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Istituto professionale di Orvieto: quali criteri per la formazione delle classi? Lettera aperta al Dirigente del CSA di Terni

venerdì 19 maggio 2006
di Fausto Tenerelli
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera aperta dell'ingegner Fausto Tenerelli, insegnante all'Istituto Professionale di Orvieto, al Dirigente del CSA di Terni. Il problema in discussione, i criteri per la formazione delle classi:
La mia attività lavorativa gravita ormai da trent’anni intorno all’IPSIA di Orvieto; la sigla sta per Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato. Dopo un periodo non proprio breve di regressione-stallo, l’IPSIA registra ora un interessante incremento degli iscritti: salvo conferma, 10 allievi hanno chiesto di accedere al Corso Meccanici e 27 al Corso di Elettronica; in totale 37 unità, con un margine minimo di oscillazione che interessa un paio di opzioni. Il confortante risultato si deve all’intenso lavoro di un gruppo di appassionati colleghi. Finalmente, per loro merito, si prospetta un quadro di partenza incoraggiante: si potranno formare due nuove classi prime alle quali, naturalmente, si dovrà assicurare un’attenta programmazione scolastica e un’altrettanto efficace progettazione didattica. Tanto per cominciare, tutti sanno che le lezioni teoriche dell’IPSIA sono affiancate da una robusta pratica laboratoriale ed è facile intuire che il percorso di istruzione/formazione risulterà di gran lunga migliore se i gruppi-classe saranno contenuti entro le venti unità. Il settore privato, come pure i corsi di emanazione e patrocinio europeo, preferiscono addirittura attestarsi su un tetto massimo di 15 unità. Senza contare che in questi altri settori della formazione professionale, gli interlocutori sono quasi sempre persone adulte già dotate di istruzione di base. Nella scuola secondaria, invece, si lavora con adolescenti in crescita e s’incontra una ricca casistica di delicate situazioni personali. Con queste premesse sembrerebbe logico e scontato organizzare i 37 nuovi allievi dell’IPSIA di Orvieto in due gruppi, cioè in due classi prime, ciascuna di circa 18 unità. Chiaramente una delle due classi sarebbe “mista”: 10 studenti di meccanica si unirebbero ad altri 7-8 di elettronica, fino a un totale di 18. Secondo questo modello organizzativo, gli allievi seguono tutti insieme il corpo delle discipline comuni, mentre si separano nelle ore destinate alle materie specialistiche e alle attività di laboratorio. Fare pratica e approfondimento con due piccoli gruppi di 8-10 persone è una condizione ideale per studenti e docenti, direi perfetta. Di fatto, la classe “mista” è una soluzione pedagogicamente valida, tecnicamente auspicabile, amministrativamente percorribilissima e ampiamente collaudata sul piano didattico. Adottarla, va anche detto, non comporta il benché minimo aggravio economico per lo Stato: tutti i docenti dell’IPSIA sono di ruolo e sarebbe sufficiente una redistribuzione dell’orario di servizio per chi opera nell’area tecnica. Perché allora si segue una strada meno logica e palesemente disfunzionale? Perché il C.S.A o Centro Servizi Amministrativi di Terni - per capirci, l’ex-Provveditorato agli Studi!- ci assegna due classi fortemente squilibrate in termini numerici, una di soli 10 allievi e l’altra di ben 26? Si rende conto, il Dirigente, di quanto sia poco credibile un’offerta formativa rivolta a un gruppo di ragazzi così alto? Gliene chiedo ragione pubblicamente, perché io proprio non riesco a capire, non comprendo e non voglio condividere la burocrazia che si fa sorda all’educazione. Sono ingegnere e la mia diversificata attività lavorativa mi consente di riconoscere nella scuola un sistema aperto, in cui le istanze di ordine culturale, sociale ed economico si intersecano e trasformano reciprocamente. Per farla breve, sono convinto che dalla scuola dipenda molto del destino e del prestigio del nostro Paese. Da questa prospettiva di osservazione mi è veramente difficile assistere in silenzio a scelte burocratiche che considero inutilmente mortificanti, assolutamente discutibili sul piano tecnico e fuori da ogni buon senso “politico”. Ho frequenti contatti con studi artigianali e piccole aziende del territorio, al cui interno ritrovo regolarmente allievi IPSIA più e meno giovani, ormai felicemente inseriti, molto apprezzati per la professionalità che hanno potuto acquisire. Non posso rimanere indifferente alla caduta di tono che investe il sistema educativo/formativo italiano e provo vera indignazione quando la qualità e lo sviluppo dell’istituzione in cui concretamente opero - e in cui profondamente credo - vengono messe a rischio da intollerabili rigidità amministrative. La domanda è: perché insistere con i conti a vanvera, quando la soluzione più ragionevole e idonea per tutti è qui, sotto gli occhi di ciascuno e a portata di mano? Inutile dire che mi aspetterei una risposta altrettanto pubblica e chiara. Prof. Ing. Fausto Tenerelli

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