cultura

Sacrificio o amore?

venerdì 19 aprile 2019
di Mirabilia-Orvieto
Sacrificio o amore?

La Crocifissione, Masaccio

Cristo muore per i peccati del mondo. Con il sacrificio del Figlio di Dio la colpa di Adamo e dei suoi figli viene finalmente riscatta. La sofferenza patita da Gesù sulla croce ha meritato la salvezza dell’umanità. E’ un po’ questo che viene ricordato ogni venerdì santo, prima del giorno di Pasqua.


L'Ultima Cena

Sono tuttavia in molti oggi, tra esegeti e teologi, a suscitare qualche perplessità sulla cosiddetta teologia dell’espiazione. Basta soffermarsi alle parole pronunciate da Gesù durante l’ultima cena quando, nel suo momento culminante, prendendo tra le mani un pane, dice “prendete e mangiate questo è il mio corpo”. A tali parole, riportate nei Sinottici e nella lettera di san Paolo, viene aggiunta solo nella lingua italiana la formula "offerto in sacrificio per voi". Il biblista Alberto Maggi fa notare che i gesti e le parole di Gesù mirano in realtà al superamento dello schema religioso dell’Antico Testamento, peraltro presente in tutte le religioni, in cui sono gli uomini a offrire sacrifici a Dio. Il fatto che Cristo non fa nessun riferimento al sacrificio porta a concludere che la novità della sua predicazione - ancora oggi difficilmente compresa - sta proprio in un rovesciamento del rapporto con Dio: il Dio di Gesù è un Padre buono che non vuole sacrifici dai suoi figli, ma dona e basta!


Il tempio di Gerusalemme

Fin dall’inizio della vita pubblica, Gesù prende subito le distanze dalle pratiche cultuali dell’epoca; alla sacralità del tempio e della sinagoga egli preferisce luoghi solitari e appartati dove poter insegnare tranquillamente ai suoi discepoli il nuovo messaggio evangelico. Ma a Gerusalemme non la pensano così. Durante tutto l’anno, soprattutto in occasione delle feste e della Pasqua ebraica, il tempio è oggetto di una frenetica attività che ha nei sacrifici di espiazione il suo centro. Si crede che il sangue degli animali uccisi sull’altare ha il potere di perdonare le colpe del popolo. Così, poco prima di essere condannato come trasgressore delle tradizioni, Gesù entra nel tempio e davanti ai Sacerdoti, ancora sconvolti dalla violenza con cui si era scagliato contro i banchi dei cambiavalute, grida: “Distruggerò questo tempio e lo ricostruirò in tre giorni”.  Gesto incomprensibile se non si conosce bene la forma di devozione imperante. Con le offerte portate dai pii ebrei si manteneva infatti tutta l’economia del tempio basata su una precisa legislazione che, ritenendo tutti gli uomini peccatori, imponeva a ciascuno, persino al più santo, di presentarsi davanti al Sacerdote con un offerta per il perdono delle proprie colpe.


Il Sinedrio al tempo di Gesù

Anche i semplici atti di vita quotidiana, come il rapporto coniugale, la nascita ecc. rendevano le persone impure, un meccanismo perverso questo in mano al Sinedrio che, giorno dopo giorno, stava corrompendo la fede d’Israele. Nella pratica più il popolo peccava più i sacerdoti ingrassavano: era questa la tremenda denuncia che Dio fa per bocca dei profeti. L’uomo sentendosi sempre in colpa, sempre indegno, era costretto a fare offerte! Gesù mette radicalmente in discussione questo sistema religioso. Ed è allora che decidono di farlo fuori, di toglierlo di mezzo con l’accusa di essere un senza Dio, nemico della tradizione. Anche i discepoli rimangono confusi e impauriti dall’atteggiamento del maestro, al punto che gli si accostano per dirgli: sai che i Farisei si sono scandalizzati sentendo le tue parole? In pratica se cadeva anche uno di questi precetti, tutto l’edificio della tradizione religiosa era destinato a crollare.


La desertificazione dell’anima

Dal tempio di Gerusalemme si muove una commissione per inquisire l’uomo di Nazareth composta dagli Scribi - i teologi del tempo - coloro che formulano la dottrina, e dai Farisei che sono quelli che la mettono in pratica. Ma il messia tuona contro tutti: “non è l’uomo per Sabato, ma il Sabato per l’uomo”. Per avere la vita eterna - dice Cristo - non serve obbedire alla Legge, frequentare il tempio, offrire sacrifici. Ciò che importa agli occhi di Dio è che l’uomo impari ad amare, a cercare nell’amore il senso profondo della sua vita: “Amore voglio e non sacrificio”. Solo l’amore potrà liberare l’uomo dall’angosciosa ricerca della purezza e della perfezione che conduce inevitabilmente l’anima alla più completa desertificazione.


La Passione di Cristo

Con la sua passione Cristo non ha esaltato l’idea del sacrificio. Anzi sa benissimo che dietro ogni sacrificio si nasconde sempre la “richiesta” di una ricompensa, di un tornaconto personale da parte di Dio, o della propria famiglia, o dell’Altro. Al contrario, afferma Aristotele, il vero amore sta nel “volere il bene dell’altro”. L’amore è disinteressato, è agape, è Dio stesso, perché dà tutto senza chiedere nulla in cambio, ed è anche incondizionato perché - come sottolinea il vangelo di Giovanni - arriva persino a dare la vita per i propri amici. Per questo la parola di Gesù spinge a liberarsi dal peso del sacrificio, fonte di profonda frustrazione e insoddisfazione, e ad abbracciare il vero senso del sacrificio che - come suggerisce lo psicanalista Massimo Recalcati - non consiste in una mortificazione, in una rinuncia della vita per l’ottenimento di una vita migliore nell’aldilà (in pratica più si soffre, più ci si sacrifica e più si guadagna un posto in paradiso!), ma nel desiderio e nel coraggio di “investire” bene quel poco o tanto che ci è stato dato nella vita (si pensi alla parabola dei talenti, dove il servo buono e fedele sa mettere a frutto la fortuna ricevuta dal padrone).  Sacrificarsi significa quindi mettersi in gioco, rischiare, insomma donare se stessi per la buona riuscita della vita, per migliorarla, per elevarla, per salvarla, anche a costo paradossalmente di perderla (la logica cristiana della croce).


Il sacrificio di Isacco, Caravaggio

Gesù non è quindi l’uomo del sacrificio fine a se stesso, colui che invita gli altri a vivere come l’asino o il cammello, animali da soma, tristemente schiacciati dal peso del loro dovere. Gesù è l’uomo che libera l’uomo dal peso del sacrificio, perché sa trasformarlo in una opportunità di salvezza, in un momento della vita che rende possibile o prepara la gioia di un’esperienza di realizzazione e di salvezza.  Basta pensare al discorso sulla croce, quando nell’ultima cena paragona la sofferenza a quella di una donna incita. Ogni sofferenza, ogni sacrificio è come un parto, ha senso solo se è vissuto nella prospettiva di dare alla luce un figlio, nella prospettiva di aprirsi ad una nuova e più felice esistenza. E’ quanto comprese il patriarca Abramo nel momento in cui, alzando il coltello contro il proprio figlio Isacco per sacrificarlo a Dio, la sua mano venne fermata da un angelo: quel giorno Abramo seppe che il Dio della promessa non è il “dio” del sacrificio, ma della vita.