opinioni

Memoria vera... per tutti

sabato 27 gennaio 2007
di Roberto Abatematteo - Azione Giovani Orvieto
27 gennaio, una data che ci porta ogni anno, inevitabilmente, a fare i conti con una coscienza collettiva che nessuno può dire di avere veramente pulita, perché nessuno, in fin dei conti, può sentirsi lontano da una tragedia che tocca il passato, neanche troppo lontano, di ognuno di noi. Sono trascorsi ormai sessantadue anni da quel fatidico 27 gennaio 1945 in cui l’Armata Rossa aprì le porte del campo di sterminio nazista più famoso del mondo, Auschwitz. Sessantadue anni in cui la piena consapevolezza del peggior crimine perpetrato nella storia dell’uomo ha svelato tutti i propri retroscena, tutte le proprie verità, sviscerando sotto ogni aspetto un dramma che torce il cuore non di un solo popolo, ma del mondo intero. E, come è doveroso che sia, anche quest’anno siamo qui per ricordare a tutti che l’umanità non può sopportare un’altra tragedia di tali proporzioni, e che non può, e non deve, dimenticare che ovunque nel mondo si annida nell’anima dell’uomo il seme della follia più inverosimile, un tocco maligno e bestiale che porta a disprezzare la vita in tutte le sue forme, e che spinge il più improbabile dei padri di famiglia a sterminare i suoi simili, tanta è la voglia di creare qualcosa di più puro e inarrivabile. Il nazismo rappresenta, in ultima analisi, il folle tentativo di generare la razza perfetta, quel superuomo che da solo sarebbe riuscito a dominare il proprio destino e a piegare, con le proprie sole forze, le poderose forze della natura. Ma alla fine di questo utopico incubo maniacale, che cosa abbiamo trovato? Cosa pesa come un macigno sulla coscienza di tutti noi? Una scia di morti lunga nove anni, con sei milioni di anime cadute a ricordarci che alla follia non c’è mai fine. Ed è quindi un obbligo morale, etico, sociale e culturale che tutti insieme, per un giorno all’anno, ci si ritrovi a celebrare una data che rappresenta un simbolo indelebile di come l’uomo abbia tentato, in parte riuscendovi, a sterminare i propri simili. Solo però non dobbiamo cadere nell’errore grossolano, ma troppo spesso comune, di rendere questo giorno una ricorrenza dovuta, un giorno di cordoglio civile senza significato profondo, o uno stereotipo dell’ideologia liberale e antifascista, con la quale tacciare, oggi, di infamia le ideologie di destra, solo perché eredi di un passato scomodo. Si, è vero, anche l’Italia si è coperta di infamia con l’introduzione delle leggi razziali germaniche nel 1938, ed è vero che anche nel nostro paese sono state prese le misure necessarie alla deportazione degli ebrei nostri connazionali, ma non dobbiamo dimenticare che il numero di ebrei morti per mano italiana fu minimo, che le disposizioni legislative spesso venivano eluse, che si chiudeva un occhio, anche due, per aiutare un compatriota, e che tanti italiani si impegnarono attivamente per salvare, a rischio della propria stessa vita, centinaia di ebrei. Le leggi razziali furono per lo più un atto politico necessario per ingraziarsi un alleato troppo potente per noi. Lo stesso Mussolini aveva pubblicamente e ripetutamente accusato i tedeschi di essere dei barbari, riferendosi a certi comportamenti xenofobi e razzisti, e tanti fascisti erano ebrei, senza bisogno di nascondere niente a nessuno. Solo quando la situazione internazionale, specialmente dal punto di vista militare, stava precipitando verso un baratro senza ritorno, anche il regime fascista dovette piegarsi alle paradossali regole della diplomazia internazionale e accettare di buon grado le leggi razziali, per poter contare su un valido alleato commerciale, e soprattutto militare. L’Italia ha le proprie incancellabili colpe, e nessuno mette in dubbio questo, solo però bisogna riflettere quando si affronta un tema tanto delicato quanto l’olocausto, perché si devono considerare aspetti che talvolta l’opinione pubblica tende a dimenticare. Perché non si parla delle persecuzioni antisemite del regime stalinista in Russia, con migliaia di morti e altrettanti profughi verso il medio oriente? Perché non si parla del disinteresse mondiale verso le persecuzioni tedesche durante tutto il periodo prebellico? Perché, oggi, nessuno in Italia inorridisce per l’antisemitismo becero della sinistra radicale. Perché nessuno si scandalizza quando nelle strade italiane, in manifestazioni regolarmente autorizzate, i vecchi relitti dell’antifascismo militante bruciano bandiere di popoli sovrani e democratici, unitamente al fuoco che viene dato a fantocci raffiguranti militari italiani ed alleati? Perché nessuno ha alzato la voce contro le vessazioni, le umiliazioni e i maltrattamenti che il regime nazionalsocialista aveva già avviato prima della guerra? Perché Francia e Inghilterra sono intervenute contro Hitler solo dopo che la Germania aveva invaso la Polonia? Forse che non conoscessero le condizioni degli ebrei tedeschi, o che non sapessero in quale condizioni erano costretti a vivere? Eppure tanti erano stati quelli costretti alla fuga dal regime. Perché in sei anni di guerra ci fu un solo tentativo, uno solo, di fermare un convoglio carico di ebrei verso i campi di concentramento? Gli alleati sapevano che cosa trasportavano quei treni, eppure solo una volta si tentò di fermarli. Perché, vi chiedo, l’antisemitismo è diventato abominevole solo dopo che in tanti sono dovuti morire? Forse che prima l’odio razziale verso gli ebrei in Polonia, nella Russia zarista e ancor più in quella comunista, nell’est e nel nord Europa in generale, non fosse abbastanza forte da dover porre un freno a tanto secolare e indiscriminato odio? O magari le democrazie occidentali, una volta mostrata al mondo la triste verità, si sono sentite in debito nei confronti di coloro che non erano stati in grado di difendere da un regime chiaramente intollerante e antisemita, nonostante il Mein Kampf di Adolf Hitler presentasse un chiaro ed esplicito programma di epurazione della Germania dal “virus ebraico”? E adesso tutti puntano il dito e predicano, senza ricordare che molti tacquero quando c’era più bisogno di parlare, quando l’orrore aveva luogo, quando la gente moriva, e tanti sapevano. Tanti addirittura hanno rinnegato il proprio passato razzista, come Giorgio Bocca, editorialista di Repubblica, che a suo tempo scrisse articoli per “La difesa della razza”, il giornale del regime dedito alla propaganda razziale, e sottoscrisse addirittura il “Manifesto della razza”. Adesso anche lui è divenuto un antifascista radicale. Però la storia, si sa, facilmente dimentica gli errori dei vincitori e sbandiera quelli dei vinti, senza lasciare spazio a nuove prospettive, a nuove teorie o a nuove opinioni, perché il revisionismo (badiamo bene, non il negazionismo) è addirittura divenuto reato in certi paesi. E ci dimentichiamo, una volta di più, tanti altri morti innocenti, tanti altri incolpevoli che hanno trovato la morte per mano del fanatismo e dell’odio, gente che è morta per errore, per non aver rinnegato la fede, o semplicemente perché colpevole di una colpa che non esiste: essere diverso da ciò che un altro considera normale. E per questo anche i nostri morti meritano, in questo giorno, che non è semplicemente il giorno dell’olocausto, bensì il giorno della memoria, e quindi universale e comprensivo di tanti genocidi e massacri nel mondo, degno e giusto riconoscimento. Ricordiamo i martiri dell’Emilia e delle foibe, gli esuli di Istria e Dalmazia, i caduti innocenti del nord Italia per mano del fanatismo partigiano, gli internati italiani nei gulag sovietici, i civili morti sotto bombardamenti alleati, e tutti i militari del Regio esercito e della R.S.I. che hanno dato la vita per una causa che ritenevano giusta. Alcuni di questi morti hanno già trovato degno riconoscimento, altri ancora non sono “abbastanza noti” per poter essere celebrati. Ed allora lo facciamo noi, oggi, in questa giornata speciale, di memoria e cordoglio collettivo, nella quale tutti insieme ci stringiamo attrono alle famiglie delle vittime e alle anime di tanti caduti, nella speranza che tutti i morti, almeno per una volta, possano trovare la pace.