opinioni

Riflessioni: il mio contributo al business plan per la ex Caserma Piave

venerdì 1 luglio 2005
di Gianni Cardinali
“Ci aspetta un futuro da nani, diventeremo cittadini di serie B, abitanti di colonie periferiche in un mondo dominato dagli imperi economici di Cina e Stati Uniti, chiusi nelle fortezze delle città museo, dentro Stati museo, ininfluenti culturalmente, avanzi di storia senza un progetto per il domani.” E’ questo il destino che immagina per l’Europa il filosofo francese Bernard Henri Lévy.
A rifletterci bene e nel piccolo, molto piccolo, di Orvieto, non è ravvisabile lo stesso destino per questa città, alla luce di considerazioni che si possono fare a proposito della presentazione di questo progetto per le caserme e per la storia, non più recente, legata ai finanziamenti della legge per Orvieto?
Tutti questi anni di elargizioni statali, sono ormai più di trenta, non sono stati di indebolimento piuttosto che di rafforzamento della città?
Nel nostro piccolo caso non siamo più neanche chiusi nella città museo, visto che ormai, la gran parte degli abitanti, vivono nelle varie periferie cresciute a dismisura e senza rispetto per il paesaggio e per la continuità con un centro storico di grande pregio.
Un centro storico che, se pur piccolo, ha le sembianze di una vera città compatta e distesa, a differenza dei tanti altri, di pari dimensioni complessive, ma disposti su più piani, come un insieme di borghi.
Proprio questa struttura distesa, a dispetto della rupe collinare, ha consentito la costruzione di grandi volumi come la Piave, il carcere e la SMEF. Volumi che, se si esclude la SMEF per brevi periodi, non hanno mai fatto parte della città, se non per un apporto economico dovuto alla componente militare di fatto estranea al tessuto urbano.
Chi ha vissuto quegli anni con attenzione critica, ha percepito con chiarezza come quel tipo di economia, sostanzialmente parassitaria, era il fondamento per far fallire qualsiasi velleità che avesse carattere di imprenditoria, con tutti i rischi ma anche con i grandi benefici provenienti dall’abitudine, soprattutto mentale, all’iniziativa.
In questo quadro, per quanto banalizzato e semplificato, si inseriscono le velleità di coloro che si sono illusi e si illudono di appartenere ad una dimensione urbana e storica di tale importanza ed attenzione, da far perdere di vista quelle tante piccole cose, che se governate e risolte, almeno del centro storico, ne farebbero veramente una realtà di pregio.
Così non è e se ne rendono conto tutti, tranne i superficiali, quelli che hanno avuto ed hanno responsabilità e la gran massa dei turisti pacchi postali che, dopo avere dato una sbirciata al duomo, si accontentano di un pranzetto di scarsa qualità.
Nel quadro si inserisce bene anche l’ultima elaborazione chiamata “business plan della caserma Piave”.
Una elaborazione che mescola estimi fantasiosi (valori immobiliari corrispondenti a 38.000.000 di euro circa sarebbero tali se ci fossero compratori!!) a destinazioni multiformi, pur incentrate a connotati turistici e culturali ed una visuale che, da una parte vuole mantenere la struttura così come è, dall’altra non fa capire da dove dovrebbe scaturire la cifra di oltre 50.000.000 di euro per realizzare i vari progetti.
E’ chiaro che se ci fosse ancora una disponibilità a spendere piuttosto che ad investire, per esempio da un allargamento delle maglie di un ipotetico proseguimento della legge per Orvieto, per un po’ avremmo lavoro di edilizia, poi la morte civile.
E’ solo polemica insistere sul fatto che, a parte la rupe, i tanti soldi della legge per Orvieto sono stati spesi male e, comunque, non hanno costituito investimento?
E’ pretestuoso affermare che di quei soldi, l’unica struttura che funziona è il teatro Mancinelli?
Riflettiamo sul Palazzo del Capitano del Popolo e sul Palazzo dei Sette, solo per fare due esempi, anche se il Palazzo dei Congressi è stato realizzato con risorse diverse da quelle della legge per Orvieto.
Dovrebbe essere chiaro per chiunque che, se la caserma Piave, così come è e per come è stata concepita, se invece di essere parte contigua ad un centro storico di pregio, fosse disposta altrove, andrebbe in rovina come tanti manufatti che non servono più.
Dovrebbe essere altrettanto chiaro che, proprio per il fatto di essere parte di un centro storico, potrebbe attirare investimenti produttivi, a patto che tutta la classe dirigente orvietana, quella politica e quella funzionale, faccia la onesta parte di chi promuove e controlla per il bene di tutti, piuttosto che quella a cui siamo abituati, di chi vuole compartecipare con il clientelismo o altro, quando va peggio.
Lo spazio della caserma deve essere oggetto di “donazione” per chi volesse cimentarsi in una occasione di grande pregio e richiamo, con il supporto non secondario di importanti infrastrutture e la vicinanza alla capitale.
Questa sola può essere la grande occasione per un futuro che possa far ritornare vitale un importante centro storico come quello di Orvieto: senza nostalgie, perché bene che vada non sarà mai quello che noi abbiamo vissuto, goduto ed anche non ben trattato.
Per il momento occorre rilevare che il marciapiedi nuovo in via Roma e la nuova strada in contiguità con il carcere, sono assurde e costose barriere ad impedire eventuali interventi di ridisegno ed inserimento di tutto il comparto, compresi la stessa via Roma e tutta la superficie dell’attuale parcheggio.