cultura

Il testimone scomodo

giovedì 19 marzo 2020
di Mirabilia-Orvieto
Il testimone scomodo

La guarigione del cieco nato, El Greco

Proprio così, un cieco dalla nascita misteriosamente e incredibilmente guarito. Chi, superato l’impatto psicologico iniziale, non gioirebbe di fronte ad una così grande notizia? Tutto si svolge a Gerusalemme, durante la festa più importante per i Giudei, detta delle Capanne. Il vangelo di Giovanni racconta di Gesù che vedendo un uomo cieco dalla nascita compie un miracolo. Sputa per terra, fa del fango con la saliva, la spalma sugli occhi di quel pover’uomo e lo manda a lavarsi in una piscina. Ebbene, il cieco “tornò che ci vedeva” (Gv 9, 7).

Da quel momento in poi l’uomo guarito, che poco prima mendicava per la strada rassegnato al suo triste destino, non ebbe più pace. I presenti cominciarono ad interrogarlo: “Come dunque ti furono aperti gli occhi?”. Quando ascoltarono dalla bocca del mendicante il racconto dell’avvenuta guarigione, il popolo, pur vedendo che era una cosa buona, anzi buonissima, lo trascinò dai farisei per sottoporlo al loro giudizio. Perché? Perché il popolo, sapendo di non possedere una ‘coscienza’, non era nelle condizioni di poter esprimere un’opinione, per cui doveva rimettere ogni causa alle autorità religiose che decidevano cosa era bene e cosa era male. Così, invece di festeggiare felicemente con amici e parenti il suo ritorno alla vita, il cieco guarito venne immediatamente catapultato in un processo.

Alle domande incalzanti del tribunale egli continuava a ripetere le stesse cose, ma quelli che lo interrogavano, anche dopo aver sentito la testimonianza dei genitori, non gli credettero. Da una parte si trovava un uomo impegnato nell’ingrato compito di testimoniare la verità e dall’altra quelli che, pur dicendo di voler cercare la verità, la rifiutavano accanitamente con tutte le forze, negando l’evidenza dei fatti. Questa volta a provocare la reazione dei rappresentanti della Legge non era la solita disputa dottrinale: con il suo miracolo, il Profeta disceso dalla Galilea aveva addirittura sovvertito le leggi naturali, attestandosi davanti a tutto il popolo come l’inviato di Dio.

Ma le orecchie dei farisei erano chiuse, così come i loro occhi. Il tentativo di dimostrare che tutto era una ‘montatura‘, un imbroglio, fallì miseramente di fronte all’incrollabile testimonianza dell’ex-cieco che, alla fine, venne cacciato fuori. Una cosa simile avvenne nella tragedia greca di Sofocle quando Tiresia, anche lui cieco, fu convocato da Edipo, re di Tebe. In quella occasione il re chiese al veggente di rivelargli il nome di colui che fu la causa della rovina della città. La collera del re si accese nel momento in cui Tiresia gli rivelò che il colpevole era proprio lo stesso Edipo. Al pari della tragedia greca, anche nel racconto di Giovanni si consuma il grande dramma della verità riportata alla luce.


I farisei

Ad essere cieco non è dunque Tiresia, ma Edipo. Come nella tragedia, anche i farisei reagiscono alla stessa maniera non volendo vedere la verità. Essi sono schiavi delle loro certezze, delle loro idee preconcette su Dio e sugli uomini.
Prima punto: mettersi in discussione significa infatti ‘scuotere‘ l’albero della propria vita, dalla punta delle foglie alla profondità delle radici. I farisei, simbolo della cecità spirituale, quella dell’anima, non avevano la predisposizione d’animo a rinunciare ai propri ‘convincimenti’, sentendosi erroneamente dalla parte della verità.

Secondo punto: per mettersi in discussione bisogna accogliere la verità che porta l’altro. Chi presume di sapere è praticamente impermeabile ad ogni verità che viene dal ‘di fuori’. Terzo punto: ascoltare l’altro presuppone la capacità o il dono di vedere oltre, e cioè di vivere sperando e avendo fiducia di raggiungere un bene più alto, superiore. In pratica occorre allontanarsi dal porto tranquillo e sicuro nel quale ognuno ha ormeggiato la propria vita, per intraprendere un ‘viaggio’ verso un nuovo porto, una nuova meta.

Lo stesso viaggio che fece il cieco guarito da Gesù, dal momento in cui si alzò da terra per andare a lavarsi nella piscina di Siloe. Per quell’uomo la vita acquistò improvvisamente tutta un’altra dimensione, un’altra luce, un’altra prospettiva. Vedere significa allora non essere più lo stesso, dove ciò che era prima non esiste più. Ma quando il cieco riacquista la vista, qualcun altro la perde.

Per i farisei, fautori dell’attenzione verso il prossimo, era inammissibile che un uomo, e cioè un peccatore (Gesù), avesse potuto restituire la vista ad un cieco che ora ai loro occhi si presentava come un ‘testimone scomodo’. Anzi il poveretto sarebbe dovuto tornare ad essere cieco pur di dare loro ragione. Paradossalmente aver riacquistato la vista era un male, perché questa vista l’aveva riacquistata ad opera di un peccatore. Aprire gli occhi era, infatti, il segno della liberazione che il messia avrebbe portato all’oppressione del popolo. Ma i farisei, che ambivano al titolo di guide dei ciechi, questo non lo accettano e Cristo gli rivolge una dura sentenza: “Io sono venuto in questo mondo perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi ”.


Lo scontro tra Tiresia e Edipo

Quale cecità? Quando si mette il bene della religione al primo posto, prima ancora del bene degli uomini, questa è la cecità che impedisce di leggere gli avvenimenti della storia, dimenticando che il bene dell’uomo supera qualunque teologia e dottrina. Il cieco Tiresia e quello del Vangelo vedono ciò che la vista presunta dell’ego del tiranno e dei farisei non può assolutamente vedere, perché solo il ‘cieco’ rivela la dimensione accecante della verità.

Cristo costruisce un mondo alla rovescia dove chi ha gli occhi sani in realtà non vede, non conosce, non sa, mentre chi ha gli occhi malati vede e se vede conosce. L’irruzione della verità è un trauma che acceca i cosiddetti ‘vedenti’ facendogli vedere chi sono: la luce delle false evidenze si estingue così per far posto a quella accecante della verità.