cultura

"In fin dei conti" c'è l'amore che racconta la vita. Così Angelo Mellone chiude la Stagione del Mancinelli

domenica 28 aprile 2024
di Livia Di Schino

La propria terra, le proprie origini, gli antenati, ma anche ciò che si è amato e si ama, gli anni spettacolari del passato e della propria giovinezza, che nel ricordo assumono un sapore malinconico e nostalgico. Tipico dell’amore. Un sentimento che più di altri assume varie forme e sapori e che, nell’abbraccio ma anche nella separazione, scandisce e caratterizza la vita e le sue aspettative. Ossessioni, elementi portanti, radici che, nel loro divenire, accompagnano e foggiano l’esistenza umana. E che "In fin dei conti" sono i portanti "capitoli di una messinscena". Quella della vita. Una vita raccontata in parole, canzoni e note dal giornalista, scrittore e vicedirettore di Raiuno Angelo Mellone che, come annunciato, domenica 28 aprile ha così chiuso il cartellone "30 anni di Compagnia" del Teatro Mancinelli di Orvieto, a firma del direttore artistico Pino Strabioli che, al termine dell’esibizione, dal palco ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita della Stagione.

Nello spettacolo a nudo le ossessioni di una vita. Cosa è per te l’amore?
"L'amore è una scommessa, costantemente tentata. Alla fine l’amore è un sentimento che racconta la vita. Noi amiamo un’altra persona, amiamo i figli, amiamo la terra, una canzone. L’amore è il grande motore di tutte le cose. Ed essendo un grande motore ha bisogno di una grande manutenzione. Di grande competenza".

Quindi, esistono varie forme d’amore…
"Certo. In scena ho portato l’amore per l’Italia, l’amore per gli antenati e l’amore di coppia. Grandi tragedie in essere quelle dell’incapacità della durevolezza delle cose. Ci annoiamo facilmente. Siamo tentati dalla noia, dalla biodegradabilità delle emozioni. E questa cosa non ci sta facendo bene".

Di tutte le forme di amore ce ne è una che ti coinvolge maggiormente?
"Personalmente è l’amore per l’Italia. E’ come se sentissi un senso di responsabilità di raccontare questa terra, dove ho avuto il privilegio di nascere. Se fosse una persona sarebbe l’unica donna che avrei davvero amato".

Come nasce l’idea di questo spettacolo?
"Nasce come compendio dello spettacolo precedente, come un testamento fatto ai figli. Due anni fa, infatti, ero convinto di morire per una serie di incastri e di numeri: differenze di età tra me e il figlio maschio. Esattamente la stessa differenza di anni tra me e mio papà (quando si è spento, ndr): trentacinque e rotti. In più mi sembrava strano diventare più grande di mio padre. Era come se avessi dovuto passare il testimone...".

Ti sei immedesimato…
"Mi sono immedesimato. È stata una specie di testamento. Poi ho continuato a sperimentare la messa in scena delle nostre vite. Seguendo le cose che mi interessano ma con un obiettivo: quello di raccontare attraverso alcune cose personali storie nelle quali ognuno si possa riconoscere. Tutti quanti abbiamo avuto un nonno, un genitore. Abbiamo un figlio e siamo stati figli. Tutti quanti abitiamo in Italia. Tanti hanno vissuto gli anni '80, sanno cosa è la nostalgia. È come se i pezzi di racconto individuale che io metto siano la carne che dà un po’ di sapore a cose che altrimenti rimarrebbero astratte".

Progetti futuri?
"Sto scrivendo uno spettacolo teatrale: sono due monologhi insieme. Abbiamo già trovato la produzione. Stiamo pensando che uscirà l’anno prossimo. Sto aspettando l’amica Eleonora Giorgi per riportare in scena il nostro spettacolo su Carlo Pisacane. E un romanzo per l’anno prossimo che uscirà per Mondadori. Direi che basta, a parte il lavoro…".