opinioni
Conferenza programmatica DS. Il futuro è arrivato: cooperare per valorizzare le risorse
sabato 10 dicembre 2005
di Rodolfo Ricci
La Conferenza Programmatica dei Democratici di Sinistra dell’Orvietano svoltasi sabato 10 Dicembre presso la Caserma Piave, segna una svolta importante nella politica locale.
Per essere più precisi, essa costituisce l’inizio di una riflessione aperta e a tutto campo sulle sorti della nostra città e del nostro territorio, di cui va dato pienamente atto al partito di maggioranza relativa.
Dopo molto tempo abbiamo assistito ad una occasione di discussione pubblica in cui in modo schietto, trasparente e fuori di ogni dubbio, si è definita per quella che è la situazione economico-sociale dell’Orvietano: una situazione non congiunturalmente, ma strutturalmente critica rispetto al suo debole tessuto produttivo, alla posizione che esso ricopre nei contesti regionale, nazionale ed internazionale alle prese con i processi di globalizzazione.
Questa chiarezza diagnostica non deve spaventare; anzi, essa è l’unica valida premessa per tentare il superamento della crisi, cioè per individuare prospettive di cambiamento strutturale e coerente.
Ciò che casomai si deve rilevare come dato negativo, è l’essere giunti a tale consapevolezza con un ritardo di un decennio, visto che, per esempio, sul piano dei dati disponibili e confermati da tutte le precedenti edizioni del Bollettino Statistico Orvietano, la tendenza era nota almeno dal 1995 e, nei primi anni del 2000, era particolarmente evidente la perdita di competitività dell’orvietano rispetto ad altri sistemi territoriali umbri di analoghe dimensioni.
Da questa consapevolezza politica non si torna indietro.
Il ritardo di sviluppo dell’Orvietano tuttavia, per ulteriore chiarezza, non è addebitabile esclusivamente ad un ritardo della politica; si tratta piuttosto, come in ogni contesto di questo tipo, di un combinato che ricomprende la dimensione politico-istituzionale, quella economico-imprenditoriale e del credito, quella culturale in senso lato.
Per fare un esempio che riguarda altri attori, è fin troppo facile investire nel mattone e fornire credito (dietro presentazione di ipoteca); più difficile investire su tecnologie o su idee avanzate e fornire credito a iniziative imprenditoriali la cui valutazione implica capacità di analisi che evidentemente, nelle banche orvietane e tra gli imprenditori, sono insufficienti.
Alla politica è però da addebitare il fatto che - probabilmente sulla base di una scarsa fiducia sulle risorse umane, economiche e territoriali a disposizione - si siano percorsi itinerari tesi ad individuare misure tampone che per loro natura (e per la loro totale incoerenza con le scelte strategiche decantate – vedi Benano -) tendevano ad allontanare verso un futuro remoto l’ammissione delle difficoltà.
Ecco, questo futuro è arrivato; prima di quanto in molti pensassero; e la conferenza dei DS costituisce un momento decisivo di presa d’atto della situazione che pone su un piano, se si vuole ancor più complesso, la discussione estiva imposta dai comitati ambientali, che – tuttavia - ne costituisce una premessa decisiva, assieme ad altre.
La stessa società civile (associazioni, forum, ecc.) dovrà riposizionare la propria riflessione ed azione a partire dalla ormai condivisa lettura della situazione (che quindi non è più oggetto del contendere), cercando di individuare ed orientare una nuova classe dirigente che si comincia ad abbozzare e di cui – stando al termine usato da Marino Capoccia, “classe dirigente diffusa” - è chiamata a diventare parte co-integrante e insieme “monitorante”.
Verso quale direzione ?
Le cose non sono semplici: la legge straordinaria è finita; la crisi della finanza pubblica aggravata da 5 anni di sciatto berlusconismo e dalle politiche neo-liberali è sotto gli occhi di tutti; un prossimo auspicato governo Prodi non potrà fare miracoli; la stessa Regione è stretta (e presumibilmente lo rimarrà nei prossimi anni) nella morsa di una devolution che solo il referendum risolverà.
Nel frattempo, le dinamiche globali e l’accentuata concorrenza asiatica – e non solo - sul manifatturiero faranno il loro corso e modificheranno sensibilmente molte variabili a cui siamo ancora affezionati.
Lavoro precario, flessibilità, marginalità, nuovo pendolarismo, a breve termine, sono da metter in conto come uno scenario che si perpetuerà e che sarà gravido di conflitti.
A fronte del permanere di questi costi sociali c’è da porre in campo con grande rapidità una strategia che possa minimizzarne gli effetti e che allo stesso tempo ponga le basi per un nuovo sviluppo. Siamo tutti figli del contesto storico ed economico; di fronte a noi c’è un contesto “macro” sul quale abbiamo poche opportunità di incidere, oltre al voto del prossimo aprile e alla lotta contro questo modello di globalizzazione; e c’è un contesto “micro” (sub-regionale, regionale ed interregionale) su cui la nostra possibilità di incidere è maggiore.
Rispetto al primo dobbiamo agire su tutte le opportunità che esso, comunque, ci offre (per esempio turismo ed agricoltura di qualità verso i nuovi mercati che si aprono). Rispetto al secondo dobbiamo competere/cooperare con altri sistemi territoriali che faranno il loro gioco e saranno di volta in volta nostri competitori/cooperatori.
Cosa possiamo mettere in campo ?
Disponiamo di risorse storico-culturali ed ambientali; e disponiamo di risorse umane; le prime sono date e ci corre l’obbligo di conservarle e perpetuarle come un bene unico e decisivo; le seconde siamo noi stessi, noi che abitiamo questo territorio. Su queste seconde risorse è possibile innescare – o meno - l’ulteriore valore aggiunto di cui abbiamo bisogno per attraversare e superare la crisi.
Il documento dei DS fotografa la realtà e indica alcune possibilità di interventi settoriali che mi sembrano condivisibili.
Ma una questione è prioritaria e decisiva (per la loro attuazione): sulla risorsa umana si agisce solo in un modo; quella di valorizzarla appieno affinché sia fruibile. Come?
Con investimenti politici nel campo della partecipazione, e infrastrutturali in quello della formazione, del recupero e della crescita dei saperi, che ne consentano il pieno dispiegamento delle potenzialità.
E’ per questo che - ancor più a partire dall’emergenza che si è ufficialmente aperta -, l’elemento di una partecipazione attiva dei giovani, delle donne, degli anziani, degli immigrati, delle forze sociali e delle espressioni della società civile alla vita politica, sociale ed economica della nostra città e del suo territorio costituisce un elemento imprescindibile per gestire la crisi e per costruire un modello di sviluppo nuovo e duraturo.
Non credo che abbiamo altre chances.
La politica deve gestire questo processo; deve cioè ri-costruire e garantire i luoghi della partecipazione critica, costruttiva e propositiva.
Come detto, si tratta di un investimento politico che deve tradursi in investimento infrastrutturale e di sistema.
In un bell’articolo destinato ai cultori di internet, ma che aveva in realtà una forte valenza politica, Valentino Filippetti parlava, alcuni giorni fa, di politica come “tutela ecologica del contesto”, del crescere di una “intelligenza collettiva e cooperante in grado di produrre qualità e prodotti superiori, anche oltre la ferrea logica del profitto”.
I nuovi produttori (in rete) non credono più, o credono sempre meno, nella necessità dell’intermediazione. Perché spesso l’intermediazione si configura come mediazione di interessi e poteri e, parallelamente, come limitazione delle intelligenze che sono fuori da questi circuiti.
La funzione prospettica della politica è invece, sempre più, quella di valorizzazione e potenziamento della intelligenza collettiva; la “tutela ecologica del contesto” corrisponde alla funzione di tutela dei diritti, cioè al welfare nel senso più ampio del termine.
La competizione tra i sistemi-paese o i sistemi locali dentro lo scenario della globalizzazione è la competizione tra sistemi di partecipazione.
Più il sistema è partecipativo e cooperativo, più valorizza le sue risorse, più aumenta il suo grado di competenza e di sapere, più è competitivo. Meglio gestisce la crisi.
Per essere più precisi, essa costituisce l’inizio di una riflessione aperta e a tutto campo sulle sorti della nostra città e del nostro territorio, di cui va dato pienamente atto al partito di maggioranza relativa.
Dopo molto tempo abbiamo assistito ad una occasione di discussione pubblica in cui in modo schietto, trasparente e fuori di ogni dubbio, si è definita per quella che è la situazione economico-sociale dell’Orvietano: una situazione non congiunturalmente, ma strutturalmente critica rispetto al suo debole tessuto produttivo, alla posizione che esso ricopre nei contesti regionale, nazionale ed internazionale alle prese con i processi di globalizzazione.
Questa chiarezza diagnostica non deve spaventare; anzi, essa è l’unica valida premessa per tentare il superamento della crisi, cioè per individuare prospettive di cambiamento strutturale e coerente.
Ciò che casomai si deve rilevare come dato negativo, è l’essere giunti a tale consapevolezza con un ritardo di un decennio, visto che, per esempio, sul piano dei dati disponibili e confermati da tutte le precedenti edizioni del Bollettino Statistico Orvietano, la tendenza era nota almeno dal 1995 e, nei primi anni del 2000, era particolarmente evidente la perdita di competitività dell’orvietano rispetto ad altri sistemi territoriali umbri di analoghe dimensioni.
Da questa consapevolezza politica non si torna indietro.
Il ritardo di sviluppo dell’Orvietano tuttavia, per ulteriore chiarezza, non è addebitabile esclusivamente ad un ritardo della politica; si tratta piuttosto, come in ogni contesto di questo tipo, di un combinato che ricomprende la dimensione politico-istituzionale, quella economico-imprenditoriale e del credito, quella culturale in senso lato.
Per fare un esempio che riguarda altri attori, è fin troppo facile investire nel mattone e fornire credito (dietro presentazione di ipoteca); più difficile investire su tecnologie o su idee avanzate e fornire credito a iniziative imprenditoriali la cui valutazione implica capacità di analisi che evidentemente, nelle banche orvietane e tra gli imprenditori, sono insufficienti.
Alla politica è però da addebitare il fatto che - probabilmente sulla base di una scarsa fiducia sulle risorse umane, economiche e territoriali a disposizione - si siano percorsi itinerari tesi ad individuare misure tampone che per loro natura (e per la loro totale incoerenza con le scelte strategiche decantate – vedi Benano -) tendevano ad allontanare verso un futuro remoto l’ammissione delle difficoltà.
Ecco, questo futuro è arrivato; prima di quanto in molti pensassero; e la conferenza dei DS costituisce un momento decisivo di presa d’atto della situazione che pone su un piano, se si vuole ancor più complesso, la discussione estiva imposta dai comitati ambientali, che – tuttavia - ne costituisce una premessa decisiva, assieme ad altre.
La stessa società civile (associazioni, forum, ecc.) dovrà riposizionare la propria riflessione ed azione a partire dalla ormai condivisa lettura della situazione (che quindi non è più oggetto del contendere), cercando di individuare ed orientare una nuova classe dirigente che si comincia ad abbozzare e di cui – stando al termine usato da Marino Capoccia, “classe dirigente diffusa” - è chiamata a diventare parte co-integrante e insieme “monitorante”.
Verso quale direzione ?
Le cose non sono semplici: la legge straordinaria è finita; la crisi della finanza pubblica aggravata da 5 anni di sciatto berlusconismo e dalle politiche neo-liberali è sotto gli occhi di tutti; un prossimo auspicato governo Prodi non potrà fare miracoli; la stessa Regione è stretta (e presumibilmente lo rimarrà nei prossimi anni) nella morsa di una devolution che solo il referendum risolverà.
Nel frattempo, le dinamiche globali e l’accentuata concorrenza asiatica – e non solo - sul manifatturiero faranno il loro corso e modificheranno sensibilmente molte variabili a cui siamo ancora affezionati.
Lavoro precario, flessibilità, marginalità, nuovo pendolarismo, a breve termine, sono da metter in conto come uno scenario che si perpetuerà e che sarà gravido di conflitti.
A fronte del permanere di questi costi sociali c’è da porre in campo con grande rapidità una strategia che possa minimizzarne gli effetti e che allo stesso tempo ponga le basi per un nuovo sviluppo. Siamo tutti figli del contesto storico ed economico; di fronte a noi c’è un contesto “macro” sul quale abbiamo poche opportunità di incidere, oltre al voto del prossimo aprile e alla lotta contro questo modello di globalizzazione; e c’è un contesto “micro” (sub-regionale, regionale ed interregionale) su cui la nostra possibilità di incidere è maggiore.
Rispetto al primo dobbiamo agire su tutte le opportunità che esso, comunque, ci offre (per esempio turismo ed agricoltura di qualità verso i nuovi mercati che si aprono). Rispetto al secondo dobbiamo competere/cooperare con altri sistemi territoriali che faranno il loro gioco e saranno di volta in volta nostri competitori/cooperatori.
Cosa possiamo mettere in campo ?
Disponiamo di risorse storico-culturali ed ambientali; e disponiamo di risorse umane; le prime sono date e ci corre l’obbligo di conservarle e perpetuarle come un bene unico e decisivo; le seconde siamo noi stessi, noi che abitiamo questo territorio. Su queste seconde risorse è possibile innescare – o meno - l’ulteriore valore aggiunto di cui abbiamo bisogno per attraversare e superare la crisi.
Il documento dei DS fotografa la realtà e indica alcune possibilità di interventi settoriali che mi sembrano condivisibili.
Ma una questione è prioritaria e decisiva (per la loro attuazione): sulla risorsa umana si agisce solo in un modo; quella di valorizzarla appieno affinché sia fruibile. Come?
Con investimenti politici nel campo della partecipazione, e infrastrutturali in quello della formazione, del recupero e della crescita dei saperi, che ne consentano il pieno dispiegamento delle potenzialità.
E’ per questo che - ancor più a partire dall’emergenza che si è ufficialmente aperta -, l’elemento di una partecipazione attiva dei giovani, delle donne, degli anziani, degli immigrati, delle forze sociali e delle espressioni della società civile alla vita politica, sociale ed economica della nostra città e del suo territorio costituisce un elemento imprescindibile per gestire la crisi e per costruire un modello di sviluppo nuovo e duraturo.
Non credo che abbiamo altre chances.
La politica deve gestire questo processo; deve cioè ri-costruire e garantire i luoghi della partecipazione critica, costruttiva e propositiva.
Come detto, si tratta di un investimento politico che deve tradursi in investimento infrastrutturale e di sistema.
In un bell’articolo destinato ai cultori di internet, ma che aveva in realtà una forte valenza politica, Valentino Filippetti parlava, alcuni giorni fa, di politica come “tutela ecologica del contesto”, del crescere di una “intelligenza collettiva e cooperante in grado di produrre qualità e prodotti superiori, anche oltre la ferrea logica del profitto”.
I nuovi produttori (in rete) non credono più, o credono sempre meno, nella necessità dell’intermediazione. Perché spesso l’intermediazione si configura come mediazione di interessi e poteri e, parallelamente, come limitazione delle intelligenze che sono fuori da questi circuiti.
La funzione prospettica della politica è invece, sempre più, quella di valorizzazione e potenziamento della intelligenza collettiva; la “tutela ecologica del contesto” corrisponde alla funzione di tutela dei diritti, cioè al welfare nel senso più ampio del termine.
La competizione tra i sistemi-paese o i sistemi locali dentro lo scenario della globalizzazione è la competizione tra sistemi di partecipazione.
Più il sistema è partecipativo e cooperativo, più valorizza le sue risorse, più aumenta il suo grado di competenza e di sapere, più è competitivo. Meglio gestisce la crisi.

Nota della Redazione: Orvietonews, giornale online registrato presso il Tribunale di Orvieto (TR) nr. 94 del 14/12/2000, non è una bacheca pubblica. Pur mantenendo fede alla disponibilità e allo spirito di servizio che ci ha sempre contraddistinto risultando di gran lunga l’organo di informazione più seguito e letto del nostro territorio, la pubblicazione di comunicati politici, note stampa e altri contributi inviati alla redazione avviene a discrezione della direzione, che si riserva il diritto di selezionare e modificare i contenuti in base a criteri giornalistici e di rilevanza per i lettori.