cultura

Nuovi orizzonti

venerdì 3 maggio 2019
di Mirabilia-Orvieto
Nuovi orizzonti

Erano gli anni ’60 quando venne costruita l'Autostrada del Sole. L’Italia, in pieno boom economico, può dirsi unita, da Nord a Sud. La vista mozzafiato della Rupe lascia gli automobilisti come in sospeso: forse non c’è città più bella!


Autostrada del Sole

La mente scorre improvvisamente agli inizi del ‘600 quando venne realizzato il primo manifesto pubblicitario: “Le tre meraviglie della illustrissima città di Orvieto”. In un’epoca lontana dal fenomeno del turismo di massa qualcuno ebbe una visione. Visitare le bellezze dei luoghi era un privilegio per pochi; chi poteva immaginare che tre secoli e mezzo più tardi milioni di visitatori sarebbero venuti da ogni parte del mondo ad ammirare il Duomo e il Pozzo di San Patrizio?


Manifesto promozionale del Carrarini, 1616

Le vie sono affollate di gente che acquista cartoline, souvenir e ceramiche artistiche, mentre le vetrine espongono con orgoglio i prodotti tipici locali. Ora la città della Rupe può contare su un immenso patrimonio, sicuro e inesauribile. A guardare con preoccupazione la società sono però alcuni intellettuali, tra cui Luigi Malerba. Profondamente innamorato di Orvieto (aveva acquistato una casa nei dintorni), lo scrittore scese in prima linea, attraverso interviste e filmati (era anche uno bravo sceneggiatore), contro la speculazione edilizia di quel tempo e la conseguente perdita d’identità del territorio.


Lo scrittore Malerba nelle vie della città

Si era già avviata l’enorme espansione dei centri urbani di Sferracavallo e Ciconia. La civiltà contadina scompare per sempre, e dietro di essa finisce anche l’era degli artigiani e degli antichi mestieri. La globalizzazione, la crisi economica, il cambiamento degli stili di vita, corrodono velocemente quel benessere costruito con tanta fatica nel dopo-guerra. Inizia così una lenta e inarrestabile decadenza, sociale, ambientale, culturale e demografica. 

La storia cambia radicalmente a dimostrazione che non si può sedere sugli allori, vivere di rendita in eterno. Strade rotte, un centro sempre più abbandonato, un ospedale ridotto ai minimi termini, una discarica adibita a “pattumiera” regionale, un piano energetico e turistico praticamente assente, giovani che fuggono all’estero per trovarsi un lavoro: ecco il desolante scenario che si dispiega implacabile davanti agli occhi.



Eppure, alcuni anni prima, si era provato a fare qualcosa per arrestare la decadenza. Basta pensare alla realizzazione del marchio Orvieto Città nNarrante che doveva inaugurare una nuova progettualità turistica, rimasta purtroppo sulla carta. Orvieto Promotion, Palazzo del Gusto, Palazzo dei Congressi, Cittaslow, Consorzio Crescendo, e così via: realtà nate per lo sviluppo o dei semplici “carrozzoni”?  Anche il Distretto Culturale della Tuscia, creato con finalità operative, non ha successo. Così l’isolamento della città e del suo territorio risulta sempre più evidente.


Territorio della Tuscia

La Tuscia, ovvero la Terra degli Etruschi. Orvieto è parte integrante di Viterbo, già sin dal significato del nome che risulta curiosamente speculare, ma identico nella struttura grafica. Viterbo è infatti Vetus-Urbe (vecchia città) e Orvieto è Urbe-Vetus (città vecchia). Le affinità culturali e territoriali delle due città avrebbero potuto ispirare nuove progettualità, come per esempio un collegamento con il suggestivo parco di Bomarzo o con il flusso crocieristico del porto di Civitavecchia, dove approdano circa due milioni e mezzo di turisti all’anno in cerca di luoghi da visitare.

Ma ormai siamo abituati a vedere un turismo veloce, mordi e fuggi, favorito soprattutto dalla mancanza di attività turistiche, e che dà ben poco alla città e al suo territorio. L’itinerario? Salita in auto o in funicolare, arrivo in Piazza Duomo, scatto di fotografie, si prende un caffè o un panino e, se rimane del tempo, si passa a visitare il Pozzo di San Patrizio e poi via. Tutto qui. A rompere la routine è l’affollamento nei giorni di Pasqua, Capodanno e Ferragosto, con i giornali che non si stancano mai di ripetere “Orvieto, boom di turisti”. E’ questo il futuro di un’affascinante città d’arte, posta in una posizione fortemente strategica, tra Roma e Firenze, o si dovrebbe sperare in ben altro?


L’economia delle esperienze, James Gilmore

Sicuramente il binomio Duomo+Pozzo, celebrato dall’incisione del Carrarini, non è sufficiente; non basta possedere degli splendidi monumenti per promuovere la città, occorre un modo nuovo di intendere il Turismo, sforzandosi di creare quel “qualcosa in più” capace di appassionare la gente, di stupirla, di meravigliarla.

Promuovere il turismo non significa fare del marketing (la pubblicità entra in gioco solo alla fine!), quanto invece arricchire i nostri capolavori di quelle peculiarità che sanno imprimere nei visitatori caratteri emozionali ed evocativi veramente unici. Orvieto è un luogo immaginario, sublime, mistico, visionario, fantastico, in tutti i suoi aspetti, e chi fa turismo deve saperlo e deve proporre una fruizione innovativa dei beni culturali in grado di trasformare i nostri grandi capolavori, d’arte o d’architettura, in un’esperienza tutta da scoprire o riscoprire.


Marketing esperienziale

Fare turismo non è una questione di dati statistici, di entrate e di uscite, di percentuali in crescita o dimunuzione, ma è entrare in sintonia con il proprio territorio, cercando di cogliere la sua essenza, il suo Genius loci. Valorizzare e promuovere le bellezze di un luogo vuol dire comprendere tutto ciò e saperlo comunicare attraverso la cosiddetta “storia degli effetti” che è la catena delle interpretazioni, suggestioni, letture, metafore e significati simbolici connessi a quel bene: un capolavoro ha un valore culturale e spirituale prima di essere un bene economico.

Da questa “storia degli effetti” è possibile infatti trarre indicazioni e ispirazioni per “potenziare culturalmente” la visita alla città e alle sue opere d’arte, una visita che si trasforma in un’esperienza così come viene intesa da J.Rifkin (L’era dell’Accesso) o da J.Ogilvey e B.Joseph Pine e James Gilmore (L’economia delle esperienze). Per poter costruire un turismo di qualità è necessario lavorare a progetti innovativi, per contenuti e modalità di comunicazione, che dovrebbero nascere e svilupparsi attorno alla riscoperta dell’identità e quindi - usando le parole del filosofo e psicanalista James Hillman (1926-2011) - dell’anima dei luoghi. Il turismo non è solo un servizio, ma è soprattutto un’esperienza che deve rispondere alla domanda di senso che ogni turista, più o meno consapevolmente, porta con sé.


Mostra del Cinema, Torino

A questo proposito non è affatto azzardato dire che il fenomeno turistico è oggi divenuto una vera e propria scienza che, lasciando sempre meno spazio all’improvvisazione, sta cercando di trovare modalità e formule più coinvolgenti e attrattive. Basta pensare al Museo Nazionale del Cinema a Torino; l’allestimento, ospitato alla Mole Antonelliana, è riuscito a valorizzare in modo eccezionale un monumento simbolo della città, peraltro non facile da mantenere economicamente, offrendo una spettacolare presentazione della storia del cinema che vanta al suo attivo più di 750mila visitatori all’anno.

Se dunque è importante conservare il nostro patrimonio culturale, assicurandogli una gestione professionale ed efficiente, è altrettanto importante creare ad Orvieto un modo nuovo di illustrare i capolavori d’arte. A colpire è il fatto che, di tutti i turisti che mettono piede nella nostra città, meno del 20% visitano il Pozzo di San Patrizio come a dire che più del 80% non sa che esiste o, peggio, non lo ritiene così importante; dato questo non di poco conto se si paragonano i 185.000 visitatori registrati nel 2018 con i 300.000 di Civita di Bagnoreggio.

A tale proposito va detto che, dopo tanti anni di incuria, le recenti opere di risistemazione - come la messa in sicurezza, l’apertura di una nuova biglietteria, la costruzione dei bagni in Viale Sangallo, l’organizzazione di St. Patrick’s Day - insieme alla recente predisposizione di un cartello pubblicitario a ridosso del casello autostradale, fanno parte di una ordinaria gestione e promozione del Pozzo, niente di più, ma non rappresentano certo quel “valore aggiunto” volto ad accrescere il potere attrattivo di un capolavoro unico al mondo. E’ tempo di uscire dall’immobilismo e trovare il coraggio di guardare verso nuovi orizzonti dove tradizione e innovazione, vecchio e nuovo, passato e futuro, sono chiamati finalmente a camminare insieme.