cultura

Al Teatro del Carmine "Vessilli di un Dio morente" dai Dialoghi delle Carmelitane

mercoledì 22 gennaio 2020
di Davide Pompei
Al Teatro del Carmine "Vessilli di un Dio morente" dai Dialoghi delle Carmelitane

Il titolo è ispirato ad una strofa che le Carmelitane di Compiègne, Alta Francia, scrissero nel Carcere della Conciergerie, in attesa del martirio, parafrasando la Marsigliese. "Sotto i vessilli di un Dio morente / Corriamo, voliamo verso la Gloria!". Quasi un canto alla resistenza e alla fragilità – alla resilienza, direbbero oggi – quando si tramutano in forza perché attinte dal profondo della spiritualità femminile. Al punto da chiedersi se in fondo Dio non sia anche Madre.

Originale ed intenso, "Vessilli di un Dio morente" è il nuovo spettacolo – studio o fase di ricerca, data la complessità dei temi e dei caratteri espressivi che ne emergono – firmato Kamina Teatro che andrà scena sabato 25 gennaio alle 21.15 e domenica 26 gennaio alle 16 al Teatro del Carmine nell'ambito della Stagione Artistica "inNOVAzioni2020", promossa dalla Scuola Comunale di Musica "Adriano Casasole" e dal Comune, con Unitre e Filarmonica "Luigi Mancinelli".

Si tratta dell'ottava produzione che nasce ad Orvieto in collaborazione con lo Studio d'Arte Fede e Storia del Gordon College diretto da John Skillen. Tutela, quest'ultimo, una tradizione che riconnette il pubblico con il patrimonio artistico e teologico della cultura europea. Si occupano, invece, di memoria e sue applicazioni storiche, rappresentative, narrative, musicali, drammaturgiche e poetiche, gli artisti alle prese con forme spettacolari legate a tradizione e inter-cultura.

In "Dialoghi delle Carmelitane" di Georges Bernanos (1888-1948) – dalle cui pagine insieme a quelle de "L’Ultima al Patibolo" di Gertrud von Le Fort (1876-1971) prende il via quest'ultima corale fatica creativa – è scritto che "Quel che Dio mette alla prova non è la forza, ma le debolezza". Come quella della protagonista, a confronto con le tempestose forze della Rivoluzione, nel contesto della vita di una comunità collocata in un XVIII secolo metafora di contemporaneità.

La loro morte sulla ghigliottina ai Giorni del Terrore, ma anche l’intima solitudine individuale e il percorso di sacrificio che circondano ciascun personaggio di fronte all’astratta eguaglianza del mondo esterno rendono un grande affresco che è la storia di tutte le storie, il conflitto di tutti i conflitti. "Forse – scrive nelle note di regia, il vulcanico Andrea Brugnerache per davvero la paura e l'orrore sono sempre dei sentimenti indegni? Non potrebbero indicare qualcosa di più sincero?

Una più grande consapevolezza degli errori del mondo, una soglia più profonda del coraggio? È lo scontro in cui l’umano, da solo, non basta. E l’universo non si divide fra buoni e cattivi, ma fra i santi che sono rimasti fedeli alla propria infanzia e gli infelici che l’hanno perduta. L'infanzia come redenzione è, infatti, il filo conduttore e salvifico del dramma, che si ispira con pari attenzione sia all’opera di Bernanos che a quella della scrittrice tedesca.

La costruzione del testo è giunta alla confluenza dello studio di entrambe le esperienze mistiche e poetiche degli autori. Da quella di Le Fort, che produce il romanzo all’avvento della dittatura nazional-socialista in Germania, e in cui traspare la corrispondenza epistolare con la mistica israelita, la carmelitana Edith Stein, scomparsa ad Auschwitz nel 1942, a quella di Bernanos, formatosi nelle file intellettuali del revanscismo francese.

Ma passato, dopo l’atroce prova della Guerra Civile Spagnola, all’anticonformismo più feroce ed anti-materialista, pur se contenuto in una tradizione profetica e cristiana. Il copione deriva da una ricerca composita condotta attraverso materiali diversi ed è ispirato anche da opere di filosofia mistica e di intensa polemica sociale che analizzano gli aspetti più distruttivi e materialisti della civiltà contemporanea. I grandi cimiteri sotto la luna, la Francia contro i Robot".

Elementi teatrali essenziali e simbolici. Il chiaroscuro di luci ed orme, in cui coesistono anime e forme, maschere e volti, a scrivere lo spazio, in una sorta di accentuazione espressionista delle diverse sequenze. Attrici ed attori di professione ma anche semiprofessionisti, allievi e figuranti compongono i vari quadri. Un percorso-studio, in cui la scelta della povertà dell’allestimento non è dettata unicamente dalla sua economia, ma dal voluto riferimento a un tempo astratto e attuale.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti, con apprezzato contributo spontaneo a sostegno delle attività del Teatro del Carmine.

Per ulteriori informazioni e prenotazioni:
kaminateatro@gmail.com