opinioni

Sul Monte Piatto il cavallo di Troia dell'eolico

mercoledì 12 luglio 2006
di Vittorio Fagioli
In un territorio come quello dell’Orvietano naturalmente vocato al turismo sostenibile con una concentrazione di storia, cultura materiale, ambiente tra i più significativi nel nostro paese, all’interno del “triangolo magico” che forma con Urbino e Volterra, di cui discuteva anni fa Enzo Tiezzi sulla rivista “Arancia Blu”, in un territorio più da soft economy che altro si continuano  a perpetrare progetti industriali che contraddicono le vocazioni naturali del territorio distruggendo via via i gioielli del suo paesaggio. Dalla collina di Benano e l’Alfina, appetitoso areale per l’escavazione di basalto, alla valle del Chiani interessata recentemente da un tentativo di escavazione fortunatamente respinto, al permanere di attività da periodo post -bellico come il tiro a volo di Parrano, per limitarsi agli ultimi tentati disastri in campo ambientale. Questa volta l’elemento da sfruttare è il vento: lo stesso che per secoli ha rinfrescato la “montagna orvietana” e sospinto importanti uccelli rapaci come l’astore, il biancone e il falco pecchiaiolo - importanti specie protette - a nidificare sulla cima del Peglia; oggi - lo hanno misurato sofisticati anemometri di una società elettrica di Milano - può essere sfruttato per installare potenti pale eoliche sul Monte Piatto (nei comuni di S.Venanzo e Orvieto) da cui da secoli si gode forse una delle più belle viste del Centro Italia. Le pale ci dicono saranno alte oltre 135 metri, per il momento saranno 4, ma poi chissà… Ognuna produce, ci dicono, circa 700.00 euro l’anno alla società che la impianta, al comune che dovrebbe ospitarla sono stati offerti, a mò di compensazione del danno, circa 1.000 euro al mese. E queste sarebbero le prime nell’Orvietano: altri anemometri della stessa società stanno misurando i nostri rilievi e qualche altro sito potrebbe scappare fuori all’improvviso (occhio alle colline!). Inutile dire che mentre la società elettrica si è preoccupata di misurare la forza del vento e la durata del suo soffio trovandole rispondenti ai suoi interessi, chi ha misurato gli interessi delle comunità? Quali vantaggi porterà la centrale eolica, oltre a distruggere il monte Piatto con le sue vistose gettate di cemento armato per sostenere le torri, la enorme gru per la manutenzione, le piste di servizio, e - per sempre - l’impatto sul paesaggio visibile a chilometri di distanza, un rumore infernale, e danni all’avifauna?. E’ un impianto con tecnologia cosiddetta avanzata (che vuol dire che non porterà lavoro locale), telecomandato e che quindi non creerà posti di lavoro stabili: creerà business unicamente per la novella società elettrica che così potrà entrare nel mercato nazionale dell’energia (e a noi che ce ne importa?!) Ma qualcuno già obietta: ma il vento non era considerato anche dagli ecologisti una energia alternativa, e quindi dallo sfruttamento auspicabile?. “Energia alternativa”: ecco il cavallo di Troia per tentare di vincere le giuste rimostranze dei cittadini che già si interrogano sulla faccenda (assemblee a S.Venanzo e Prodo dei giorni scorsi). Dobbiamo innanzi tutto chiarire che uno dei discorsi più ardui da fare sullo sviluppo futuro dell’energia (chi scrive si è occupato nella sua attività professionale per molti anni di energia in Italia e nei paesi in via di sviluppo) è quello delle fonti cosiddette “alternative”, dove al termine alternativo vengono attribuiti i più diversi significati a seconda del punto di vista da cui si esamina il problema. E’ successo così che il nucleare sia stato visto ( e ritorna, ahinoi!, ad esserlo recentemente) come alternativo ai fossili, come alternativo è considerato oggi il carbone rispetto al petrolio; cioè l’esatto contrario di ciò che avvenne circa 70 anni fa quando fu il petrolio ad essere alternativo al carbone. Questo per dire che il termine alternativo è realisticamente privo di significato se non lo si riempe di contenuti. Dicevamo nel 1979 nella rivista “Rosso Vivo” a cui collaboravo con i compianti Dario Paccino e l’orvietano Pier Giorgio Maoloni che al termine alternativo “ gli ecologi, ad esempio, hanno dato un significato di “pulito” o semplicemente di “più pulito”, aggettivi che risultano ancora indefiniti in quanto non tengono affatto conto della relazione esistente tra produzione di energia e utilizzazione della stessa”. Cioè che non c’è nulla di alternativo nel produrre energia da fonti più pulite in percentuali irrisorie, che non modificano il diagramma di carico elettrico nazionale fondato sui materiali fossili, se resta immutato il modello di sviluppo fondato su alti consumi di energia per via di una infinità di merci inutili, dell’usa e getta, degli sprechi energetici, con le montanti qualità di rifiuti. E’ ciò infatti che sospinge in su la produzione elettrica verso valori elevatissimi per soddisfare i quali si rendono necessario l’utilizzo dei materiali fossili ed in futuro anche del nucleare, uniche fonti che possono tener testa nei paesi cosiddetti “avanzati” a consumi così elevati. Il resto è mera mano di vernice “verde”, per chi si accontenta di poco. Per intenderci non ci iscriviamo nella schiera di coloro che pensano che sia una rivoluzione usare tout court le “tecnologie alternative”, se questo non modifica radicalmente le modalità di utilizzo dell’energia verso la scala decentrata per cui l’insieme di pratiche virtuose come il risparmio energetico, la possibilità per i cittadini di prodursi su piccola scala la energia di cui abbisognano (già oggi sarebbe tecnicamente possibile a livello di massa il riscaldamento dell’acqua sanitaria con il solare termico, la produzione di energia elettrica dal fotovoltaico come dimostrano l’elevato numero di domande di cittadini in tal senso, il piccolo eolico nelle case sparse, con estesi riduzioni nei diagrammi di carico nazionale) devono costruire via via una società più a misura di pianeta, che interrompe l’attuale insensato sviluppo, verso una a-crescita, ovvero una decrescita forse più felice, certamente più compatibile con i parametri del pianeta Terra. Le pale del Monte Piatto non modificheranno di un pelo la nostra società, né la sua sostenibilità ambientale, come non ci è riuscito il ridicolo piano dell’Orvieto Ecocity che avrebbe dovuto portare la città verso la “eccellenza ambientale” e di cui alcun si è accorto. Crediamo che i cittadini debbano prendere la parola su questo tema importante per mantenere viva la montagna di Orvieto già da tempo penalizzata dalla presenza delle antenne radiotelevisive e telefoniche e su cui qualche amministratore che non sa quello che fa addirittura vaneggia piani di ricostruzione di colonie e di alberghi. Su un cartello di lamiera sul Monte Peglia anni fa si leggeva: “Peglia è salute”, poi qualche mano pietosa - viste le incombenti antenne - lo ha rimosso: dovremmo fare in modo che si possa rimetterlo…… Vittorio Fagioli, presidente associazione CO.S.MO. (Comitato per la salvaguardia e valorizzazione del Montarale e del Monte Peglia)