cultura

Il costo della Pasqua

venerdì 29 marzo 2024
di Mirabilia Orvieto

Quale Pasqua stiamo preparando? Sicuramente una Pasqua che costa! Costa a tutte le persone, uomini e donne, di buona volontà spesso appesantite dall’accumulo delle fatiche quotidiane e dalle preoccupazioni. Sono proprio loro che si assumono ogni giorno l’impegno stressante per la costruzione della città, e cioè il mondo in cui viviamo, per la difesa e la diffusione del benessere, per la fraternità, per la giustizia e il progresso. Sono loro a cercare la pace e l’armonia delle cose contro la minaccia sempre incombente del disordine e dello sfascio. 

Una Pasqua che costa a tutti in un mondo sopraffatto dall’ansia della vita che s’impone come una legge suprema, una condanna inevitabile. Essa può essere vinta da un senso profondo dell’uomo, da un ritorno alle radici dell’esistenza. Cristo risorge all’alba in un giardino, dice il Vangelo di Giovanni, ad annunciare che la nascita di un uomo nuovo è possibile! Questo senso dell’essere, questo ritorno alle radici, permette a tutti di guardare con più serenità ai gravissimi problemi che la salvaguardia e la promozione della convivenza civile propone ogni giorno.

Una Pasqua che costa anche alla Chiesa chiamata a costruire un mondo più umano, a vivere un cambiamento radicale e profondo per una vera trasformazione interiore ed esteriore. È la Pasqua dell’attuale Sinodo che sta proponendo temi fondamentali come discernimento, ascolto, contemplazione, umiltà, dialogo, riconciliazione, conversione, fratellanza, ecumenismo, bellezza, vicinanza ai poveri e attenzione alle periferie, carismi, complementarietà, solo per citarne alcuni.

Eppure già il Concilio Vaticano II aveva tracciato la via per un grande rinnovamento antropologico. Per secoli si era dibattuto, in modo forzato e artificiale, sul rapporto fra grazia e natura mentre il Concilio si è rifatto alle intuizioni più profonde di una teologia tornata alle fonti più antiche e più ricche di spiritualità. Un uomo, come ci ricorda Henri de Lubac, fatto a immagine di Dio e di grazia perfezionante e trasfigurante tale immagine, lungamente coperta dalla nostra abituale "disumanità". 

La fede non sono riti e precetti ma è un "vero umanesimo", per prendere in prestito un’espressione di un altro genio del secolo scorso, Jacques Maritain. Ma umanizzare e cristianizzare non sono forse la stessa cosa? Purtroppo una certa mentalità ha condizionato la Chiesa fino ad oggi. È il fenomeno della "clericalizzazione", denunciato con forza da Papa Francesco. A dire il vero già nel Vecchio Testamento, con il ritorno di Israele dall’esilio e la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, riti e precetti avevano oscurato l’opera umanizzante della fede quando si apre a una parola di vita. 

Veniva rotto così l’antico equilibrio tra istituzione e carisma, tra sacerdozio e profezia, tra culto e significato che aveva preparato l’intero popolo di Dio a vivere la vera Pasqua, la seconda creazione dell’Uomo. Scrive de Lubac nella raccolta "Paradossi": È la fede stessa che plasma l’opera di umanizzazione nella consapevolezza che a realizzare la nostra vita, e cioè a renderla pienamente felice, non è una sorta di sovrumana perfezione, tanto alta e irraggiungibile quanto poco umana. 

Al contrario, è la volontà di costruirsi in umanità anche se questo ha un costo: il costo di una Pasqua che più che una benedizione è una conquista.