opinioni
Ricordo di Enzo Siciliano, amico di Orvieto
domenica 11 giugno 2006
di Fausto Cerulli
Io che sono aduso a scrivere affettuosi e commossi necrologi di persone a cui sono stato legato nella vita che si vive, sempre meno vivibile, anche in questa Orvieto di dannunziana memoria, ora travolta da orde nippoteutoniche, mi trovo a scrivere modestamente della tanto attesa quanto stranamente improvvisa morte di EnzoSiciliano.
Sarò breve, anche accogliendo la critica affettuosa di una mia occasionale lettrice dagli occhi molto verdi, dagli zigomi pronunciati e dallo sguardo tenero e fiero. Ricorderò soltanto che nel 1975, ad Orvieto e proprio nel Teatro Mancinelli, si svolse uno scontro all’ultimo sangue culturale tra vecchi e nuovi titani; da quello scontro, che sancì la morte dei già morti, come Tommasi di Lampedusa e in qualche modo Moravia, emersero i nuovi vincitori, tutti di sinistra, tutti desinati ad essere cacciati dai vari Pci. Tutti molto giovani: tra essi appunto Enzo Siciliano insieme ad Alberto Asor Rosa ed a Nanni Balestrini.
Faccio notare con qualche polemica che non mi pare di scorgere, negli atri o nei ridotti del Teatro Mancinelli, alcuna targa che ricordi quell’evento, io pure sono nemico delle targhe e, lenisticamente, amico dei fatti.
Per aderire comunque all’invito affettuoso alla concittadina vorrei ricordare che Enzo Siciliano fu sempre vicino ai nostri luoghi, e comprò a pochi soldi una casa tra Todi ed Orvieto, che provvide a ristrutturare poco alla volta, non essendo lui prolifico e profittico scrittore come il da me forse troppo odiato, e di lui sodale, Moravia Pincherle. Siciliano scrisse pochi romanzi, e non ne scrisse per i grandi pubblici e per i grassi palati. Credo che tutto sommato la sua più sicura fonte di reddito sia stata la sua settimanale collaborazione al venerdì di repubblica, in una raffinatissima e non snobistica rubrica di recensioni musicali, l’ultima delle quali, apparsa sul venerdì del giorno 8 di questo mese, che non riesce ad essere ancora estivo.
La casa di Enzo Siciliano avrebbe potuto diventare la lussuosa villa di una Tamaro se Siciliano avesse approfittato della sua breve presidenza della rai per fare qualche favore a destra o a manca: ma lui non voleva fare favori e non voleva riceverne, e fu dunque travolto dai marosi del moggismo e del buonvespismo. Ad Orvieto rimase comunque legato, mettendo su un Laboratorio di scrittura creativa che è ovviamente soverchiato dal circolo dell’Utri, dal fastfutismo, dalla cultura agrituristica di Mogol. Con una punta di ovvio personalismo faustocentrico vorrei ricordare che Siciliano, come del resto Dacia Maraini e Laura Betti, furono gli ardui sostenitori della tesi secondo la quale Pasolini fu vittima di un complotto neofascista. Il che non evitò lasciasse pubblicare su Pagine Corsare un mio breve scritto in dissenso dalla tesi complottarda.
Il mio dissenso nasceva dall’aver io personalmente conosciuto il Pelosi che uccise Pasolini e di averlo conosciuto quando a pochi anni dal “complotto” era diventato gonfio di eroina e di vino, si faceva mantenere da una mamma Tivoli moto diversa dalla mamma Roma. Credo che solo Indro Montanelli mi abbia dato ragione quando, sulla base di quella occasionale conoscenza professionale, mi sentii di affermare che Pasolini aveva programmato la propria morte, e che il Pelosi era stato soltanto la corda a cui appendesi nella tragica messinscena del lido di Ostia.
Due ultime osservazioni: nell’ultimo numero di Nuovi Argomenti è comparsa l’ultima poesia di Enzo Siciliano, che un suo recensore ha citato come scritta da Orvieto, e forse voleva dire da Todi; una poesia molto triste. Ieri sera, al Museo Greco, uno stupendo concerto dedicato a Strawinski. Su mia premura il sempre scanzonato e sempre filza bianca Stefano Cimicchi, ha chiesto al peraltro raffinatissimo organizzatore di Orvietomusica, di dedicare il concerto alla morte di Enzo Siciliano, giustamente ma frettolosamente definito amico di Orvieto, e di Mozart.
Ora i riflettori sono accesi sulle zampate miliardarie e vendute. Io che non amo molto il calcio - e ragiono tutto sommato come mia madre, che vorrebbe una riforma
del football fondata su un pallone per ogni squadra, da giocare nella propria metà campo, tassativamente vietata alla squadra avversaria, cesso per qualche tempo queste mie incursioni on line. Anche perché mi sembrava che Enzo Siciliano, quando dalla platea del nostro Teatro Mancinelli formava il gruppo 75, fosse molto più anziano di me; mentre leggo che aveva solo sei anni più di me: e sarà segno che mi sento sul collo il fiato della morte, questo eccesso di protagonismo che da più parti mi viene affettuosamente rimproverato.
Ecco comunque l’ultima poesia di Enzo Siciliano, scritta secondo il suo recensore da Orvieto, e forse voleva dire da Acqualoreto di Todi.
“Quando nella bianca stanza/ dell’ospedale della Charité/ mi svegliai verso il mattino/ e udii i merli cantare / mi resi conto/ che non avevo più paura della morte. Posto/che io mi manchi; ora/ riesco a rallegrami di tutti/ i canti di merli anche dopo di me.

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