opinioni

Un'altra manciata di farina bianca: "Non morirò doroteo"

giovedì 23 luglio 2009
di Mario Tiberi, iscritto P.D. Orvieto centro

L'aggettivo-sostantivo "doroteo" è riferito, per chi non lo sapesse, ad un gruppo di alti esponenti della Democrazia Cristiana che nell'anno 1959 si riunirono nel Convento romano di "Santa Dorotea" e lì fondarono la corrente denominata "Alleanza Popolare o Grande Centro", ma che, nel gergo comune, fin da subito tutti definirono la "corrente dorotea" dal nome del convento sopra menzionato.

I cenni storici che precedono non hanno granché di importanza; ciò che è utile conoscere sono gli elementi qualificativi dell'orientamento politico di tale raggruppamento e che, sostanzialmente, possono essere riassunti nei seguenti quattro punti:

A) elevazione della "mediazione" tra posizioni divergenti e spesso inconciliabili a regola primaria di comportamento con l'effetto, nel corso degli anni, di divenire strumento di estenuante e inconcludente inazione di guida governativa;

B) crescita a dismisura della spesa pubblica per fini di assistenzialismo clientelare, i cui esempi più eclatanti furono le voragini di bilancio dell'INPS e di ampi settori delle Partecipazioni Statali;

C) applicazione rigorosa del cosiddetto "Manuale Cencelli", nel rispetto del quale la suddivisione del "Signor Potere" andava centellinata con scrupolosa e certosina diligenza;

D) controllo totalizzante dei centri nevralgici del Partito Democristiano attraverso l'ossequiosa obbedienza dei padroni delle tessere di iscrizione al partito stesso, grandi o piccoli che fossero.

Da democratico cristiano quale sono stato, le affermazioni di cui sopra mi pesano e non potete immaginare quanto; ma la verità è verità e va sempre onorata.

Tornando ai nostri giorni e ai più angusti orizzonti della realtà orvietana, mi pare di poter affermare, senza tema di smentita, che la metodica del doroteismo si attagli perfettamente al "modus operandi" di alcuni personaggi politici provenienti dalla cosiddetta Ex Margherita, ora confluiti nel Partito Democratico, ad iniziare dall'ex Sindaco Mocio e dai suoi più accesi sostenitori a tutti arcinoti.

E' ormai di dominio pubblico la pesante eredità amministrativa lasciata dal precedente governo cittadino e lo stato di conflittualità permanente in cui ancora versa il P.D. di Orvieto. Molte delle cause che hanno generato un tale marasma vanno senz'altro ricercate in quel modo anacronistico di fare politica e, di conseguenza, nella mancanza di volontà e di inclinazione a cambiare mentalità per adeguarla alle mutate condizioni sociali, civili ed economiche.

Ed il guaio maggiore risiede nel fatto che lo stile doroteo, o meglio, l'epidemia dorotea ha contagiato da tempo gran parte dei vertici del P.D. locale e mi riferisco, nel caso specifico, a coloro che provengono
dall'esperienza del P.C.I. prima e, poi, del P.D.S. e dei D.S. .

Qualche tempo fa il Coordinatore Comunale On.Trappolino, purtroppo anch'egli caduto nelle pastoie della mediazione senza fine e senza sbocchi, mi chiese dove erano andati a finire i voti che D.C. e P.C.I. raccoglievano insieme e che, nel nostro Comune, fino alla caduta del muro di Berlino ammontavano a
circa l'80% dell'intero corpo elettorale. Al momento diedi una risposta generica e forse non del tutto attendibile; oggi risponderei che la perdita della metà di quell'ampio consenso è dovuta alla circostanza che delle due anime che albergano all'interno del P.D., la cattolica e la laico-marxista, sono prevalsi, almeno fino ad ora, gli aspetti deteriori e meno edificanti (per gli ex-comunisti, una per tutte, la degenerazione pragmatistica del centralismo democratico).

Per concludere: tra gli anni ottanta e novanta fu di moda asserire che non saremmo morti da democristiani; essendo io, oggi, un cristiano nella mia sfera fideistica e un democratico in quella politica non vi morirò, anche se avrei voluto morire democristiano alla Sturzo, alla Dossetti, alla La Pira, alla Fanfani.

DI CERTO NON MORIRO' DOROTEO.