economia

Alla scoperta di Gust'Arte: valori, sapori e tradizioni del territorio. Intervista a Silvana Scianca

martedì 30 maggio 2006

Si inaugura oggi una nuova sezione di Orvietonews dedicata ai prodotti tipici e artigianali del territorio Orvietano e del Trasimeno. Artefici dell’iniziativa i soci di Gust’Arte, un’associazione di imprese nata a Orvieto da tempo impegnata in un’opera di valorizzazione delle imprese dell’enogastronomia e dell’artigianato.

L’idea che anima le azioni di Gust’Arte, a detta dei fondatori, è quella di “integrare” le proposte delle aziende con la storia, l’ambiente, le tradizioni, la cultura. Da questo punto di vista il prodotto tipico o artigianale diventa un mezzo per raccontare il territorio partendo dalle vicende della storia materiale, la storia delle tecniche umili e delle trovate sorprendenti, del lavoro dei campi e delle pratiche di cucina…

Oggi, Gust’Arte vuole raccontare anche  il passato e il presente dei soci, di chi è concretamente impegnato a mantenere viva la tradizione di bontà e bellezze.

Cominciamo quindi con il presentare l’Azienda Scianca di Montecchio, vera autorità in fatto di norcineria. E lo facciamo attraverso le parole di Silvana Scianca proprietaria e amministratore, assieme al fratello Augusto, dell’impresa.

 

Silvana Scianca è, assieme al fratello Augusto, proprietaria e amministratrice dell'Azienda Scianca, una delle imprese alimentari più importanti della zona. Una donna che non ha mai temuto di confrontarsi con un mondo, come quello delle manifatture norcine, integralmente dominato - almeno sino a qualche tempo fa - dai maschi.

Dal 1985 (data in cui Silvana e Augusto diventano i titolari dell'attività in precedenza gestita dal padre) Scianca è diventato un marchio via via sempre più affermato, sinonimo di qualità, professionalità e rispetto della tradizione.

Oggi l'azienda conta 21 lavoratori (compresi Silvana e Augusto) e si è trasferita, dal 1999, a Cordiglino, sempre in Comune di Montecchio. Cominciamo la nostra chiacchierata con Silvana Scianca partendo dalla tradizione e dal rapporto di quest'ultima con un presente che richiede standard di qualità sempre più alti.

“La tradizione nelle produzioni tipiche - ci dice Silvana – è punto di riferimento obbligatorio. Senza tradizione non si dà identità del prodotto; e senza identità il marchio delle piccole aziende non emerge con la dovuta forza”.

Cosa è per la vostra Azienda la tradizione?
È il “sapere” ereditato dai nonni relativamente alle ricette, ingredienti, tempi, aromi, temperature, tempi di stagionatura e alle materie prime complementari. Ad esempio, gli aromi, l'olio extravergine d'oliva e il vino sono di nostra produzione. Anche la scelta delle carni si fa forte di una “sapienza” e un colpo d'occhio “tradizionali”. La tradizione è, almeno per noi, storia del territorio e memoria, sapienza e capacità di rendere attuali le pratiche di un tempo.

Cosa è, invece, la modernità rispetto al vostro lavoro?
Le tecnologie al servizio della qualità e della salubrità del prodotto. Sto pensando, ad esempio, alla catena del freddo e alle procedure interne di analisi che monitorano costantemente i diversi pezzi garantendo il consumatore finale. Ma la modernità è anche la centralità dei gusti e dei desideri del cliente.

Quali sono i vostri mercati di riferimento?
Il centro Italia con una attenzione particolare alla clientela tradizionale dei piccoli e medi esercenti. Tuttavia, lavoriamo anche con la grande distribuzione e devo riconoscere che si tratta di un rapporto impegnativo e, al tempo, gratificante. Torniamo al territorio.

Cosa significa lavorare in una terra ambita da tanti e che pare destinata a competere con il “Chiantishire” sul mercato nazionale, europeo e mondiale del buon vivere?
A mio parere dobbiamo lavorare – privati e pubblico – in un'ottica di maggiore integrazione tra le diverse filiere, siano esse legate all'enogastronomia, all'ambiente, all'arte, alla storia, alla qualità delle vita. Maggior integrazione significa anche apprendere a muoversi in forme comuni, relazionali, sforzandosi di vedere l'altro non solo come concorrente ma come potenziale alleato. Insomma: siamo un popolo fortunato. Abbiamo infatti ereditato un patrimonio storico, ambientale, naturalistico e umano di assoluto valore, tanto da essere uno dei “desiderata” del mondo dei viaggi e del turismo. Dobbiamo ora essere intelligenti al fine di non disperdere questo patrimonio, creando reti sempre più fitte di collaborazioni, scambi, progetti...

Cosa state facendo, come azienda, relativamente ai temi dell'integrazione e della relazione con il territorio?
Stiamo con gli occhi apertissimi e siamo apertissimi ai progetti di integrazione tra aziende (come, ad esempio, quello proposto da Gust'Arte). Da parte nostra, stiamo attualmente impegnandoci, assieme ad altre aziende norcine, per definire la possibilità un disciplinare di produzione certificabile DOP o IGP.

E' più importante il marchio aziendale o il marchio rappresentato dal territorio?
Sono entrambi importanti, senza che ci sia una qualche priorità. Nel caso nostro non possiamo non comunicare il nostro luogo di origine, la nostra storia. Non possiamo prescindere dal fatto che viviamo in una particolare fetta dell'Umbria fatta in un certo modo. D'altro canto, il marchio aziendale crea la fiducia, la relazione tra azienda e cliente che è molto importante al fine del ripetersi dell'acquisto.

Come fate per comunicare la qualità dei vostri prodotti?
La nostra è una produzione ancora artigianale. I pezzi vengono ancora controllati singolarmente e, specie per quel che concerne alcuni specifici prodotti, tutte le fasi sono oggetto di un'osservazione direi ossessiva. La bontà di prodotto è connessa anche alla sua “storia felice”, ad un processo di cura e di attenzione quasi – mi si passi il termine – affettivo. Il norcino è l'artefice di questa “storia felice” e la bontà del risultato conferma l'eccellenza della sua arte. E, si sa, i norcini sono particolarmente vanitosi... Il giudizio finale spetta comunque al cliente, al consumatore. Al suo giudizio noi ci rimettiamo.

C'è un vostro cliente ideale?
È il cliente esigente e informato. Un gourmet capace di soffermarsi sull'oggetto, di riflettere su ciò che sta degustando o mangiando. Un consumatore che potremmo definire “slow” in grado di cogliere la qualità, le sfumature, i sapori...

Cosa è oggi un “norcino”?
Nel caso nostro è una persona depositaria di una conoscenza “secolare” che osserva un suino come fosse una dispensa ambulante e, al tempo stesso, come ad una sorta di “libro delle astuzie del gusto”. Il maiale è davvero un animale enciclopedico: tutto del maiale può diventare oggetto di consumo. Nelle sue carni c'è scritta la storia dei tempi opulenti e dei tempi di povertà, dei signori e dei poveri, della città e della campagna. Tutte queste iscrizioni sono state conservate attraverso l'arte dei norcini.

Cosa vuole dire essere donna-imprenditrice in questo settore?
Il mio ambiente – sia per tradizione, sia per questioni legate alla fatica del lavoro - ha una forte impronta maschile. Il mio contributo è stato quello di porre me stessa in gioco, il mio essere donna senza finzioni e senza assumere connotati estranei alla mia storia e alla mia identità.

Progetti per i futuro?
Lavorare in vista dell'individuazione di un disciplinare d'intesa con altre aziende del settore e rafforzare le integrazione tra le diverse filiere del territorio. Inoltre, stiamo perfezionando l'ingresso in nicchie di mercato con una serie di produzioni tipiche da poco oggetto di una interessante riscoperta.