghe intese e alleanze in grado di far ripartire la
politica e incalzare la Giunta e il Sindaco sulle cose da fare e sulla
prospettiva futura.

Proseguiamo con il centro-destra. Esso a Orvieto non ha vinto le
elezioni del 2009 , non controlla il Sindaco e non dispone di un
adeguato programma. Sul piano squisitamente politico soffre ed ha
sofferto le iniziative di perequazione di volta in volta messe in
campo da Toni Concina peraltro non sempre concordate.
Questi fatti hanno dato l'impressione che il ruolo svolto dal
centrodestra orvietano sia stato quello dei maggiordomi della politica
cittadina attenti a non sporcarsi il vestito piuttosto che quello di
governare. Qui il giudizio è severo ma mai irrispettoso. Del resto la
mia stessa parte politica , l'UDC, è destinataria del giudizio e
quindi, prima che mi venga ricordato, ammetto che si tratta di
un'autocritica.
Conosco quasi tutti i protagonisti di questa parte politica e ne ho la
massima e più sincera stima sul piano individuale oltre all'amicizia e
alla condivisione di valori ed esperienze. Tuttavia non posso non
notare come la delusione di aspettative irrisolte e i condizionamenti
di delicati equilibri ne abbiano logorato l'entusiasmo e la
determinazione. Un clima di impotenza e di sopportazione calcificati
che, ormai, se non rimosso al più presto, diventa dannoso per la città
e per lo stesso centro-destra. In effetti in assenza di una linea
politica di respiro le iniziative e i contributi degli assessori e dei
singoli esponenti rischiano di qualificarsi come altrettanti isolati
tentativi di apparire, ogni volta, solo un pò più realisti del Re.

Uno spreco di intelligenze e di talenti che rischiano di scivolare
verso il piccolo cabotaggio dello scambio di favori e delle attenzioni
particolari. Noi, per quanto per lo più nuovi e inesperti, lo sappiamo
benissimo che se non riesci a dare alla gente una prospettiva alta e
una ragione generale in più per incoraggiarti e sostenerti , allora
cominciano le file dei postulanti e delle richieste ad personam,
crescono i reclami per i lampioni spenti e quelli per le tariffe
troppo alte. Cose importanti, ma che da sole non giustificano una
rivoluzione, per quanto pacata e disarmata sia stata quella fatta
dagli elettori orvietani lo scorso giugno 2009.