cultura

"Re-immagina Orvieto: un turismo tra Passato e Modernità"

sabato 9 marzo 2024
di Mirabilia Orvieto

Anche se tra gli addetti al turismo sta prevalendo lo slogan "Orvieto non è solo Duomo e Pozzo", la capacità attrattiva di questi capolavori è tutt’altro che tramontata: "Sembra che l’uomo di oggi - scrive il teologo Jean Paul Hernandez, coordinatore delle rete internazionale Pietre Vive - sia sempre più attratto dalle grandi opere d’arte e questo rappresenta uno dei fenomeni sociali più significativi del nostro tempo…si cercano ‘luoghi’ che parlano di un senso forte, di una identità sicura, ed è allora che i capolavori d’arte acquistano tutta la loro forza e la loro efficacia". 

Queste parole esprimono chiaramente il cambiamento dell’esperienza turistica di questi ultimi anni. A mutare è la concezione stessa del ‘viaggio’ inteso non più lo spostarsi da un luogo a un altro. Il viaggio è piuttosto un’attività dello spirito umano che tende ad unire insieme arte, ambiente, pensiero, mito, religione e turismo. In pratica, sottolinea il sociologo Scott A.J.(1997), il viaggio è il tentativo dell’uomo contemporaneo di soddisfare il bisogno di qualcosa di più esistenziale, di più significativo, di più profondo. Si lascia la propria casa per fare esperienze che ci trasformano interiormente e che accendono in noi stati d’animo e sentimenti come gratitudine, meraviglia, gioia, commozione. 


Stampa del Carrarini

Non c’è dubbio allora che l’antico binomio Duomo-Pozzo, immortalato dal Carrarini in una stampa del 1616, che tanto affascinò i viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento, anticipando il turismo di massa del Novecento, continua ancora a parlare, a comunicare l’essenza di una città entrata a far parte, grazie ai suoi monumenti-simbolo, dell’immaginario collettivo. Le ‘due meraviglie’ della città di Orvieto poste sulla Rupe si sono nel tempo arricchite, riempite di antichi e nuovi significati che viaggiatori, scrittori, appassionati e quanti si sono in esse immedesimati, hanno tramandato fino ad oggi. 

Duomo e Pozzo non possono essere considerati un bene di consumo fine a se stesso. Il loro valore aggiunto consiste proprio nel vedere in essi più che dei Beni materiali, dei ‘Beni immateriali’. Per Bene immateriale s’intende quell’insieme di simboli, immagini e significati, non immediatamente tangibili o visibili agli occhi dell’osservatore, "che costituiscono lo spirito più profondo, l’anima, l’essenza del patrimonio culturale e storico di una città e del suo territorio" (L. Dottarelli, 2016). In questo modo, ricorda l’Unesco, cambia anche il concetto di valore culturale che va ben oltre l’aspetto storico e artistico di un Bene. Qui a prevalere è invece la dimensione estetica, emotiva e trasformativa del nostro Patrimonio che diventa, per chi entra in contatto con certi luoghi, una ‘porta esistenziale’, uno strumento vivo di conoscenza meravigliosa ed inaspettata. 

L’attenzione non si ferma quindi all’oggetto in sé, al Bene che si va a visitare, ma si riversa immediatamente sul destinatario, il quale  dall’incontro con l’opera d’arte ne riceve benessere mentale e spirituale, un benessere che ha a che fare con l’equilibrio emotivo, la felicità e la crescita della persona umana. 


Orvieto e la Tuscia

L'Organizzazione Mondiale del Turismo definisce infatti l’esperienza turistica "quel tipo di attività in cui la motivazione essenziale del visitatore è quella di imparare, scoprire, fare esperienza e consumare i prodotti e le attrazioni culturali tangibili e intangibili presenti in una destinazione turistica". C’è quindi bisogno di creare una nuova modalità di approccio ai Beni culturali in cui si dà spazio al ‘sorprendente’, al coinvolgimento dei sensi, alla capacità di mettere in scena miti e leggende. E sopratutto alla capacità di fare del brand qualcosa di autentico, di vero, capace cioè di esprimere l’esperienza che i turisti possono realmente vivere visitando la città. 

Se questo è il nuovo volto del turismo, ci si chiede che senso ha definire Orvieto una “città viva, autentica, innovativa” quando si continuano a visitare i nostri tanto celebrati monumenti in modo assolutamente tradizionale? Un turista che mette piede ad Orvieto non si trova forse la stessa città di 50-60 anni fa’? Dove sono quei moderni, coinvolgenti strumenti di fruizione turistica, come le istallazioni interattive, in cui il visitatore non si sente più uno spettatore passivo ma catapultato ‘dentro’ le opere d’arte? Di quale valorizzazione si parla se la città non offre quei contenuti e quelle modalità di comunicazione necessari per fare del Duomo e del Pozzo veramente una visita emotiva, fisica, esperienziale? 

Ebbene sono loro, il Duomo e il Pozzo che se ben valorizzati, reinterpretati e attualizzati possono farci comprendere l’identità di un Territorio, quello di Orvieto, il cui Genius loci è la Tuscia, la Terra sacra degli Etruschi e dei Templari. L’antico nome, Urbe Vetus, sta per mondo o ‘cosmo antico’ inteso come luogo privilegiato dove ciò che è terreno entra in comunicazione con la realtà celeste. È proprio vero che Orvieto “non è solo Duomo e Pozzo”, è molto di più: è una Città ‘simbolica’, un ponte ‘immaginario’ che fonde in sé la bellezza visibile a quella invisibile, la materia allo spirito, e questo collegamento ha trovato nel Duomo e nel Pozzo, grazie alla genialità e creatività dei suoi artisti, la più grande rappresentazione. L’uno slanciato verso l’alto e l’altro inabissato verso il basso, i due capolavori hanno definito per secoli la natura profonda e intima della città di Orvieto che da sempre è ‘mediatrice’ tra profano e sacro, tra realtà e mistero, tra la storia dell’uomo e il suo destino. 


Cappella di San Brizio

Dal contesto storico in cui il Duomo e il Pozzo furono costruiti, alla creatività che li ha generati, dalle soluzioni di funzionalità alle quali dovevano rispondere, alle immagini e ai significati leggendari e di fede che ne hanno plasmato l’identità, i nostri monumenti sono come ‘esseri viventi’ che portano con sé simboli e significati così universali da essere, per questo, anche incredibilmente attuali. Essi ci aiutano a capire che la città non è un semplice oggetto, un prodotto da vendere, da possedere, ma un ‘soggetto’ parlante e vivente, da conoscere e con cui entrare in relazione. 

Essi ci rivelano che la città di Orvieto non è qualcosa d’immutabile nel tempo, uno spazio da gestire, da amministrare, ma un bene ‘strategico’, una realtà in trasformazione. Essi ci annunciano la dimensione utopica della nostra città, una città a misura d’uomo che ha in sé quello che ogni città dovrebbe avere che è "la capacità di creare dal quotidiano, e cioè dalle bellezze di un luogo, forme o performance e proiettarle in un contesto assolutamente nuovo" (Gilmore e Pine, 2009, Arte e Impresa). 

Duomo e Pozzo, dunque, monumenti antichi e nuovi al tempo stesso in cui è condensata la ‘biografia spirituale’ della Nazione: essi sono ancora lì a ricordarci che una città non può riprodurre staticamente il Passato, ma deve proiettarsi in avanti, nel futuro della Modernità!