economia

Giovani nella trappola della precarietà

domenica 23 ottobre 2005
di Davide Pompei
Stazionare incerti tra occupazione e inoccupazione, oscillare tra tempo di lavoro e di non lavoro, è una realtà assai frequente in Umbria, come nel resto in Italia, una situazione che può essere anche possibilità, almeno per quelli che possiedono un’alta professionalità, ma che è soprattutto insicurezza, rischio di discontinuità della prestazione, mancanza di un flusso regolare di reddito e di un livello accettabile di sicurezza sociale. Il precariato giovanile non è un universo omogeneo ma una moltitudine di differenze, di “percorsi singolarizzati”. C’è il lavoratore qualificato, assunto come consulente, e c’è la ragazza del catering, tra queste polarità si addensano una quantità di soggetti, con profili tradizionali e profili nuovi, differenti tempi di lavoro e retribuzioni. Ma una condizione comune li avvicina: il vivere senza un posto di lavoro permanente, barcamenandosi tra una professione e un’altra, provando indeterminatezza e oscillazione, disorientamento e perdita della continuità, variabilità e incertezza, che rappresenta poi l’essenza stessa della precarietà.

I giovani precari hanno un’età media sotto i 29 anni e hanno già avuto, per lo più, esperienze di lavoro a termine. Possiedono un’istruzione media, soprattutto di tipo tecnico o professionale, sono per metà donne, e sembrano usare il lavoro temporaneo in misura maggiore per tentare esperienze qualificanti, anche se non è irrilevante il numero di coloro che si rivolgono al lavoro interinale a seguito di difficoltà di inserimento stabile nel mercato del lavoro. Molti sono studenti che usano l’esperienza interinale perché ben si concilia con lo studio e per integrare le proprie risorse con redditi da lavoro, rischiando di trasformare le proprie esperienze di lavoro flessibile in una “trappola della precarietà”. L’essere una singolarità qualunque è la caratteristica trasversale del precario, che è di fronte al suo datore di lavoro come individuo singolo e, nonostante la sua specializzazione, offre un lavoro che è sempre intercambiabile, una zona tra inclusione ed esclusione. Questa instabilità permanente ha pesanti ripercussioni non solo sul destino professionale e sociale del lavoratore, ma produce una “indefinizione dell’immagine del proprio futuro”, condiziona il senso della comunità, della solidarietà e la possibilità di un agire collettivo. La precarietà non è un termine sociologico, ma un problema sociale e politico laborioso da affrontare, anche perché negli ultimi vent’anni l’universo imprenditoriale ha indirizzato in questa direzione la legislazione.

I passaggi legislativi che in Italia hanno smantellato nel corso degli anni la certezza di un lavoro e di un reddito costante si intravedono già nel 1982, quando furono presentati i primi progetti sulla flessibilità occupazionale; poi un referendum abolì la scala mobile, quindi nel 1988 vennero introdotti i contratti di solidarietà e di formazione e, per finire, l’involuzione fu completata nel 1996 dal pacchetto del ministro del lavoro di allora, Tiziano Treu, comprendente anche una legge quadro sul lavoro interinale. Dieci anni dopo il lavoro precario è una pratica consolidata: il tempo del lavoratore è gestito dalle agenzie interinali e queste ne dispongono indirizzando il lavoratore per un tempo determinato dal contratto nel momentaneo posto di lavoro, senza alcuna garanzia di conferma. Oltre tutto non ci si può rifiutare: se il posto di lavoro, ad esempio, è distante e il denaro guadagnato serve in buona parte a coprire le spese di vitto e viaggio si deve comunque accettare, pena una perdita di posizione nei punteggi dell’agenzia di collocamento che al secondo rifiuto consecutivo non chiama più.

I giovani sono quelli che più di tutti hanno bisogno e voglia di lavorare e proprio loro sono la categoria più colpita dai vincoli delle nuove forme di lavoro. Essi rivendicano per il loro presente e per il loro futuro condizioni di esistenza più dignitose e tutelate, partendo innanzitutto da un’accesa discussione sul reddito di cittadinanza. Sganciati da un’identità lavorativa fissa, spesso vissuta come una condanna, i giovani precari vivono una situazione difficile che raramente è fonte di belle sorprese.