economia
Il meraviglioso Castello del vino
mercoledì 28 giugno 2006
Seconda lezione “sul campo” per i sommelier della FISAR di Orvieto in visita al “Castello di Corbara”, una delle più grandi aziende agricole del territorio con 1200 ettari di cui 160 vitati.
Diciamo subito che la giornata va scritta sugli annali. Tre le guide d’eccezione che hanno svelato il Castello di Corbara sin nelle pieghe più riposte: l’avvocato Fernando Patrizi, proprietario davvero illuminato e artista dell’ospitalità; Marco Bernabei, giovane e stupendo enologo, figlio d’arte del grande Franco e magistrale guida enologica; Francesca Bernicchi, agronoma, responsabile dell'organizzazione e del marketing, gentile curatrice dell'evento.
Partiamo dalla fine, con la degustazione. L’avvocato Patrizi aveva schierato la compagine di qualità dell’azienda e due sorprese: un Merlot Riserva e un Sangiovese Riserva.
I bianchi (Bianco IGT e Orvieto Classico Superiore) hanno confermato d’essere ottimi vini. Un gradino più in alto per il “Grechetto”, un nettare autoctono di grande piacevolezza. Un “Grechetto” degno sin d’oggi della massima attenzione e da cui è lecito aspettarsi una ulteriore evoluzione qualitativa.
Il “Lago di Corbara DOC” (Sangiovese, Merlot e Cabernet in barriques e, in piccola parte, in botti di Slavonia, per dodici mesi) si conferma, nell’edizione 2004, vino di grande razza e molto ben equilibrato. Superba l’armonia tra Sangiovese e la coppia bordolese.
La DOC Lago di Corbara “Cabernet Sauvignon” (in barriques per 12 mesi) tonifica l’idea che questo territorio è capace di interpretazioni sorprendenti anche relativamente ai vitigni internazionali. Un vino, questo, profondo e concentrato; si esprimi con tannini fitti e meravigliosamente domati; lungamente persistente, al gusto manifesta i tipici sentori varietali del gran Cabernet di razza e, assieme, un’esaltazione di sentori di frutti di bosco a prugna matura.
Il “DE CORONIS” 2003 (il nome proviene dall’antico nome dell’appezzamento: Villa De Coronis) è il “Merlot Riserva”, la sorpresa concessa ai discenti in anteprima. Si tratta di un “cru” di appena due ettari di vigneto e con una resa infinitesima di 40 quintali per ettaro per un totale di 70 hl di vino). Il vino si affina per 12 mesi in piccoli fusti di rovere francese e sosta ancora, per 6/8 mesi, in bottiglia. Si tratta, a giudizio dei sommelier, di un grande vino, un’epifania di morbidezze mentose, vanigliate e balsamiche con profumi di mora, ciliegia, vaniglia e pepe nero.
L’altra riserva presentata in anteprima, il “CALISTRI” 2003(dal nome storico del Podere situato appena sopra il Castello di Corbara), un Sangiovese in purezza, esemplifica la potentissima espressione territoriale di questo autoctono. Proviene da vigneti aziendali – appena tre ettari, anche in questo caso un “cru” - di oltre 30 anni di età, trasformati a guyot con una produzione inferiore ai 50 q.li per ettaro. Si eleva per 16 mesi in fusti di rovere da 225 litri; successivamente, sosta in bottiglia per altri 7/9 mesi.
Il “CALISTRI” è destinato a far parlare di sé. Rosso rubino intenso, rilascia toni di viola, tabacco, liquirizia dolce e sfumature mentolate. In bocca rivela una pienezza seducente, polputa, con tannini morbidi. Un vino degno di stare accanto ai grandi Sangiovese italiani.

La cronaca della piacevolezza
La giornata era cominciata con le parole introduttive dell’avvocato Patrizi che ha voluto brevemente circoscrivere la filosofia aziendale toccando temi successivamente sviluppati da Marco Bernabei. L’ascolto del terroir - inteso come elemento complesso in cui coesistono storia della terra, pedologia, microclima, tradizioni colturali e reciproca adattabilità di vigneti e ambiente – è parso tuttavia l’elemento fondante di uno stile aziendale che scommette sulla qualità totale senza scorciatoie. Marco Bernabei – che cura, assieme al padre, la conduzione enologica dell’azienda e che ha avuto l’onere e la pazienza della “lectio brevis” sul vino – è persona dotata del rarissimo dono della profonda semplicità (o semplice profondità) squisitamente “mozartiana”. Attraverso il suo racconto, le tecniche – spesso esoteriche e riservate ai soli iniziati – diventavano valori comprensibili poiché mai perdevano di vista la “materia prima”, l’uva, il frutto. Un sapere che mai violenta la materia ma che tenta, anzi, di sedurla con l’amorosa astuzia del coglitore di segreti. E il vino, di segreti, ne rivela a chi ha pazienza di ascoltarne, anno dopo anno, la natura. Marco Bernabei ha più volte evocato i “tempi lenti” (diremmo noi i “tempi slow”) e questo approccio mai nervoso è sorprendente se confrontato con la furia dei tempi moderni. Marco e Franco Bernabei sanno aspettare. Il giovane enologo ha parlato dei particolari profumi del già straordinario “Grechetto”.- Profumi a quanto pare “da mille e una notte” ma delicati, sfuggenti come fate e che Marco tenta di “imprigionare” in una rete di “cortesi trappole” fatte di temperature, lieviti selezionati, gradi di maturazione, intuizioni,… in una vertiginosa sfida con il vitigno bianco autoctono tra i più promettenti. In questo contesto fatto di rispetto per la materia prima e per i tempi naturali, Bernabei ha sfiorato motivi cari all’agricoltura biodinamica molto attenta alla reciprocità delle influenze tra cielo e terra e sensibile al "tempo debito" (che i greci chiamavano kairos). Così, accanto alla mente speculativa e scientifica, sembra ritrovarsi l'antica "metis", quell'intelligenza pratica e astuta che serve per far rilevare al mondo i suoi enigmi.

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